di Guido e Grazia Verna
2 febbraio 2019, Presentazione di Gesù al Tempio
1. Kazhakstan: la «terra inumana» che uno straordinario miracolo ha fatto diventare umana
2. I “campi” in Kazhakstan
3. I polacchi nei “campi” kazaki
4. Il Grande Miracolo
5. Il Santuario di Oziornoje e la Regina della Pace
6. Astana, la capitale di un’altra “pace”
7. Gli altari e “Le 12 stelle nella corona di Maria Regina della Pace”
8. La stella della Regina della Pace di Oziornoje
9. La stella di Oziornoje e la preghiera corale della Polonia
«In passato, il Kazakistan è stato un paese di tante sofferenze, imbevuto del sangue e delle lacrime dei martiri. Negli anni trenta e quaranta, uomini di diverse nazioni e religioni furono deportati nelle immense steppe del Kazakistan. Tra di loro c’erano anche cattolici. In queste difficili condizioni di vita, senza un’assistenza sacerdotale, non restava loro altra speranza che solo Dio. Adoperavano l’unica “arma” di cui disponevano, la preghiera, soprattutto il Rosario. Il S. Rosario sostituiva la S. Messa e i sacramenti, i sacerdoti e la vita ecclesiale. In un canto in onore della Madonna, composto dopo la liberazione, cantiamo: “Nella steppa del Kazakistan mi hanno aperto le porte e li ho incontrati con il Rosario in mano.”» (1)
(S.E. Mons.Tomasz Peta, Metropolita-Arcivescovo di Astana)
1. Kazhakstan: la «terra inumana» che uno straordinario miracolo ha fatto diventare umana
Da qualche tempo il Kazakhstan (2) ― per estensione il nono paese della Terra e il primo tra quelli che non hanno sbocchi sul mare ― e la sua “giovane” capitale Astana (3) ricorrono spesso sulle prime pagine dei giornali. A partire dal gennaio 2017, vi si svolgono infatti i colloqui e le trattative per la cessazione dei sanguinosi combattimenti in Siria. In più milioni di visitatori provenienti da ogni parte del globo hanno potuto ammirare le conclamate ricchezze architettoniche della capitale in occasione dell’Expo 2017 di cui è stata sede. Tantissimi, poi, conoscono Astana per la forte squadra ciclistica che ― con inconsueta operazione di marketing ― porta il suo nome in giro sulle strade del mondo.

Solo in pochi, però, ricordano che il Kazakhstan per più di settant’anni ― dal 1919, quando, come Repubblica Socialista Sovietica Kazaka, fu assorbito nell’Unione Sovietica, fino al 1990, quando è tornato libero – è stato un paese sotto il giogo comunista. Durante questi settant’anni, se da un lato fu notissimo a tutti per il cosmodromo di Baikonur, la città che fino al 1995 si chiamò Leninsk, da dove si lanciavano in orbita i satelliti (compreso il primo di essi, il mitico Sputnik1), da altri punti di vista fu conosciuto molto poco. Non molti, per esempio, mostravano di aver memoria della presenza a Semej (allora Semipalatinsk, una città a circa quattrocento chilometri ad est di Astana) di un’area di diciottomila chilometri quadrati utilizzata ― per mezzo secolo e fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica ― come Poligono nucleare, in cui cioè si testavano armi di questo tipo. Un altro punto di vista pativa la dimenticanza: il Kazakhstan, con le sue grandi e sconfinate steppe, non era solo il luogo ideale per lanciare gli Sputnik e provare le bombe atomiche, ma lo era anche per ubicarci i suoi terribili gulag (4), che ― quando si decise di utilizzarlo come una sorta di zona da bonificare (5) ― furono riempiti attraverso spaventose operazioni di «trasferimento» di intere popolazioni. I deportati polacchi arrivarono a definire la terra kazaka come la «terra inumana» (6).
Ma se solo in pochi ricordano il suo tragico e lungo passato sovietico, è ancora più triste constatare come solo pochissimi ricordino il miracolo straordinario ― forse il più straordinario del periodo sovietico ― che, con la potente mediazione della Madonna, pregata intensamente soprattutto con il Rosario, avvenne proprio in questa terra. Purtroppo, nemmeno nell’Anno del Giubileo della Divina Misericordia (7) quasi nessuno, almeno in Italia, si è ricordato del Santuario Nazionale di Nostra Signora Regina della Pace di Oziornoje (8) che pure, come vedremo, aveva nessi non trascurabili con la Polonia, culla del culto alla Divina Misericordia.

Le grandi steppe kazake furono un terreno fertile per la nascita dei “campi”. Come notò Solzenicyn [Aleksandr Isaevič, (1918-2008)], «[…] il vasto Kazachstan, non appena annesso all’Unione delle Repubbliche (9), risulterà adattissimo alle deportazioni coi suoi spazi sconfinati» (10). Nel volume precedente, lo stesso Solzenicyn, al riguardo, si era espresso nei termini seguenti: «É degli anni anteguerra la conquista da parte dell’Arcipelago degli spopolati deserti del Kazakistan. Cresce a mo’ di piovra il nido dei lager di Karaganda (11), proiettano metastasi fruttuose a Džezkazgan con la sua acqua avvelenata dal rame, a Mointy, a Balchaš [lago ndr]. Si sparpagliano lager nel Kazakistan settentrionale» (12).
Fra i tanti “campi” ce ne sono due che meritano di essere ricordati, anche se solo sommariamente. Il primo è quello di Kengir, vicino a Džezkazgan, al centro del Paese. Qui nel maggio del 1954, poco più di un anno dopo la morte di Stalin, scoppiò una rivolta dei prigionieri, che, prima di essere schiacciati dai carri armati sovietici, arrivarono addirittura ad eleggersi un capo ed all’autogoverno; la rivolta fu raccontata ampiamente da Solzenycin, che le dedicò un capitolo del suo Arcipelago, intitolato I quaranta giorni di Kengir(13).

Il secondo “campo” meritevole di una menzione particolare si trovava in prossimità di Astana ed operò dagli anni ’30 fino ai primi anni ’50. Conosciuto come ALZhIR ― acronimo russo di “campo per le mogli dei traditori della madrepatria di Akmolinskii” ― (14), in esso furono, appunto, imprigionate le mogli dei “traditori della madrepatria”, spesso con i loro bambini, perché l’accusa di tradimento doveva estendersi alla famiglia e anche i figli innocenti dovevano pagare le colpe dei padri! E chiunque fosse stato contro il regime comunista poteva essere considerato un traditore siffatto, magari utilizzando l’”elasticità” del famigerato art. 58 del Codice penale sovietico! (15)
3. I polacchi nei “campi” kazaki
Il 23 agosto 1939 Molotov e Ribbentrop firmarono a Mosca il Patto di non aggressione. Il 17 settembre, meno di un mese dopo, l’Unione Sovietica attaccò la Polonia. Come è raccontato nel Libro nero del comunismo, «[…] l’intervento sovietico trovò poca Resistenza: i sovietici catturarono 230.000 prigionieri di guerra, fra i quali 15.000 ufficiali. […] All’epoca l’operazione di “pulizia” compiuta dall’nkvd era già molto avanzata. Il primo bersaglio erano i polacchi, che furono arrestati e deportati in massa come “elementi ostili”; i più esposti erano i proprietari terrieri, gli industriali, i commercianti, i funzionari, i poliziotti e i “coloni militari” […] che avevano ricevuto dal governo polacco un lotto fondiario nelle zone di frontiera come ricompensa per il servizio militare prestato nella guerra del 1920 tra Polonia e URSS. Secondo le statistiche del dipartimento del gulag relativo ai coloni speciali, tra il febbraio del 1940 e il giugno del 1941 furono deportati come coloni speciali verso la Siberia, il Kazakistan, la regione di Arcangelo e altre zone remote dell’urss 381.000 civili polacchi, provenienti soltanto da territori incorporati nel settembre 1939» (16).
Va ricordata, in particolare, la deportazione dell’aprile 1940, perché «[…] fu strettamente connessa al massacro di Katyń. Allora i sovietici deportarono in Kazakhstan circa 61.000 familiari di soldati polacchi, carcerati negli speciali campi di prigionia, ubicati a Juchnów, Kozelsk, Kozielszczyzna, Oranki, Ostaškov, Putywl e Starobelsk. La maggior parte di essi, erano donne, bambini e anziani che risiedevano nelle città, perciò totalmente impreparati ai pesanti lavori nell’agricoltura e nell’industria. Considerando i criteri di selezione seguiti per le deportazioni, si può avere un’idea chiara della sua stessa portata: i sovietici scelsero di condannare i prigionieri a morte sicura, affinché, in futuro, essi non rivendicassero i loro familiari, ossia i militari già uccisi dei campi di concentramento. In questo consisteva il piano sovietico di “scaricamento” dei campi di Kozelsk, Ostaškov e di Starobelsk, con insieme il tentativo di eliminare progressivamente le famiglie degli ufficiali uccisi» (17).

I treni delle deportazioni si riempirono, dunque, di decine di migliaia di polacchi, per moltissimi dei quali il “biglietto”, come abbiamo visto, aveva per destinazione finale il Kazakhstan (dopo la sua indipendenza, oggi ce ne sono ancora più di 30.000…). Furono “scaricati” nella steppa ― erano per lo più «donne, bambini e anziani che risiedevano nelle città»! ― e fu ordinato loro di costruirsi un villaggio!
Ma le sofferenze dei polacchi erano cominciate già dall’aprile del 1936, quando il Consiglio dei commissari del popolo aveva deciso di “trasferire” in Kazakhstan 36.000 polacchi dalle regioni di frontiera dell’Ucraina. L’accusa? Si trattava di «elementi infidi»! I deportati vissero in tenda la prima estate, poi, per proteggersi dal terribile freddo dell’inverno kazako, riuscirono a costruirsi miseri rifugi di fortuna, i cosiddetti ziemlyankas (18). In quello stesso anno fondarono alcuni villaggi tra cui, al Nord della nuova “patria”, Jasna Polana, Zielony Gaj, ma soprattutto Oziornoje, che, da allora in poi, non potettero più lasciare senza il permesso delle autorità.
Ad ogni polacco era stato concesso di portare con sé solo poche cose, poco di più degli abiti che aveva addosso; ma i “deportatori” non riuscirono ad impedire che i “deportati” portassero dentro di sé, nel loro cuore, tutta la loro grande e profonda fede… E il vento che staffilava le steppe kazake cominciò a spargere le loro preghiere e a seminare i grani dei loro Rosari in queste «terre inumane»…
4. Il Grande Miracolo
Furono decimati dalla fame e dalle malattie, soffrendo in modo indicibile, ma la preghiera poteva fare miracoli, come, per esempio, raccontò Lucyna Dziurzynska Suchon, una sopravvissuta alle deportazioni del 1939-1940, quando aveva solo sei anni: «Mi ricordo di uno dei momenti più drammatici della nostra vita. Per diversi giorni non abbiamo mangiato niente, letteralmente niente. Era inverno. La baracca era interamente coperta di neve, Ma si poteva uscire grazie a un tunnel che qualcuno aveva scavato dall’esterno. … La mamma è potuta andare a lavorare. Aveva fame anche lei come noi. Stavamo sdraiati sul pagliericcio, stretti gli uni contro gli altri per tenerci caldo. Ci scintillavano delle lucine negli occhi. Non avevamo più la forza di alzarci. Faceva molto freddo anche nella baracca. … Dormivamo, dormivamo in continuazione. Mio fratello di tanto in tanto si svegliava e gridava “Ho fame”. Non riusciva a dire niente altro se non: “Mamma, sto morendo”. La mamma piangeva. È andata a chiedere aiuto nelle baracche vicine, dai nostri amici. Senza nessun risultato. Ci siamo messi a pregare: “Padre nostro…”. E probabilmente è successo un miracolo. Dalla baracca vicina è arrivata un’amica con una manciata di grano»(19).

Ma il miracolo più grande e straordinario sarebbe avvenuto nel 1941, a Oziornoje, il villaggio fondato dai deportati cattolici polacchi cinque anni prima. Con l’inverno, come sempre, era arrivata, insieme al freddo micidiale e alla neve, una terribile fame. In più, in quei primi mesi d’anno Stalin ― cominciando ad avvertire il pericolo tedesco (tre mesi dopo, il 22 giugno, le divisioni hitleriane sarebbero entrate nel territorio dell’Unione Sovietica, lanciando la cosiddetta «Operazione Barbarossa») ― aveva stabilito di mandare tutto il cibo alle truppe che si preparavano alla battaglia. I poveri deportati, ridotti allo stremo, erano disperati… «Non si riusciva più a sfamare i bambini. Tutti gli abitanti del paese cominciarono a chiedere aiuto alla Madonna, pregando il rosario nelle loro case a porta chiusa» (20). E a marzo avvenne il miracolo…
… la neve cominciò a sciogliersi e … misteriosamente un lago in secca da tanti anni tornò improvvisamente a “vivere”. E dove il giorno prima era solo steppa, ci fu di nuovo il lago … un lago diventato grande, profondo cinque metri e lungo circa cinque chilometri. E non solo grande, ma, ben di più, tale da nascondere “dentro” di sé la vita: le sue acque erano, infatti, miracolosamente piene di tanti grossi pesci! Talmente tanti, che riuscirono a sfamarsi non solo gli abitanti di Oziornoje ― ora sono 600, allora forse erano 1.500 (21) ―, ma anche quelli dei villaggi sia vicini sia più lontani, fino agli affamati dello sconfinato sistema di gulag di Karaganda.
«E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene.» (Mt 14,19-20)
«Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.» (Mt 15,35-37)
Ancora una “moltiplicazione dei pesci”, la terza!(22) Avendo cercato prima di tutto il regno di Dio e la Sua giustizia, avevano da Lui ricevuto in aggiunta anche il sostegno necessario alla loro vita terrena! (23)
E ai poveri affamati sembrò di trovarsi, come in illo tempore, sulla sponda orientale del lago di Tiberiade…
Nessuno riuscì a trovare una spiegazione scientifica del fenomeno. La spiegazione la trovarono i buoni e fedeli cattolici polacchi che sapevano guardare “oltre” la scienza. Si ricordarono del libro di Isaia ― «Allora lo zoppo salterà come un cervo,/ griderà di gioia la lingua del muto,/ perché scaturiranno acque nel deserto,/ scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude,/ il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua./ I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli / diventeranno canneti e giuncaie» (Is, 35, 6-7) ― ma, soprattutto, trovarono la conferma di quanto già “sapevano” bene, cioè della straordinaria potenza dell’arma del Rosario che in quei terribili giorni avevano impugnato con fede incrollabile e con tanta forza.
Dio, attraverso la mediazione della Madre e del Figlio che loro così intensamente avevano sollecitata, li aveva ascoltati… e lo aveva fatto in modo tale che potessero “sapere” ancora meglio: quel martedì 25 marzo 1941 non era, infatti, un giorno qualunque, era il giorno della festa dell’Annunciazione!
5. Il Santuario di Oziornoje e la Regina della Pace
I cattolici polacchi capirono perfettamente e non dimenticarono.

E quarant’anni dopo, a maggio del 1990― quindi, solo qualche mese prima di quel fatidico 25 ottobre in cui il Kazakhstan, dopo 71 anni, avrebbe proclamato la sua indipendenza, finalmente libero dal giogo comunista sovietico ― gli abitanti di Oziornoje, dopo aver ottenuto a marzo il permesso da Mosca, cominciarono a costruire una chiesa per la loro parrocchia dedicata alla Regina della pace, che qualcuno ha poi incominciato a chiamare la “Piccola Medjugorie”. «Alla costruzione parteciparono tutti gli abitanti del villaggio, assistiti dai cattolici di altri paesi della zona. La gente di Oziornoje racconta che aiutavano sia i bambini che gli anziani, che portavano un mattone alla volta» (24).
Il tributo di onori per la Regina della pace da parte dei Polacchi non venne mai meno nel tempo, anzi si potrebbe dire che via via si è trasformato in un crescendo.
La parrocchia, negli anni della costruzione della chiesa, era affidata a un sacerdote polacco, arrivato in Kazakhstan come missionario, don Tomasz Petadestinato in futuro ad assumere incarichi sempre più importanti(25). Don Tomaszla resse fino all’agosto del 1999, quando dovette lasciarla perché nominato Amministratore Apostolico di Astana.

La parrocchia e la sua chiesa in costruzione cominciarono anzitutto a “impreziosirsi” della statua della Regina della pace, ricevuta in regalo il 14 dicembre 1991 dal sacerdote olandese don Nico Hoogland, lo stesso che per entrambe aveva proposto la dedica mariana (26). L’anno successivo, nel 1992, a lavori ancora in corso, la statua fu benedetta dal cardinale Józef Glemp (1929-2013), il primate di Polonia. Nel 1993 la nuova chiesa era finalmente terminata e il 27 giugno mons. Jan Paweł Lenga ― allora Amministratore Apostolico del Kazakhstan e dell’Asia centrale e vescovo titolare di Arba ― poté consacrarla. Era una bella chiesa bianca, con la facciata incorniciata tra due torri un po’ tozze ma che cercavano slancio verso l’alto ― forse, chissà, per assomigliare un po’ a Medjugorie… ― con il loro tetto a cuspide sormontato da una semplice e snella croce metallica.
Il 25 ottobre 1994 ancora il vescovo mons. Lenga proclamò la Regina della Pace di Oziornoje patrona del Kazakhstan e dell’Asia centrale, mentre l’anno successivo, il 25 giugno 1995, ― il giorno della festa solenne della Regina della Pace di Medjugorie, lo stesso giorno in cui per la prima volta, nel 1981, la Madonna aveva parlato ai veggenti ― mise «il Kazakistan e tutta l’Asia Centrale sotto la [Sua] protezione [e] ogni anno il Vescovo rinnova questa consacrazione» (27).

Il 25 marzo 1996 fu dato inizio alla pratica dell’Adorazione quotidiana al Santissimo Sacramento, mentre l’anno dopo, dal 22 al 25 giugno 1997, cioè nella ricorrenza della medesima festa solenne, la parrocchia di Oziornoje fu visitata dalla statua della Madonna di Fatima. E proprio in occasione di quella visita così importante, il 24 giugno, festa di san Giovanni Battista, i fedeli cattolici di Oziornoje, a grato ricordo del grande miracolo ricevuto, alzarono al cielo la “loro” Madonna. In mezzo a quel lago ― un lago che esiste ancora, sebbene di dimensioni ogni anno variabili, e che nel 2017, nel centenario delle apparizioni di Fatima, tornò per una volta ad essere grande e pescosissimo ―, piantarono un lungo palo su cui posero la statua della Madre del Signore che teneva tra le mani una rete piena di pesci.

Non era, però, una statua qualsiasi; si potrebbe dire, se mi si passa l’espressione, che si trattava di una scultura per loro assolutamente “d.o.c.” perché era stata realizzata in Polonia ed era stata benedetta nella loro patria comune solo qualche giorno prima (il 3 giugno, a Poznan) da san Giovanni Paolo II (1920-2005) durante uno dei suoi viaggi apostolici!
Poi, nel giugno 1998, il vescovo Jan Paweł Lenga consacrò una croce alta 12 metri eretta sulla vicina collina di Wołyńskiej come monumento alla memoria delle vittime del comunismo nei “campi” kazaki.
L’anno successivo, dal 24 al 27 giugno 1999, ― quindi sempre in occasione della festa della Regina della Pace ― la parrocchia accolse le reliquie di santa Teresa di Gesù Bambino.

A settembre del 2000, il Primate della chiesa polacca card. Józef Glemp visitò per la seconda volta il Santuario di Oziornoje, celebrando ― su un altare da campo posto sotto la grande Croce sulla collina ― una Messa nella cui omelia espresse «la speranza che in pochi anni la parola Oziornoje sarebbe stata pronunciata insieme alle parole di Fatima, Lourdes, Czestochowa e Guadalupa»; in quell’occasione benedisse quattro lapidi murate sul basamento della Croce, con la stessa preghiera, ma ognuna in una lingua diversa (kazako, polacco, russo, tedesco): «A Dio / Gloria al popolo / Pace ai Martiri / Il Regno dei cieli al popolo kazako / Gratitudine al Kazakhstan / Prosperità». La grande Croce, come rilevò mons. Peta, «si può dire che si trova al centro dell’Eurasia indicando verso l’Est e l’Ovest, rispettivamente, Hiroshima e Fatima» (28). In quello stesso anno, il 15 agosto, festa dell’Assunzione, prese avvio l’annuale Giornata della gioventù, con la pratica della Via Crucis che si snoda dal Santuario alla collina della grande Croce, ai cui piedi si conclude. Quel giorno, come dicevano con una punta di sano orgoglio i suoi abitanti, Oziornoje diventa “il paese più giovane del Kazhakstan”.

Un anno dopo, nel settembre 2001, i cattolici polacchi “sopravvissuti” ― molti non da discendenti ma ancora in vita ― ai tremendi gulag kazaki raggiunsero l’apice della soddisfazione per la loro fedeltà e la loro eroica capacità di sopportazione: dal 22 al 25 di quel mese, infatti, la “nuova” nazione in cui erano stati costretti a vivere ebbe l’onore di ricevere la Visita Pastorale del “loro” grande Papa! E san Giovanni Paolo II ― nell’Angelus pronunciato dopo la Messa solenne celebrata il 23 settembre nella Piazza della Madre Patria di Astana ― ricordò proprio Oziornoje e la sua Regina della Pace: «In questo momento voglio anche recarmi in pellegrinaggio spirituale al vostro Santuario mariano nazionale, situato presso Oziornoe. In esso voi, carissimi Fratelli e Sorelle, venerate la Vergine col titolo di “Regina della Pace”. Prostrato ai suoi piedi, prego per l’intera Nazione del Kazakhstan: per le sue Autorità e per i cittadini, per le famiglie, i giovani, i bambini e gli anziani, per i sofferenti e per i bisognosi» (29). In occasione dello stesso Angelus, nel saluto in lingua polacca aggiunse: «Vi voglio assicurare [ai polacchi che vivono nel Kazakhstan, ndr] che il mio cuore non vi ha mai dimenticati. Nella preghiera ogni giorno affidavo alla bontà di Dio voi e tutta la Chiesa del Kazakhstan. Oggi gli rendo grazie per voi, perché continuamente vi concedeva la potenza dello Spirito Santo, grazie alla quale avete conservato la fede dei vostri padri, nonostante prove e persecuzioni di vario genere. Anche a voi un grazie di cuore per questa fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Vi prego, perseverate nel rendere tale testimonianza» (30).
Come già ricordato, nel 1995 il vescovo mons. Lenga aveva affidato la terra kazaka e tutta l’Asia Centrale alla Regina della Pace di Oziornoje, rinnovando ogni anno tale affidamento. Ebbene, durante la sua Visita Pastorale nel 2001, «il Papa Giovanni Paolo II ― come ricordò l’arcivescovo mons. Peta ― ha rinnovato personalmente questa consacrazione nella capitale, insieme con tutti i vescovi e sacerdoti del nostro paese, visitando spiritualmente Osornoje. Lo stesso giorno, il Papa ha designato questo luogo come il Santuario nazionale del Kazakistan» (31).
2 febbraio 2019, Presentazione di Gesù al Tempio
(continua)
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(1) Tomasz Peta (Mons., Metropolita-Arcivescovo di Astana), “Il Kazakistan, un paese di sofferenza e il Centro per incontri ‘Madre di tutti i Popoli’”, intervento in occasione della 5a Giornata Internazionale di Preghiera, Amsterdam 7 – 8 giugno 2003, nel sito web
http://www.de-vrouwe.info/it/amsterdam-2003/11067-2003-msgr-peta
(2) Nel mio scritto, utilizzerò sempre il nome Kazakhstan, mentre nelle citazioni lascerò quello da esse riportato.
(3) Astana è una capitale“giovane” in quanto lo è solo dal 1997, quando ha sostituito nel “ruolo” Almaty. (o Alma Ata). Ma è “giovane” anche il suo nome, Le fu imposto, infatti, solo nel 1998; prima, fin dalla sua fondazione nel XVIII secolo, si era chiamata Akmolinsk; poi, dal 1961 al 1992, si chiamò Celinograd, che significava “Città delle terre vergini”; infine, dal 1992 al 1998, prese il nome di Akmola.
(4) Più precisamente GULag, acronimo di Glavnoe Upravlenie lagerej, Direzione centrale dei lager.
(5) Nel 1961, per esempio, Nikita Krusciov puntò a far diventare il Kazakhstan il secondo produttore di cereali fra le repubbliche dell’URSS.
(6) Piotr Kościński, Kazakhstan: An “Inhuman Land” Increasingly Human (Kazakistan: una “terra inumana” sempre più umana), 12 marzo 2018, nel sito web
(7) Il Giubileo della Divina Misericordia fu indetto da Papa Francesco per il periodo dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016, cioè dalla festa dell’Immacolata Concezione a quella di Gesù Cristo Signore dell’Universo.
(8) Nel mio scritto, chiamerò il paese del miracolo sempre Oziornoje. Nelle citazioni lascerò, invece, il nome in esse utilizzato.
(9) «Nel 1924, col nome di repubblica autonoma di Kirghisia», nota originale dell’autore.
(10) Aleksàndr Isaevič Solženicyn, Arcipelago GULag. 1918-1956. Saggio di inchiesta narrativa, vol. 3°, trad. it., Mondadori, Milano 1978, pp. 392-394.
(11) I lager di Karaganda avrebbero costituito il KarLag (da Karagandinstky Lager), un sistema di “campi” enorme, le cui vittime sono commemorate nel Museo di Dolinka, inaugurato nel maggio 2001. «A Karlag furono dati 120.000 ettari di terra coltivabile, 41.000 ettari di campi di fieno. La lunghezza del territorio di Karlag da nord a sud è di 300 km e da est a ovest di 200 km», nel sito web
Per il Museo di Dolinka, vedi, tra gli altri, nel sito web
(12) A. Solženicyn, cit., vol. 2°, p.144.
(13) Idem, cit, vol. 3°,pp. 331-384. La rivolta di Kengir non fu comunque l’unica che si registrò nei “campi” sovietici. «L’aspro periodo del sanguinoso mattatoio denominato GULAG è durato metà del tempo della storia sovietica. […] Dopo la morte di Stalin, le nuove autorità riconobbero che, non solo quel gigantesco complesso di produzione e internamento non era efficace per l’economia, ma poteva addirittura diventare causa della caduta del regime sovietico. Stavano iniziando rivolte, insurrezioni di massa, scioperi, come la rivolta di Noril’sk, quella di Vorkuta, di Kengir, e altre ancora, che non avevano ormai un carattere soltanto locale»(Francesco Bigazzi, Il primo Gulag. Le isole Solovki, Mauro Pagliai editore, Firenze 2017 p.86).
(14) L’ALZhIR accolse però non solo donne ma anche prigionieri di rilievo, artisti e attrici. Per ricordare le efferatezze del “campo”, nel 2007 ― inaugurato dall’attuale presidente Nursultan Ábishuly Nazarbayev ― fu aperto a Malinkova, a una trentina di chilometri da Astana, il Museo memoriale ALZhIR, incorporando in esso il Memorial to the Victims of Political Repression che si trovava nella capitale. Il nuovo Museo, realizzato in un edificio di forma troncoconica, è caratterizzato da un imponente arco a struttura metallica detto Arch of Sorrow (Arco del dolore) e da una carrozza ferroviaria “attrezzata” a simbolo dei treni della deportazione. Cfr., ad esempio, nel sito web
http://ersatzexpat.blogspot.com/2013/05/remembering-gulag.html
(15) Cfr. A. Solzenicyn, cit., vol. 1°, Mondadori, Milano 1974, pp.76-83. Per la micidiale “elasticità” della norma, si può portare ad esempio, il comma 10 che, a p.81, è descritto in questi termini: «Suonava così: “Propaganda o agitazione contenente un appello all’abbattimento, danneggiamento o affievolimento del potere sovietico… come pure la diffusione, produzione o custodia di letteratura avente tale contenuto”. In tempo di pace era specificato, per questo punto, solo il limite inferiore della pena (non meno!non troppa indulgenza!) mentre quello superiore era illimitato.
Così poco una grande Potenza teme la parola d’un suddito.
Famose estensioni di questo famoso punto furono:
– per “agitazione contenente un appello” si poteva intendere una conversazione a quattr’occhi tra amici (o anche fra coniugi) o una lettera privata; appello poteva essere un consiglio personale (Concludiamo che “poteva essere” perché così è stato.)
– “danneggiamento e affievolimento” del potere era qualsiasi pensiero che non coincidesse con quello del quotidiano del giorno o non raggiungesse la sua incandescenza. Infatti affievolisce tutto ciò che non rafforza! Infatti, danneggia tutto ciò che non coincide perfettamente!».
(16) Nicolas Werth, Uno stato contro il suo popolo. Violenze, repressioni, terrori, nell’Unione Sovietica – cap.XI L’impero dei campi, in Idem, Stéphane Courtois, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel Bartosek, Jean-Louis Margolin, Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore, repressione, trad. it., Mondadori, Milano 1998, pp. 31-252 (pp. 194-195).
(17) Tadeusz Wolsza, Katyn 1940. Le circostanze del massacro sovietico e le sue conseguenze (pp.743-757), in Jan Mikrut (a cura di), Testimoni della fede. Esperienze personali e collettive dei cattolici in Europa centro-orientale sotto il regime comunista, Il Segno dei Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano (VR) 2017.
(18) Si trattava di piccoli rifugi – in genere costruiti a protezione degli animali domestici – ricavati scavando il terreno e coprendoli con tetti di rami o zolle di terra. Cfr. nel sito web
(19) Andrzej Paczkowski, Polonia, la «nazione nemica» (pp.339-367) – Le repressioni sovietiche contro i polacchi di Idem eKarel Bartosek L’altra Europa vittima del comunismo (pp.337-428) in S. Courtois, N. Werth, J. Panné, A. Paczkowski, K. Bartosek, J. Margolin, cit., p.347, citato da Triptyque Kazach: mémoires de deportation, Warszawa 1992.
(20) Natalia Rykowska, La vita religiosa dei cattolici in Kazakhstan, (pp. 727-757), in J.Mikrut (a cura di), La chiesa cattolica e il comunismo. In Europa centro-orientale e in Unione Sovietica, con prefazione del cardinale Miloslav Vlk, Il Segno dei Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano (VR) 2016, p.746.
(21) Cfr. nel sito web
(22) Cfr. Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Mondadori, Milano 2011, par. 391, p. 432.
(23) «Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.» (Mt 6,31-34).
(24) N. Rykowska, cit., p.747.
(25) Nel 2001 – ricevuta la consacrazione episcopale da san Giovanni Paolo II – mons.Peta divenne Vescovo titolare di Astana; poi, nel maggio del 2003, fu nominato arcivescovo della nuova provincia ecclesiastica kazaka, con l’erezione dell’Arcidiocesi, sempre di Astana, intitolata alla Beata Vergine Maria. Oggi è il Presidente della Conferenza Episcopale kazaka.
(26) In tutto il paragrafo, per le informazioni sui fatti e la loro cronologia, ho fatto riferimento al sito web
(27) T.Peta, cit.
(28) Ibidem.
(29) Giovanni Paolo II, Angelus, Astana 23 settembre 2001, Piazza della Madre Patria, in occasione della Visita Pastorale in Kazakhstan e Viaggio Apostolico in Armenia (22-27 settembre 2001).
(30) Ibidem.
(31) T.Peta, cit.
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