di Grazia e Guido Verna, giugno 2007

4. La Madonna Nera.

Subito dopo aver consumato la buona colazione del nostro piccolo albergo, ci informiamo alla reception sui mezzi per poter raggiungere Czestochowa, meta privilegiata del nostro pellegrinaggio. Una gentile signorina ci fa presto capire quanto sia difficile spostarsi con autobus e treno; ci vogliono ore e in un giorno non si farebbe in tempo a visitarla “bene”. Ci suggerisce di affittare un taxi. Lo facciamo col suo aiuto e, dopo mezz’ora, arriva il nostro taxi-driver, un uomo distinto e gentile, di nome Zbigniew (un nome che, per chi segue il calcio italiano, non impressiona più di tanto…), che ci fa accomodare nella sua macchina come in una carrozza reale. Parla un inglese fluente, controlla con sguardo un tantino severo se abbiamo allacciato le cinture (in Italia non siamo ancora abituati al gesto “automatico”, e forse lui lo sa …) e, sulle note di musiche romantiche, parte per la nostra destinazione. Ci sentiamo davvero come principi, osserviamo la bella campagna, scambiandoci, pur con qualche difficoltà, battute e piccoli discorsi. Arriviamo alla periferia della città, squallida come da socialismo reale, con piccole case rovinate e ricoperte da scritte informi fatte con le bombolette. Ma il nostro sguardo è proiettato in avanti, verso Jasna Gora, il monte luminoso con il santuario della Madonna Nera regina della Polonia. Zbigniew parcheggia, ci invita alla visita e ci assicura, sorridendo, che ci aspetterà.

Il monastero, fondato dal duca Ladislao nel 1382, ci appare come una fortezza e, in realtà, resistette ad un assedio svedese. Il complesso conventuale è un insieme di edifici che ne racchiudono l’intensa storia e le straordinarie opere d’arte, ma noi vogliamo incontrare la Padrona, la veneratissima icona della Madonna Nera [quella che anche in copia fece paura al regime comunista, ndr, vedi nota (1)], che un’antica tradizione vuole dipinta da San Luca su un’asse del tavolo della casa della sacra famiglia a Nazareth.

La cappella della Vergine, con il suo grande altare barocco di ebano e argento riccamente scolpito, è talmente gremita che a stento possiamo vedere l’icona. L’emozione è grande: un sogno segreto si sta finalmente realizzando. Cerchiamo di scrutare il volto della Madonna, con quei due terribili segni della violenza dei predoni, e del Bambino, che se ne sta dolcemente accoccolato sul braccio materno.

Una grande folla si frappone, ci impedisce di avanzare, di vederla più da vicino. Allora decidiamo di tornare più tardi e raggiungiamo la cappella dell’adorazione, immersa in un silenzio profondo e in un comune anelito di preghiera. È bello e confortante stare qui: ci si sente protetti, forti, presi per mano negli intricati percorsi della vita. Usciamo e, sostando nel corridoio soprastante l’altare, cerchiamo di vedere dall’alto l’icona della Vergine, di ”Colei che indica la via”, la Odigitrìa, come è spesso chiamata in Polonia. Ma proprio in quel momento, sentiamo uno squillo di tromba, seguito da altre note alte e solenni, mentre vediamo scendere lentamente un velo che va a coprire la sacra immagine. Ci spiegano che per un’ora rimarrà così, sottratta agli sguardi dei fedeli. È un momento di grande commozione. Immaginiamo, allora, attimi di intimità fra Madre e Figlio, finalmente soli: Lei gli sorriderà, trasformando la sua espressione seria in dolcezza di sguardi; Lui l’accarezzerà con quella manina già protesa verso il suo volto, in un colloquio di amore eterno, iniziato nell’Annunciazione, sublimato sul Calvario e mai più interrotto. Attendiamo con ansia l’ora in cui potremo rivederli. Con lo stesso rituale — gli stessi squilli di tromba che ti giungono al cuore —, piano piano possiamo tornare ad ammirarli e questa volta molto più da vicino. Faccio [Gr, ndr] in ginocchio il giro dell’altare, com’è consuetudine in quel sacro recinto, delimitato da un’austera cancellata nera in ferro ed ottone.

Vorremmo carezzare i due sfregi sulla Sua guancia destra, per riparare il disprezzo che l’ha offesa. Possiamo farlo solo mentalmente, con un pensiero che giunge anche alle ingratitudini di oggi, forse ancor più gravi e violente di quelle di allora.

Madonna, Madonna nera, è dolce esser tuoi figli”. Questo è l’inno che canta sempre Tonino nei miei pellegrinaggi a Lourdes [Gr con l’Unitalsi, ndr], certamente molto diverso dalle moderne melodie che la deludente giovane suora intona con le chitarre, insieme ai bambini della prima Comunione, sotto l’altare. La visita è finita. Salutiamo la Madonna Nera, da oggi non solo regina della Polonia, ma anche nostra.

Uno sguardo al palco che ha accolto pochi giorni fa il papa Benedetto XVI e poi andiamo a cercare Zbigniew. Lo troviamo seduto tranquillamente a bere una coca. Facciamo ancora in tempo a comprare dei ricordini?  Lui non ha fretta. Così, seduti insieme sulla lunga panca — con il presentimento che potrebbe diventare il nostro angelo custode, oltre che la nostra guida —, gli chiediamo se può accompagnarci anche i giorni successivi e lui ne è ben felice.

Ritorniamo in albergo con il cielo che s’è riempito di nuvole che minacciano pioggia; ma Zbigniew ci assicura che non pioverà. Così usciamo di nuovo, diretti alla Piazza del mercato.

Visitiamo finalmente il Sukiennice, il Mercato dei tessuti, che ieri era chiuso. Superati i portali centrali, sotto le volte gotiche in mattoni, vediamo da vicino gli stemmi delle città polacche e il vivace bazar di artigianato e souvenir: l’ambra regna sovrana, incastonata in mille gioielli cesellati. All’uscita, le tante bancarelle di fiori, che attirano in modo irresistibile. Di mille tipi, varietà e colori, immersi in bidoni pieni d’acqua, gridano la bellezza perfetta della creazione. I fiorai ne fanno composizioni, li toccano con cura e delicatezza, non li incartano mai, per non nascondere la loro bellezza, li ornano con nastri, perché solo così, secondo la consuetudine polacca, devono essere regalati.

È ormai l’ora di cena e di buon passo ci avviamo al ristorante Pod Baranem, anche questo consigliatoci da nostra figlia. Con un po’ di fortuna lo raggiungiamo presto e prendiamo posto nella saletta discreta ed elegante, dove ci fanno accomodare. Ci servono subito due tipi salse, preparate da loro, in ciotole carine con pezzetti di pane. I proprietari possiedono una propria smockerie dove affumicano il pesce. Ordiniamo, allora, questa loro specialità “affumicata” e, in più, l’anatra alla polacca. Mentre aspettiamo i cibi, si siedono vicino al nostro tavolo due signorine, ognuna con un mazzo di fiori, accompagnate da un giovane. Il cameriere con gesto squisito, tanto sorprendente quanto inusuale, che aumenta la nostra ammirazione per questo popolo — porta loro subito un vaso di cristallo con l’acqua, perché i fiori delle signorine non abbiano a soffrire. Dopo un gesto così, possiamo gustarci ancor di più la nostra cena, peraltro davvero molto appezzabile (e molto apprezzata…).

(continua)

Grazia e Guido Verna

giugno 2007

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Le indicazioni di pagina si riferiscono a brani tratti da:

George Weigel, Testimone della Speranza, 1999, Mondadori, Milano

(1) Quando i comunisti decisero nel 1966 di arrestare la copia dell’icona della Madonna di Jasna Góra ma la peregrinatio continuò con solo la cornice vuota

Angelo Bonaguro, Pellegrini nel mirino, in La Nuova Europa, Milano Luglio 2010, n.4, pp.88-89:

«Nel 1957 durante l’udienza da papa Pio XII il primate Wyszynski chiede la benedizione di una copia dell’immagine della Madonna di Jasna Góra. Il papa acconsente invitando il primate a portarla in tutte le parrocchie del paese.

La peregrinazione inizia da Czestochowa il 26 agosto ’57, e secondo il programma doveva culminare nel ’66 con l’arrivo a Gniezno, sede primaziale, per poi “tornare a Roma come segno esplicito dell’unita del popolo cattolico con il Santo Padre”. Così la copia dell’icona si mette in viaggio visitando ogni parrocchia. “Il pellegrinaggio – ricorda don Józet Wójcik, – riuscì splendidamente: vi furono numerose conversioni, la gente dopo anni ritornò al confessionale, molti matrimoni furono regolarizzati. Col favore delle tenebre, anche gli impiegati statali andavano a confessarsi”. Le autorità, preoccupate per questa manifestazione di “religiosità popolare”, nel 1966 decidono di arrestare la copia dell’icona, come ha raccontato don Wójcik: “Al termine delle celebrazioni a Frombork ritirai l’immagine per portarla a Varsavia. Ci era stato chiesto di non esporre segni esteriori per evitare manifestazioni inopportune. E così facemmo. Mentre eravamo in viaggio, la polizia ci fermò con un gran dispiegamento di forze e sequestrò l’auto con a bordo l’immagine”.

Il quadro viene portato in curia a Varsavia dove resta agli “arresti domiciliari” per tre mesi, ma la peregrinatio continua: a partire da Sandomierz, infatti, viaggia solo la cornice vuota. Il primo goffo tentativo del vescovo di Katowice di riprendersi la copia fallisce, l’immagine viene sequestrata di nuovo e internata stavolta a Jasna Góra dove resta per 6 anni. La polizia politica sorveglia che il quadro non esca dalle mura del convento, e gli agenti perquisiscono sistematicamente i veicoli che lasciano l’edificio, compresa l’auto del primate, il “maggior indiziato potenziale”.

Le ripetute richieste di Wyszynski e del cardinal Wojtyta alle autorità statali restano lettera morta. Perciò, con la benedizione del primate e aiutato da un altro sacerdote e da due suore, don Wójcik decide di liberare l’icona. Il 13 giugno ’72, di mattina presto, il commando religioso interviene “e alle 9 l’icona era già in parrocchia a Radom”. Lì viene esposta cinque giorni dopo, tra la commozione dei fedeli e alla presenza del primate, del cardinal Wojtyta e di altri vescovi».

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