Nella Letteratura di Metastasio l’uomo appartiene alla categoria dell’utopia, quella del dover essere e del voler essere, che rappresenta uomini e cose in un modo conforme a quel tipo di perfezione e di desiderio in fondo comune a tutti noi, e capace di produrre un’ammirazione che crei due realtà possibili: quella dell’uomo reale, un mix di grandezza e di bassezze, di pazzia e di sapienza, e quella invece dell’utopico ideale di uomo eroe, perfetto e desiderabile.
La Tragedia nel seicento e nel settecento si concentra in effetti sul tema della passione d’amore, ma la cui morale è basata su un’analisi astratta del cuore, ignorante la commistione e compresenza degli opposti, e la relatività degli affetti e delle passioni: qui, vividamente, ben rappresentata dagli slanci amorosi e dalle imprecazioni, dai perdoni generosi e dalle suicide immolazioni delle due eroine, Didone e Deidamia, abbandonate dai loro uomini, non più amanti.
Per la Didone, il Metastasio ricava la vicenda dal IV libro dell’Eneide virgiliana, descrivendo un sentimento che non sconfina mai nella passione, che non raggiunge i livelli di pathos tipici della tragedia greca. Le figure di Enea e Didone sono infatti spogliate della loro natura eroica: Enea sembra più un uomo comune, debole, e non davvero il mitico eroe, incapace com’è di scegliere tra il dovere e l’amore; Didone, invece esprime la sua passione mediante sospiri e languori ma con atteggiamenti più tipici di una dama del Settecento, scevra com’è delle austerità severe di una regina.
Entrambi i personaggi si presentano quindi come due figure non tragiche o, almeno, tragiche entro quei limiti cui poteva concepirle la società galante alla quale il Metastasio apparteneva e per la quale scriveva e pensava le sue Opere, nelle quali andava inserendo una chiarezza razionale nello sviluppo delle trame e della psicologia dei personaggi.
Il testo musicato nel 1816 (ma pubblicato nel 1895) da Franz Schubert rivela il suo talento drammaturgico. Peccato che la produzione operistica del viennese si sia limitata alle sole Opere “Alfonso ed Estrella” e al “Fierrabras”, perché questo lied tragico mostra tutte le qualità teatrali e musicali schubertiane: un microcosmo, un cameo della sua Arte incredibile.

Trama
Didone abbandonata, Metastasio – Atto II, Scena IV (Aria di Didone).
Didone, Regina della nascente Cartagine, dà soccorso al naufrago Enea e al suo equipaggio, avviando con lui un’intensa relazione amorosa. Tuttavia Enea ricordando la promessa rivolta al padre morente di far rinascere Troia presso altri lidi, e pur amando profondamente Didone, sente il dovere di salpare segretamente in direzione dell’Italia. […]
Didone ravvisa il suo turbamento senza indovinarne la ragione ed ottenuta la conferma che Enea è partito, né può ormai essere più raggiunto, pur tra molti dubbi e dopo aver maledetto l’amato, noncurante infine dei pericoli né delle suppliche della sorella, di Araspe e di Osmida, rinuncia a porsi in salvo.
VEDI QUANTO ADORO D 510 di Franz Schubert (1797 – 1828)
Vedi quanto adoro ancora ingrato.
Con un tuo sguardo solo
Mi togli ogni difesa, e mi disarmi.
Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?
Ah! non lasciarmi, no, bell’idol mio:
Di chi mi fiderò se tu m’inganni?
Di vita mancherei nel dirti addio;
Che viver non potrei fra tanti affanni.
Link per l’ascolto
Soprano: Marianna Cappellani
Pianoforte: Ivan Manzella
Inaugurazione Teatro Massimo Comunale di Siracusa
Gran Galà Lirico – 30 Dicembre 2016
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