di Grazia e Guido Verna, giugno 2007
3. 15 giugno. Quelle Messe del Corpus Domini. La croce di Katyń.
In una giornata che sembra non finire più, pensiamo di andare a dare un’occhiata al quartiere ebraico. Sempre a piedi, seguendo la pianta, ci avviciniamo al Kasimierz, fondato come città autonoma da Casimiro III, abitato poi, nel XV secolo, per volere di re Giovanni Olbracht, da una folta colonia ebraica di Cracovia. Ma ecco, davanti a noi, una folla composta e silenziosa, che, ad un quadrivio, assiste alla celebrazione della santa Messa del Corpus Domini, proprio al limitare del vecchio quartiere ebraico. Una situazione inaspettata, quasi surreale, non sappiamo se di fede palese e sentita o di sfida per una solennità per molto tempo negata o quasi [1].

«Prima della guerra la grande cerimonia pubblica in onore del Corpo e del Sangue eucaristici di Cristo si snodava dalla cattedrale del Wavel attraverso le vie della città vecchia, fino alla piazza del mercato, Rynek Glowny, di cui l’arcivescovo di Cracovia faceva il giro, portando il Santo Sacramento in un antico ostensorio d’oro. Lungo il perimetro della piazza venivano eretti altari dove la processione sostava e l’arcivescovo pronunciava un’omelia» (p.236).

Proibita durante l’occupazione tedesca, la grande celebrazione, sotto il regime comunista, fu limitata, prima solo all’interno del Wavel, poi, dopo numerose proteste, il 10 giugno 1971 seguì un percorso più lungo, costellato di altarini. Fu proprio predicando davanti al quarto di questi che Karol Wojtyla si impose per il suo linguaggio, il suo carisma e la forza del suo messaggio: «[…] siamo un popolo di Dio che ha la sua sensibilità cristiana […] Continueremo a esigere i nostri diritti […] Li esigeremo» (p.237). L’anno successivo, alla prima stazione, sulla collina del Wavel, dichiarò: «Stiamo aspettando…» (p.237).
E così nelle celebrazioni degli anni successivi, non esitò a ribadire le imprese di un popolo che voleva professare liberamente la propria fede, a cui non rinunciava. Il tempo premiò la sua forza e perseveranza. Questo pensiamo di fronte ad uno spettacolo di profonda religiosità ed accorata spiritualità, che solo i perseguitati per la religione sanno e possono esprimere. La superficialità dei nostri riti, spesso poco incarnati nei loro significati liturgici, trascurati e dimentichi della solennità, contrasta con il fervore e la partecipazione che ci sono davanti.

Percorrendo le vie del Kasimierz, prenderemmo volentieri un aperitivo o un caffè, ma diversi locali pubblici, che si aprono nelle strade non “invitano”: sono tetri, bui, appena illuminati da luce di candele e sprigionano un’atmosfera equivoca; in più, la scarsa presenza umana non predispone all’ingresso, anzi ci inquieta un po’; così decidiamo di tornare indietro. Un’occhiata dall’esterno ad una sinagoga e, poi, in cerca di un ristorante dove consumare la cena, ci incamminiamo verso la luminosa e rasserenante Ulica Grodzka, la parte terminale della lunga Strada Reale.
Dalle finestre pendono drappi e arazzi con immagini religiose, sui davanzali, mazzi di fiori e lumini accesi, qualche altarino lungo le strade. Di lì dovrà certo passare la processione. Arriviamo davanti alla piccola chiesa dedicata a sant’Egidio, dove — come si legge da un manifesto sulla porta — questa sera ci sarà un concerto. Guardando più attentamente e da vicino la grande croce lì accanto, percepiamo meglio la scritta in oro sul suo braccio orizzontale: Katyn [2] È qui dal 1990 e fu eretta in occasione del cinquantenario del massacro di circa 15.000 ufficiali e soldati polacchi, spietatamente perpetrato, nella foresta di Katyń, dalla polizia politica sovietica, la famigerata NKVD.

Intanto è proprio arrivata l’ora della cena, stasera davvero meritata. Sulla via del Papa [3], la Ulica Kanonicza, parallela a quella reale, avevamo intravisto un cortile interno ad un antico palazzo, con tavolini ed ombrelloni. Mentre tentiamo di ritrovarlo, passiamo di fronte alla chiesa dei santi Pietro e Paolo, la più antica in stile barocco della città; le statue degli apostoli che campeggiano sulla recinzione esterna, benedicono il rito della Messa, che si sta celebrando, anch’esso all’aperto. Sulla piazzetta antistante, dei ragazzini, incuranti del rito, fanno acrobazie sui loro skate-board.

Premiati per la nostra ostinazione, possiamo finalmente entrare nell’accogliente cortiletto, circondato da un giardino verdissimo, dove ci fanno sedere sotto un ombrellone spropositato con simpatiche reclame di una birra. Cena non memorabile, ma posto stupendo, una grande pace, un meritato riposo. Finalmente ritorniamo a piedi in albergo, non prima, però, di un tentativo fallito di assistere al concerto della chiesetta (era verso la fine…). Ma, grazie a Dio, rivedere la grande Croce di Katyń consola ampiamente la nostra delusione…
Grazia e Guido Verna
giugno 2007
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Le indicazioni di pagina si riferiscono a brani tratti da:
George Weigel, Testimone della Speranza, 1999, Mondadori, Milano.
[1] In una intervista all’agenzia cattolica Zenit del 6 giugno 2012, mons. Stanisław Nowak, arcivescovo emerito di Czestochowa, avrebbe poi raccontato come san Giovanni Paolo II avesse fatto rivivere, a Roma e in Polonia, la celebrazione di questa solennità.
In questa intervista, il cui testo integrale si può trovare nel link indicato più avanti, mons. Nowak disse tra l’altro: «[…] già come vescovo di Cracovia, Karol Wojtyła attribuiva una grande importanza nella processione Corpus Domini [sic] in quanto “professione di fede in Dio sulla strada”, al centro della città. Aveva sofferto molto quando, ai tempi del comunismo, fu interrotta la grande tradizione di Cracovia — risalente a prima della Seconda guerra mondiale — di svolgere la processione eucaristica fino alla piazza principale della città.
Il grande arcivescovo di Cracovia suo predecessore, Adam Sapieha, aveva guidato questa processione fino alla piazza principale, attraversando con il Santissimo Sacramento le strade del centro storico. Durante la dura era comunista, purtroppo, non fu possibile organizzare tutto questo: la processione aveva luogo soltanto sulla collina del castello di Wawel ed era vietato andare per le strade della città.
Da cardinale, quindi, Karol Wojtyla lottò tanto per riportare la processione del Corpus Domini per le strade. […]
La processione del Corpus Domini […] all’epoca di Wojtyła era, da un lato, una grande confessione di fede e, dall’altro, un richiamo alle autorità dello Stato a ristabilire la giustizia in Polonia.
Alla luce di questo, possiamo dire che esiste una relazione interessante fra il rinnovamento della processione del Corpus Domini a Roma e quella di Cracovia. Quando l’allora cardinale Karol Wojtyla fu eletto Papa, rinnovando e celebrando la prima processione a Roma, allo stesso tempo le autorità comuniste diedero il permesso cha la processione del Corpus Domini tornasse nella piazza principale di Cracovia. E questo, per noi polacchi fu una grande gioia».
Il riferimento alla «prima processione di Roma» è relativo a quella «guidata da Papa Wojtyla nel cuore di Roma con cui ripristinò in città un’antica tradizione», come è scritto nell’occhiello di un articolo di Paolo Brocato, tratto da Roma Sette del 24 luglio 1979 e ripubblicato su Avvenire di domenica 27 marzo 2011, a p.4 dell’inserto Verso il 1° maggio.
L’articolo comincia così: «Dopo cento anni si è rinnovata in Roma l’antica tradizione della solenne processione papale del Corpus Domini. Giovanni Paolo II, domenica scorsa, celebrata la S. Messa sul sagrato della basilica di S. Giovanni in Laterano, ha presieduto la processione eucaristica che, percorsa via Merulana, ha raggiunto Santa Maria Maggiore».
Poi riporta alcuni splendidi passaggi dell’omelia:
«Al Vangelo, il Papa, rivolto ai numerosi fedeli che fin dalle prime ore del pomeriggio avevano affollato la piazza, ha detto:
“Siano oggi brevi le mie parole. Parli invece a noi la festa stessa, l’Eucarestia stessa nella pienezza della sua espressione liturgica”.
“Desideriamo annunciare all’Urbe e all’Orbe l’Eucarestia, cioè la gratitudine. Questo Sacramento è il segno della gratitudine di tutto il creato per la visita del Creatore. Questo Sacramento è il segno della gratitudine dell’uomo perché il Creatore è diventato creatura; perché Dio è diventato uomo, perché ha preso il corpo umano dalla Genitrice Vergine Immacolata per elevare di nuovo noi uomini al Padre; per fare di noi i figli di Dio”» (ndr)
[2] Sul tema, cfr. Victor Zaslavky, Il massacro di Katyń. Il crimine e la menzogna, Ideazione Editrice, Roma 1998. Nell’aprile del 1943 in un bosco vicino a Katyń, nella zona della Polonia già occupata dai sovietici nel 1939, dopo il patto «Molotov-Ribbentrop», furono ritrovati i cadaveri di circa quindicimila ufficiali e soldati polacchi. I giornali tedeschi accusarono dell’eccidio i sovietici, che ritorsero l’accusa contro i nazionalsocialisti. In realtà, i carnefici erano stati nell’aprile del 1940 proprio i reparti speciali del NKVD, il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni dell’URSS. Solo il 13 ottobre 1990, giornata mondiale delle vittime di Katyń, durante una cerimonia speciale al Cremlino, il segretario generale del Partito Comunista Sovietico e capo dello Stato Michail Gorbaciov finalmente porse le scuse ufficiali dell’Unione Sovietica al popolo polacco (cfr. ibid., p. 34). Katyń ha uno straordinario valore dal punto di vista storiografico, perché in esso «[…] il grado di manipolazione e di falsificazione dei fatti da parte sovietica e il livello di complicità in nome di una reale o presunta Realpolitik da parte dell’occidente sono stati senza precedenti, causando una totale confusione nell’opinione pubblica mondiale» (p. 65). Sull’argomento, cfr. anche Leszek Martini, La verità su Katyń alla luce di un documento, trad. it., in Cristianità, anno XVII, n. 175-176, Piacenza novembre-dicembre 1989.
[3] La Ulica Kanonicza è detta “Via del Papa” perché nella “Casa del decano”, attualmente sede del Museo Arcidiocesano, vi abitò san Giovanni Paolo II, allora semplicemente Karol Wojtyła, prima come sacerdote dal 1951 al 1963, poi come vescovo ausiliare di Cracovia fino al 1967 (occupando però gli appartamenti attigui alla Casa).
A tale riguardo, riportiamo un brano del citato libro di Wiegel: «L’arcivescovo Baziak [Eugeniusz, (1890-1962)] […] il 1° settembre 1951 concesse a don Wojtyła due anni sabbatici per scrivere la tesi di abilitazione. Per facilitargli il lavoro […], gli ordinò di trasferirsi dalla canonica di san Floriano in un edificio di proprietà della Chiesa noto come Casa del decano, in via Kanonicza 21 [], una delle più belle strade della città vecchia di Cracovia, che prendeva il nome dai membri del capitolo o “canonici” della cattedrale del Wavel che un tempo vi vivevano. […] Nella Casa del decano a Karol Wojtyła fu messa a disposizione, al primo piano, una camera da letto di trentasette metri quadrati, che fungeva anche da studio, riscaldata da una stufa di mattoni contro la quale egli depose i suoi sci. Per lavorare si sedeva alla scrivania con il piano di marmo, su cui era poggiata una macchina da scrivere portatile Remington. […] Wojtyła […] iniziò a dire la sua messa quotidiana nella chiesa di Santa Caterina [d’Alessandria] a Kazimierz.» (pp.155-156)
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