Le truppe americane, o meglio della NATO, si sono ritirate dall’Afghanistan. Il Presidente Biden, spinto forse dalla convinzione che la situazione si fosse stabilizzata e certamente pressato da problemi interni, ha dato esecuzione agli accordi di Doha firmati nel febbraio 2020. Quale sarà il destino dell’Afghanistan lasciato a se stesso? I Telebani hanno rioccupato tutto il territorio, resta libero solo il Panshir controllato al momento da Ahamad Massud, figlio del generale Massud, noto come il Leone del Panshir, ucciso nel 2001, pochi giorni prima dell’attentato alle Torri Gemelle. Fuggito il Presidente Ghani, la Repubblica islamica dell’Afghanistan si è trasformata in Emirato sotto la leadership di Mawlawi Hibatullah Akhundzada (?).
L’Occidente si stupisce, si straccia le vesti, e manda in onda le manifestazioni di protesta, censurando completamente quelle di giubilo e sostegno al nuovo staus quo. I Telebani sono giunti al controllo del territorio perché sostenuti da molti, e poi, da che mondo è mondo, molti sono sempre pronti a salire sul carro del vincitore quindi non ci possono raccontare solo l’indignazione e la paura!
Quanto è successo dovrebbe però far alzare le antenne su tutta la regione perché se l’Afghanistan piange, il Pakistan certo non ride.
Dopo il grande scalpore suscitato dalla sentenza di assoluzione nei confronti di Asia Bibi – cattolica accusata di blasfemia, condannata a morte, detenuta in carcere per 9 anni, oggi costretta all’esilio in Canada con tutta la sua famiglia – è sceso un velo di silenzio ma le cose non sono migliorate, anzi, probabilmente proprio dal Pakistan i Telebani hanno ottenuto finanziamenti e armi perché anche lì il governo è in larga parte estremista.
La sezione 295 del Codice Penale pakistano, emanata nel 1986 sotto il dittatore Zia-ul-Haq, ai punti B e C, punisce con l’ergastolo o la pena di morte chiunque profani il Corano o pronunci affermazioni diffamatorie nei confronti del profeta Muhammad.
E’ diventata nel tempo un mezzo per perseguitare le minoranze religiose e gli stessi musulmani avversi al potere. Dopo la carcerazione di Asia Bibi e la campagna di informazione sul tema sollevata a livello internazionale, la legge è stata più volte oggetto di discussione e di moderazione nello stesso Pakistan ma le cose non sono molto cambiate.
Padre Javed Gullo, sacerdote cattolico attualmente a Roma per la licenza in Missiologia presso la Pontificia Università Urbaniana, ci conferma che “dopo Asia Bibi non è cambiato nulla anzi peggiora di giorno in giorno”. I casi di accusa per blasfemia sono continuati come pure le minacce a chi esprime pareri contrari tanto che molti avvocati non hanno il coraggio di assume la difesa degli imputati. I cristiani cattolici sono una presenza ormai storica nel Paese. Sempre padre Javed ricorda che “la Chiesa Cattolica è la più antica Chiesa del Paese, riconosciuta come legale da più di 200 anni. La Santa Sede iniziò ad avere relazioni con i Cristiani presenti in Pakistan il 17 luglio 1950 dando vita ad una Delegazioni Apostolica che oggi ha sede a Quetta.
Il primo delegato pontificio fu Mons. Cornelius Van Miltenburg, arcivescovo di Karachi. La Chiesa Cattolica è chiamata la madre di tutte le chiese. Inizialmente il Pakistan aveva 4 diocesi: Lahore, Karachi, Multan e Rawalpindi-Islamabad e dopo l’indipendenza si sono aggiunte le diocesi di Hyderabad e Faisalabad.”
Ciò nonostante, i cattolici sono discriminati e perseguitati ma “il Governo pakistano è spaventato dall’estremismo musulmano. Per questo tace su simili accuse, per non incrinare la stabilità del proprio potere. Il Governo pakistano non è interessato a cosa succede ai Cristiani”. E continua Padre Javed “il futuro dei Cristiani pakistani è duro, non ci sono speranze che la legge sulla blasfemia venga cambiata perché è un Paese musulmano. I Pakistani cristiani non sono uguali agli altri cittadini.”
Il tema delle conversioni all’islam da altre religioni ha suscitato dibattito anche all’interno del Parlamento nello specifico sul limite di età. Diverse comunità religiose hanno chiesto che fosse posto il limite dei 18 anni, tuttavia il Ministro per gli Affari religiosi, Noorul Haq Qadri, ha affermato di non voler sostenere un possibile limite minimo in quanto “se uno vuole cambiare religione, questa è una sua libera scelta”. Unitamente era stata sottoposta al Consiglio per l’ideologia islamica, organo consultivo, la questione del limite di età per il matrimonio. Le due questioni sono strettamente legate in quanto, come spiegato da Nasir Saeed, Direttore della Ong “CLAAS” (Centre for Legal Aid Assistance & Settlement), i casi di giovani ragazze cristiane e indù rapite, costrette alla conversione e poi al matrimonio con un musulmano, sono vertiginosamente aumentate nell’ultimo anno. Dichiara all’agenzia Fides “Ho riscontrato personalmente almeno due dozzine di casi di conversione forzata di giovani ragazze cristiane nel Punjab, e il 90% delle ragazze ha meno di sedici anni” e “spesso la polizia trasforma i casi di rapimento in casi di ‘conversione religiosa’ e poi, invece di intraprendere le necessarie azioni contro il rapitore, consegna un certificato di conversione ai genitori della ragazza rapita, dicendo che la ragazza si è convertita all’Islam di sua spontanea volontà, quindi essi non possono fare nulla ed è tutto legale“.
La violazione dei basilari diritti umani si manifesta anche in altre situazioni come l’applicazione di pene hudud (regole di diritto penale che, basate sul Corano, comportano la flagellazione, la lapidazione, il taglio degli arti alcuni comportamenti considerati deplorevoli quali il gioco d’azzardo, l’adulterio, l’uso di alcool ed altro) da parte di giudici pressati dalle folle aizzate da mullah estremisti, gli stessi che hanno più volte causato l’assalto a luoghi religiosi con incendi e distruzioni.
Ma la violazione della libertà religiosa pakistana si colloca anche in altri settori. E’ di questi giorni la decisione della Corte Suprema di Peshawar, pronunciatasi a favore del governo della provincia di Khyber Pakhtunkhawa, nell’ambito della battaglia legale in corso tra Chiesa anglicana e governo provinciale, per la chiusura e la nazionalizzazione dell’Edwardes College nella città di Peshawar.
L’istituto di istruzione e formazione era stato fondato nel 1853 su terreno di proprietà della Chiesa anglicana e per questo era stato escluso da tutte le precedenti forme di nazionalizzazione. Il caso ha avuto origine nel 2014 quando i missionari americani lasciano la gestione dell’ente ad esponenti locali della loro comunità e viene eletto il primo preside cristiano pakistano. Un accademico musulmano, contestando tale nomina, ha portato il caso dinanzi all’Alta Corte nel 2016. Alla ferma protesta del vescovo anglicano di Peshawar Mons. Humphrey Sarfraz Peters si sono unite quelle di tutti i religiosi cristiani della regione ma non sono valse a nulla.
Sempre di luglio è la richiesta di Anthony Naveed, laico cattolico e membro della Assemblea provinciale del Sindh, di vietare palesi forme oltraggiose e discriminatorie verso le minoranze religiose nei bandi di lavori pubblici. “Nei bandi di lavoro pubblici per gli operatori ecologici e i lavori di pulizia delle strade e delle fogne, si fa ancora riferimento al requisito necessario di ‘riservato ai non musulmani’. Questo è imbarazzante per me, che sono un deputato non musulmano. Rivolgo umilmente la mia richiesta al governo del Sindh perché faciliti l’adozione di una legislazione che blocchi tali annunci discriminatori, pubblicati da enti statali, che disonorano membri delle minoranze religiose” ha scritto nella richiesta ufficiale depositata presso l’assemblea del Sindh. Ma si deve notare che il problema non è limitato ad una zona del Paese perché analoghe situazioni sono comuni nel Punjab, Baluchistan e Khyber Pakhtun Khwa.
La comunità internazionale deve prendere atto che simili leggi sono fortemente lesive della dignità della persona in Pakistan e che il potere acquisito dai Telebani in Afghanistan favorirà il crescere della radicalizzazione anche in quel Paese.
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