di Grazia e Guido Verna, giugno 2007
5. La miniera di sale e santa Kinga.
Zbigniew è ormai diventato il nostro angelo custode turistico-culturale e anche stamattina abbiamo appuntamento con lui.
La prima meta è la miniera di sale di Wieliczka, un luogo simbolo della Polonia, monumento mondiale dell’Unesco. Formatasi 15 milioni di anni fa, conosciuta già nell’Alto Medioevo, è lunga 300 chilometri, ma se ne possono visitare solo tre, su vari livelli. La sua storia è strettamente legata alla principessa ungherese Kinga (Cunegonda), che diventò regina della Polonia e santa. Dopo aver lasciato la sua patria per seguire il marito straniero, Kinga avrebbe voluto donare ai suoi amati sudditi magiari il prezioso anello di fidanzamento. Questo, però, cadde in una cavità del terreno, rivelando l’esistenza di quelle grotte, con il loro preziosissimo sale.
Anche stamani c’è un bel sole, l’accoglienza è premurosa e la musica è discreta. Zbigniew ha fretta, perché sa che alle nove e mezzo comincia la visita. Arriviamo all’ultimo momento, ma in tempo per procurarci una guida scritta in italiano e inserirci in un gruppo anglofono. Non riusciremo certo a capire granché dal parlato, ma potremo leggere tutte le spiegazioni nella nostra lingua!
Siamo immediatamente inghiottiti dalle viscere della terra, in un tunnel buio e piuttosto stretto.
Si comincia a salire e a scendere su anguste scale di legno, fino a giungere, dopo 378 gradini, finalmente al cosiddetto “subpozzo Daniłowicz”, dove inizia l’itinerario turistico della miniera. Robuste colonne di legno, impregnate e conservate dal sale, sorreggono le volte delle grotte contro la pressione delle rocce. La presenza di cappelle sotterranee, come quella di sant’Antonio, protettore dei minatori, testimoniano la fede di chi, lavorando sottoterra, era perfettamente consapevole dei terribili rischi di ogni giorno.
Le sculture sono tutte di sale, come quelle a grandezza naturale — con santa Kinga al centro — che illustrano la leggenda della miniera nella grotta Janowice. La grotta spalone (significa “bruciata”) è di grandi dimensioni e molto alta, ricorda un incendio e i ricorrenti pericoli dei minatori. Quelli più esperti e coraggiosi — che si chiamavano i “penitenti” — si avvolgevano in panni umidi e andavano a bruciare, con tizzoni issati su lunghi bastoni, il metano che si sprigionava dalla roccia e poteva creare una miscela esplosiva. Le statue di sale presenti li rappresentano perfettamente. Quest’atmosfera ci inquieta un po’ ma bisogna andare avanti, per vedere i sistemi di estrazione e trasporto del sale, il grande argano nella grotta Casimiro e il “paternoster”, il macchinario per pompare le acque salifere fino ai livelli superiori, nella galleria Cunegonda.

Le statue dei nanetti che personificano antichi minatori e i “capelli di sale” dovuti ai fenomeni di cristallizzazione danno un fascino particolare alla miniera, ma soprattutto allentano la tensione.
Seguiamo la comitiva in fila indiana lungo antri freddi e bui. All’improvviso ci si presenta davanti uno spettacolo meraviglioso e completamente inaspettato: senza nessun preavviso, una sorpresa che toglie il respiro. È la cappella di santa Kinga, enorme, imponente, ricchissima, che possiamo ammirare dall’alto, allestita, come leggiamo dalla nostra guida, in un grande spazio rimasto vuoto dopo lo sfruttamento di un immenso blocco di sale verde. Per dare un’idea quantitativa, il “grande spazio” è alto 12 metri, largo 18 mt e lungo 54 mt. Sculture, bassorilievi, cappelle, stemmi, elementi decorativi, perfino i maestosi lampadari sono stati realizzati con il sale. Non sappiamo dove posare lo sguardo, vorremmo abbracciare con gli occhi tutto questo meraviglioso spettacolo e imprimerlo per sempre nella mente e nel cuore. Lo splendore di questo luogo, a cento metri sottoterra, sembra inverosimile! Lentamente, andiamo a vedere i particolari, cominciando dalla statua di santa Kinga, nella parte centrale dell’altare, che stringe fra le mani il blocco luminoso di sale in cui fu rinvenuto il suo anello. Il pulpito, da parte sua, imita la struttura e i bastioni del Wavel, con il leggendario drago. E poi è un succedersi di statue — di santi, di Gesù e della Madonna, con i loro Sacri Cuori illuminati — e di bassorilievi che richiamano episodi biblici (la strage degli innocenti, le nozze di Cana, la fuga in Egitto, l’Ultima Cena, per la cui realizzazione il minatore-scultore si è ispirato a Leonardo). C’è perfino il presepe. E tutto è eseguito con maestria. Poi c’è la Croce, composta con vari tipi di sale a simboleggiare tutte le miniere polacche. E finalmente la statua di Giovanni Paolo II, realizzata nella cappella di santa Kinga nel 1999 e ovviamente anch’essa tutta di sale.



È un luogo incantevole, difficile da immaginare, che invita a rimanere a lungo. Pensiamo al fascino della Messa di mezzanotte di Natale, che qui viene celebrata ogni anno e di quella del 24 luglio in cui si festeggia santa Kinga. Preghiere e concerti in quest’ambiente unico saranno certamente indimenticabili. Dopo un ultimo sguardo d’insieme carico di nostalgia, lasciamo la grotta. Attraversiamo, su un ponticello, un laghetto salato e scendiamo ancora per una scaletta di legno. Strada facendo, scopriamo che nella Miniera c’è anche uno stabilimento termale, un centro sotterraneo di riabilitazione e cura che naturalmente utilizza i sali minerali, nella grotta del lago Wessel (nella grotta del Drago, a 135 metri di profondità, c’è anche un inhalatorium, per le terapie contro le infezioni e le malattie respiratorie, ndr).
Nell’ultimo tratto, un percorso, allestito dagli austriaci, permetteva la traversata in zattera di un corso d’acqua, accompagnata da fuochi di artificio e musica dalla banda delle saline.
L’ultimo incontro è con la statua del “tesoriere”, lo spirito benigno della miniera che metteva in guardia contro i pericoli di crollo, incendio o esplosione. Attraversiamo il grazioso e ampio ristorante e finalmente prendiamo l’ascensore che ci riporta in superficie. Stipati, come acciughe in salamoia, riusciamo finalmente a riveder la luce, lasciando sotto di noi un mondo misterioso e meraviglioso, con quei tesori fatti di sale, questo umile materiale che, nelle miniere di Wieliczka, ha assunto forme artistiche preziose, non effimere, dense di storie e di significati.
Con questi pensieri nella mente, ci troviamo nella grande sala dei souvenir, dove Zbigniew, attento e presente, ci aspetta per continuare il nostro itinerario.
(continua)
Grazia e Guido Verna
giugno 2007
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Le indicazioni di pagina si riferiscono a brani tratti da:
George Weigel, Testimone della Speranza, 1999, Mondadori, Milano
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