Stefano Aviani Barbacci, 22/05/2021
Prevedibilmente l’Unione Europea (e l’Italia) confermerà anche quest’anno le sanzioni che da dieci anni sono state illegalmente inflitte alla Siria (non autorizzate dall’ONU). La gran parte dei cittadini italiani non sa nulla di questo embargo che ha trascinato quello che un tempo era considerato un Paese amico in una guerra infinita e nella povertà estrema. Neppure conoscono la copiosa documentazione prodotta in questi anni sulle cause del conflitto, che mostra come un’alleanza di Paesi “perbene” (anche Europa e Stati Uniti) abbia appaltato la destabilizzazione della Siria a un fronte islamista di derivazione qaedista, sostanzialmente omogeneo agli interessi e alla visione religiosa delle Monarchie del Golfo e della Turchia.
Colpisce anche il silenzio dei media sulla realtà della Siria come compagine nazionale: il complesso equilibrio etnico, linguistico e religioso, la presenza di una numerosa e antica comunità cristiana (il 10-12% della popolazione prima della guerra), il carattere “laico” della Costituzione e dell’ordinamento giuridico, la protezione legale di tutte le minoranze, l’istruzione obbligatoria che non discrimina in base al sesso, la qualità degli studi universitari (anche qualche viterbese ha studiato a Damasco e serba un bel ricordo della vita universitaria in Siria), il welfare e il miglior sistema sanitario dell’area vicino-orientale dopo quello di Israele. Non era di certo questo il peggiore dei Paesi del mondo, però era uno di quelli privi di debito estero e che non aveva bisogno di chiedere prestiti al FMI, una caratteristica di quelle che oggi non si perdonano…

Quanto detto era ben noto alla classe politica italiana che celebrava i progressi di un Paese definito dai presidenti delle Camere “amico dell’Italia” (era il 2010) e conferiva, per mano del presidente Giorgio Napolitano la più alta onorificenza della Repubblica italiana a Bashar al-Assad, ospite a Roma con la moglie Asma. L’anno prima il nostro presidente e la moglie Clio erano stati festosamente accolti a Damasco. Del resto, la Siria era anche, e fin dai tempi di Enrico Mattei, un nostro importante partner commerciale… Quel che è accaduto dopo meno di un anno da quella visita non ha alcuna giustificazione o spiegazione logica, a meno che non si prenda in considerazione la perdita di sovranità del nostro Paese, ormai costretto a seguire in modo cieco ed autolesionistico le direttive di politica estera gradite a quei circoli sovranazionali che sembrano guidare il mondo.
La Siria era anche un Paese sostanzialmente pacifico: in una regione turbolenta come il Medio Oriente, l’ultima guerra “tra Stati” combattuta dall’esercito siriano datava al 1973 (contro Israele), gli ultimi scontri “di frontiera” datavano al 1982 (nella valle della Beqah a seguito dell’invasione israeliana del Libano), dunque 30-40 anni di pace… Come molti esperti militari segnalano, l’esercito siriano era fermo alle tecnologie militari degli anni ‘60-‘70, inquadrava un personale poco numeroso (120.000 uomini) e prevalentemente “di leva”. Dunque, ha avuto difficoltà a reagire quando si è ritrovato di fronte una forza di pari numero, formata in prevalenza da professionisti addestrati (e fanatizzati) in Turchia e Giordania, ben riforniti di armi moderne di fabbricazione occidentale (dai missili anticarro TOW ai Manpad anti-aerei, dai telefoni satellitari ai sistemi computerizzati per il controllo del campo di battaglia).

Non c’è stato bisogno di alcun dibattito parlamentare per decidere di cacciare l’ambasciatore siriano da Roma (era il 2011) e cancellare di punto in bianco decenni di buoni rapporti diplomatici e commerciali tra i due Paesi. Scarsa è stata l’attenzione da parte dei giornali, nulla quella delle televisioni. La gran parte dei nostri connazionali tuttora ignora che l’Italia ha decretato, con i partner europei, un durissimo embargo che ha minato la capacità di quel Paese di difendersi dai suoi spietati nemici. La nostra posizione, al di là delle belle parole e di quelle buone intenzioni di cui (come è noto) è lastricata la via dell’inferno, è stata “oggettivamente” di supporto a quei movimenti fondamentalisti che esplicitamente rivendicano un legame con al-Qaeda. Giusto qualche lacrima di coccodrillo quando l’ISIS ha fatto a pezzi l’antica città romana di Palmyra.
Credo che la responsabilità del nostro Paese in questa tragedia sia reale e che gravi siano le colpe della nostra classe politica che ha sposato, per ragioni di mero opportunismo, letture prefabbricate e di comodo e con ciò ha messo da parte (o così almeno sembra) ogni eventuale problema di coscienza sulla legittimità di certi fini e sulla moralità di certi mezzi. Le prospettive di questo machiavellico procedere sono sotto gli occhi di tutti: nonostante gli oltre 400.000 morti, la Siria (sebbene assediata e stremata) ancora resiste. Dove però “la rivoluzione” ha trionfato (in Libia come pure nella provincia siriana di Idlib) vediamo bene che non si è affermata alcuna democrazia, che il territorio “liberato” è in mano a bande di criminali e che la Turchia, espulsa dalla Libia nel 1911, è ritornata alla grande a signoreggiare sull’opposta sponda del Mediterraneo. Ma questi “magnifici” risultati in cosa corrispondono all’interesse o alla civiltà del popolo italiano?
APPROFONDIMENTI
Giorgio Napolitano ringrazia il presidente Bashar al-Assad in occasione del suo viaggio in Siria prima dello scoppio della guerra.
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