di Guido Verna

giugno 2015

1. Il tempo della Misericordia

2. La santa del tempo della Misericordia

2.1 L’«apostola» e il Papadella Divina Misericordia

2.2 Il mandato: l’Immagine e la Festa

2.3 La prima volta, ad Ostra Brama, la Porta dell’Aurora.

3. Il luogo della misericordia: Ostra Brama, la culla preparata per la nuova devozione

3.1 La sua origine e la «sua» Madonna

3.2 Incendi, miracoli, «lezioni»: la culla quasi pronta

3.3 La devozione alla Madre di Dio di Ostra Brama

4. L’Immagine della Misericordia per il nostro tempo: la sua «lotta» e le sue «avventure»

4.1 L’ira di Dio e le ombre del male

4.2 La «lotta» e le «avventure» dell’Immagine per la sua libertà

3. Il luogo della misericordia: Ostra Brama, la culla preparata per la nuova  devozione

3.1 La sua origine e la «sua» Madonna

La Porta dell’Aurora è non solo il cuore religioso e storico di una parte fondamentale dell’Europa cattolica, ma ritengo possa considerarsi anche come la «culla» preparata dalla Provvidenza, con cura e pazienza secolari, per accogliere e far muovere i primi passi alla devozione a quell’Immagine assolutamente sui generis in quanto direttamente «dettata» dal Cielo alla mistica polacca.

Se da qui, per la prima volta, i raggi che escono dal cuore di Gesù Misericordioso sono andati a illuminare e riscaldare il mondo, mi sembra un passaggio obbligato domandarsi perché Gesù stesso ha chiesto a don Sopoćko e a suor Faustina di cominciare proprio da qui. Cosa aveva di speciale questo luogo? Chi c’era alle sue spalle?

La storia di Ostra Brama comincia nel primo ventennio del secolo XVI (1503-1522), quando  — per fronteggiare i continui attacchi dei Tatari — si decise di erigere intorno a Vilnius una cinta muraria fortificata, nella quale si ricavarono nove porte tra cui la nostra, in origine identificata con il nome del paese verso cui si «apriva» (Medininkai), e solo più avanti chiamata Porta dell’Aurora, senza che ne sia ancora perfettamente chiaro il perché.

All’inizio, la Porta — diversa da quella che si visita attualmente —  era «protetta» da due quadri di proprietà della Città, quello della Madonna e quello di Gesù «Salvatore del Mondo», appesi, il primo in una nicchia sul fronte interno  — visibile cioè da chi usciva dalla città —, l’altro in una nicchia sul fronte esterno, a guardare invece chi arrivava.

Circa un secolo dopo, giunsero a Vilnius i Carmelitani Scalzi, che nel 1626 ottennero un terreno in prossimità della Porta, dove eressero il loro convento e la Chiesa dedicata a Santa Teresa d’Avila. Durante il periodo dei lavori di costruzione — durati circa trent’anni, se la Chiesa fu consacrata nel 1654 — i frati, colpiti dalla Madonna all’interno della Porta, la fecero oggetto di continue preghiere e funzioni religiose, generando così un notevole incremento della devozione pubblica nei suoi confronti.

Ma come era «quella» Madonna? Era una Madonna con il capo inclinato sulla spalla destra e posto nel centro del sole che fa da sfondo e da cui partono i raggi dorati della luce della verità, che le fanno aureola; era una Madonna seria, con il viso in cui dolcezza e tristezza erano come impastate insieme, con gli occhi bassi, come a fuggire, meditando, le bruttezze del mondo; con le mani grandi e affusolate, come a stringere con delicatezza qualcuno al suo cuore [15].

3.2 Incendi, miracoli, «lezioni»: la culla quasi pronta

Nel 1671, i carmelitani — temendo che il quadro potesse deteriorarsi per la sua posizione all’aria aperta — costruirono a sua protezione una cappella in legno, dove, con una solenne cerimonia, lo trasferirono dalla Chiesa di santa Teresa in cui era stato provvisoriamente conservato.

E proprio in quel frangente, la Madre di Dio si fece riconoscere, con un «grazie» particolarmente affettuoso e memorabile: «[…] un bambino di due anni cadde accidentalmente dal secondo piano sul pavimento di sassi; la caduta fu così violenta che venne sollevato dalla terra privo di vita. I genitori pieni di afflizione portarono il bambino presso il quadro della Santa Vergine Maria della Porta dell’Aurora, fermamente convinti che sarebbe stato dato ascolto alle loro preghiere. Il giorno seguente il fanciullo fu trovato guarito senza alcuna ferita al corpo e senza alcun segno di contusione» [16].

L’immagine di Maria, secondo un’antica tradizione lituana e polacca mutuata dall’analoga ortodossa, cominciò poi ad essere ricoperta con lamine d’argento dorato. L’operazione di «chirurgia estetica» fu portata a termine in tre fasi successive, che durarono qualche decennio [17]. L’immagine diventò davvero splendida, di una sorprendente preziosità spirituale, anche se di essa — o forse proprio per questo — rimanevano visibili dopo l’«intervento» solo il viso e le mani, se possibile ancora più belli ed espressivi perché immersi nella lucentezza dell’oro, come elementi cromatici di meditazione concentrati nella luce aurea della Verità.

La nuova posizione all’interno della cappella e le lamine dorate non bastarono però alla sua protezione. La «Grande guerra del Nord» — quella che dal 1700 al 1721 fu combattuta tra l’esercito svedese e quelli coalizzati, almeno nella fase iniziale, del re di Danimarca-Norvegia, dello zar di Russia e del principe elettore di Sassonia e monarca della Confederazione polacco-lituana — ebbe conseguenze anche sull’immagine della Madonna, che, durante uno scontro per difendere la cappella, fu addirittura colpita da una pallottola.

La guerra generò, inoltre, anche pesanti conseguenze sul suo culto pubblico, che nel 1702 gli Svedesi, durante la loro occupazione, addirittura vietarono con estrema severità, foss’anche soltanto un inno in suo onore cantato davanti all’Icona o un semplice raggruppamento di persone in prossimità della Porta. Ma proprio in questa occasione, Maria ritenne di dover far conoscere un altro aspetto del suo carattere: non tollerava le bestemmie e i beffeggi alla sua immagine. I soldati svedesi di Re Carlo XII (1682-1718) — mentre presidiavano armati Ostra Brama per controllare il rispetto dei divieti da loro imposti — bestemmiavano continuamente l’«Inquilina», «costringendola» a impartir loro una lezione: «La mattina del 14 aprile, sabato santo, la porta, che per muoverla sarebbero occorsi dieci uomini, per potere della Santa Vergine Maria si strappò dai cardini e con un grande boato si abbatté sui sorveglianti che riuniti per scaldarsi attorno ad un falò, vicino alla Porta, continuavano a bestemmiare» [18].

Qualche anno dopo, nel 1708, furono i soldati russi dello zar Pietro il Grande (Pietro I Romanov, 1672-1725) — che nell’inverno si erano stanziati a Vilnius e che, pur essendo alleati nella «Grande guerra del Nord», si comportavano da «padroni» — a «costringere» l’«Inquilina» della Porta dell’Aurora a intervenire nuovamente, questa volta con esiti finali entusiasmanti: «Un soldato ateo di quell’esercito, pervaso da empia avidità capitò alla Porta dell’Aurora, deciso a derubare il Santo Quadro della veste d’argento. Non appena la mano sacrilega toccò l’immagine, il soldato fu scaraventato alla parete dalla Vergine Maria e fatto a pezzetti. Questo terribile miracolo spaventò a tal punto l’esercito russo e fece nascere una tale devozione per la Santa Immagine, che la maggior parte di essi diede poi l’elemosina e cambiò le proprie abitudini come segno di sottomissione all’effigie di Maria…. E cercarono con zelo delle immaginette rappresentanti il Santo Quadro ed inoltre imposero in segno di rispetto il divieto di fumo ai guardiani che facevano sorveglianza alla Porta» [19].

Tra queste due «lezioni», si inserisce il terribile incendio che Vilnius dovette patire il 18 maggio 1706. Anche in quella drammatica occasione, i suoi abitanti ebbero conferma della protezione speciale e dell’amore che la Madre di Dio di Ostra Brama nutriva per loro e per la sua “casa”, destinata, due secoli dopo, alla prima proiezione sul «nostro» mondo degradato del più «grande attributo di Dio» attraverso l’Immagine di suo Figlio. Il quadro della Madonna fu salvato da due religiosi, padre Zaccaria di San Ludovico e frate Urbano di Santa Teresa, che — «[…] meravigliandosi di non sentire alcuna difficoltà» [20] — lo presero tra le fiamme e lo trasferirono dalla Porta all’interno della chiesa; e «[…]  proprio allora il rogo si placò e si ritirò dal convento e dalla chiesa» [21]. Quel giorno, «numerosi abitanti […] affermarono di aver sperimentato l’aiuto di Maria ed alcuni perfino sostennero di averla vista librarsi in alto, sopra le fiamme che si spegnevano dalla chiesa di S.Teresa e dalla cappella» [22]. I fedeli di Vilnius furono molto grati a Maria per questo aiuto straordinario e vollero ricordare il miracolo in un modo delizioso: «da allora ogni anno, il 18 maggio, le orchestre di tutta Vilnius si radunavano di propria iniziativa vicino alla Porta dell’Aurora e dall’aurora fino al calar delle tenebre suonavano dolci melodie alla Santa Vergine Maria» [23].

Le armonie della festa, però, erano destinate a finire presto: purtroppo, un altro incendio, nel 1711, distrusse la cappella in legno. Ma la devozione degli abitanti di Vilnius per la Madre di Dio era ormai diventata così tanto intensa e tanto solida che, appena un anno dopo, decisero di ricostruirla; e questa volta non più in legno ma in muratura; e con una ulteriore peculiarità: sarebbe stata «[…] progettata in modo tale che i fedeli potessero pregare davanti al quadro, rimanendo però “sulla” strada» [24].  Dopo appena quattro anni dall’incendio, nel 1715, il quadro della Madonna trovò finalmente una casa stabile, simile all’attuale.

Alla fine del ‘700, tutte le nove porte di Vilnius, per decisione governativa, furono demolite, fatta eccezione per la Porta dell’Aurora, che si era guadagnata il diritto alla permanenza e all’intangibilità per la devozione sempre più intensa dimostrata da tutto il popolo alla sua straordinaria inquilina, che attraverso i suoi miracoli aveva fatto del luogo un «luogo santo», tanto che nessuno che passasse sotto la Porta poteva esimersi dal saluto e dal togliersi il cappello, qualunque fosse la fede professata, come verificò ancora due secoli dopo un testimone d’eccezione come san Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941) [25].

solo verso la metà del 1800 la cappella assunse la conformazione definitiva che si ritrova oggi — a due piani in stile classico, con un frontone rettangolare e una torre posteriore —, attraverso una serie di interventi, fra cui la realizzazione dell’attuale ingresso [26].

La «culla» della nuova devozione dal punto di vista architettonico era finalmente pronta; mancava però ancoraqualcosa: il «battesimo» del nome.

3.3 La devozione alla Madre di Dio di Ostra Brama

La devozione alla Madre di Dio della Porta dell’Aurora, oltre ai miracoli, ebbe però un altro fondamento, di carattere, si potrebbe dire, «politico». Se da un lato gli incendi e le armate russe e svedesi distrussero l’architettura gotica di Vilnius — contribuendo, però, a farla involontariamente diventare la «perla del barocco» —, dall’altro permisero ai suoi abitanti di verificare la predilezione che la Madre di Dio di Ostra Brama aveva per loro, aiutandoli non solo ad estinguere le fiamme ma anche a fermare i nemici.

La storia della Lituania è una storia complicata — che non è certo mia intenzione ripercorrere in questa sede, se non con qualche accenno funzionale al racconto —, connessa a filo doppio con quella della Polonia, con un legame non sempre «pacifico» ma a volte «conflittuale», comunque solido per quasi due secoli, durante il cosiddetto Commonwealth polacco-lituano, noto anche come la «Repubblica di due popoli», iniziato nel 1569 con l’unione di lublino e finito nel 1795, quando, a seguito delle rivolte scoppiate in Lituania e in Polonia, la Russia e la Prussia se ne spartirono il territorio.

La Lituania sparì e passò, compresa Vilnius, quasi tutta alla Russia zarista. Le successive rivolte dei lituani contro di essa, nel 1831 e 1863, non ebbero esiti felici, generando al contrario un aumento delle persecuzioni [27]. Con queste, però, — provvidenziale rovescio di medaglia — «[…] cresceva anche la devozione alla Madre di Dio della Porta dell’Aurora. Il santuario divenne non solo un luogo di manifestazioni religiose, ma anche politiche» [28]. E letterati e musicisti della città contribuirono con i loro scritti a rendere questo santuario ancora più popolare e più amato [29], così che «la Porta dell’Aurora divenne progressivamente il simbolo delle lotte dei Polacchi e dei Lituani per la libertà e per avere diritto al proprio stato» [30], anche a fronte della violenta russificazione perseguita dall’invasore zarista, che, nel 1865, nella scrittura aveva addirittura proibito l’uso dei caratteri latini e imposto quelli cirillici, una proibizione da cui conseguì la nascita di figure anomale e affascinanti di combattenti lituani, come i «contrabbandieri di libri» [31].

I primi anni del nuovo secolo furono per la Lituania densi di avvenimenti, con continui momenti di tensione con la Polonia, l’antica sorella nella fede, che misero in difficoltà lo stesso Vaticano. Nel 1918 la Lituania proclamò la propria indipendenza e venne nominato il vescovo di Vilnius [32], una città che i lituani si ostinavano a ritenere la «loro» capitale. I polacchi, invece, la consideravano appartenente alla loro nazione, e per questo, un anno dopo, nel 1919, la occuparono.

Intanto, però, il secolo XX stava già guadagnandosi il titolo infame di «secolo del male» [33], essendo già entrato nel suo primo ambito di malvagità: nell’ottobre [novembre, nel nostro Calendario gregoriano] del 1917, infatti, la Russia era diventata l’Unione Sovietica e il comunismo aveva cominciato a operare e muoversi per la conquista del mondo.

Nell’agosto del 1920, nella festa dell’Assunzione, sembrò che il nuovo mostro ideologico avesse obbligato le due nazioni sorelle a riannodare di necessità i fili che per tanti anni le avevano tenute unite. In quei giorni, tra il 14 e il 16 agosto, l’esercito polacco conseguì un’incredibile vittoria contro l’esercito bolscevico, in una battaglia decisiva per il destino dell’Europa [34], la cui conquista era il primo obbiettivo dei comunisti sovietici. In quella battaglia — la battaglia di Varsavia, più nota come il «Miracolo della Vistola» — comandava l’esercito vittorioso il maresciallo Józef Pilsudski (1867-1935), che era nato in prossimità di Vilnius e che forse perciò — pur essendo un laicista accanito — conservava un affetto particolare per la Madonna di Ostra Brama.

Dopo meno di due mesi, l’incombente pericolo del nuovo mostro ideologico sembrò aver prodotto un ritorno ai buoni rapporti tra Polonia e Lituania: il 7 ottobre, infatti, le due nazioni firmarono un Trattato, concordando l’appartenenza di Vilnius alla Lituania. Ma due giorni dopo, il 9 ottobre, il generale polacco Żeligowsky [Lucjan, (1865-1947)], utilizzando solo le sue unità, con un colpo di stato occupò di nuovo Vilnius e i suoi dintorni; tre giorni dopo, ne proclamò l’indipendenza col nome di Lituania Centrale [35].

Torno, però, sulla pista principale di Ostra Brama, spostandomi al 1927, l’anno in cui a febbraio  viene firmato, non senza problemi, il Concordato tra Lituania e Vaticano; ma soprattutto l’anno in cui accade qualcosa di straordinario — almeno per me e nella prospettiva verso cui mi sto muovendo —: il papa Pio XI, con un decreto, impone al quadro della Madonna di Porta dell’Aurora il nome di «Icona della Vergine Maria Madre di Misericordia» e, in un giorno di festa per la Chiesa e per lo Stato [36], il 2 luglio la fa incoronare solennemente con le corone d’oro papali — corone poi scomparse durante la seconda Guerra mondiale — dall’allora arcivescovo di Varsavia cardinale Alexander Kakowski (1862-1938) [37].

La Madonna di Ostra Brama era stata, dunque, finalmente incoronata, per volere del Romano Pontefice, Mater Misericordiae,come è scritto, in latino e a lettere d’oro, in alto, sul frontone della Porta vista da chi esce dalla città! [38] Ora che «Roma» aveva ufficialmente definito anche il nome, la «culla» poteva considerarsi davvero pronta per accogliere l’ospite straordinario: suo Figlio.

Otto anni dopo, nel 1935, per la prima volta in assoluto, proprio da quelle finestre della casa della Madre, l’Immagine di suor Faustina si affaccia sul mondo e sull’umanità per diffondere dal suo cuore i raggi della sua Misericordia. Tutto questo mi pare che anzitutto trasmetta un messaggio implicito ma non impercepibile: Gesù Misericordioso vuole essere venerato insieme a sua madre, appunto la Mater Misericordiae. Ma l’aver scelto la Porta dell’Aurora per l’esordio pubblico della sua Immagine potrebbe volere ricordarci ancora qualcos’altro, e cioè la modalità più opportuna e conveniente per «mettere in sicurezza» [39] la nostra anima nei momenti di necessità della Misericordia: è la modalità che si può leggere più in basso, divisa in due parti e sempre con lettere d’oro, sullo stesso frontone: Sub tuum praesidium confugimus (sotto la Tua protezione cerchiamo rifugio).

Le domande poste all’inizio “perché proprio lì?” “Chi c’era dietro?” mi pare che, a questo punto, abbiano trovato molte risposte esaurienti…

4. L’Immagine della Misericordia per il nostro tempo: la sua «lotta» e le sue «avventure»

4.1 L’ira di Dio e le ombre del male

L’ombra rossa che, nel 1940 prima e nel 1944 poi, si stese sulla Lituania comportò molti problemi anche per la preziosa Immagine, la cui realizzazione — peraltro, con le dimensioni imposte da una vecchia cornice che una pia e generosa parrocchiana aveva offerto per contenerla — fu affidata nel 1934, come già raccontato, da don Michele al pittore Kazimirowski, che poté godere, durante i sei mesi di «lavoro», della frequente supervisione da parte di suor Faustina — una volta a settimana — e dello stesso don Michele.

L’anno successivo, il 1935, fu un anno fondamentale per la devozione a Gesù Misericordioso. Nei giorni 26-28 aprile, l’Immagine, come si ricorderà, fu esposta per la prima volta a Ostra Brama. Ma per la nostra umanità malridotta, la «necessità» della Misericordia doveva essere considerata proprio impellente: qualche mese dopo, infatti, la sera del 13 settembre, suor Faustina vide «[…] un Angelo che era l’esecutore dell’ira di Dio. Aveva una veste chiara ed il volto risplendente; una nuvola sotto i piedi e dalla nuvola uscivano fulmini e lampi che andavano nelle sue mani e dalle sue mani partivano e colpivano la terra». Di fronte a questo «[…] segno della collera di Dio che doveva colpire la terra ed in particolare un certo luogo, che per giusti motivi non posso [poteva, ndr] nominare» cominciò a «[…] pregare l’Angelo, perché si fermasse per qualche momento ed il mondo avrebbe fatto penitenza». Ma inutilmente, almeno a prima vista, perché la sua «[…] invocazione non ebbe alcun risultato di fronte allo sdegno di Dio». Però…  «In quel momento — continua Suor Faustina — vidi la Santissima Trinità. La grandezza della Sua Maestà mi penetrò nel profondo e non osai ripetere la mia invocazione. In quello stesso istante sentii che nella mia anima c’era la forza della grazia di Gesù. […] Cominciai a implorare Dio per il mondo con parole che si udivano interiormente. Mentre pregavo così vidi l’impotenza dell’Angelo che non poté compiere la giusta punizione, che era equamente dovuta per i peccati». Aveva fermato l’Angelo esecutore dell’ira di Dio supplicando il Padre con queste parole: «Eterno Padre, Ti offro il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità del Tuo dilettissimo Figlio e Nostro Signore Gesù Cristo, per i peccati nostri e del mondo intero; per la Sua dolorosa Passione, abbi misericordia di noi». E la mattina dopo, entrando in cappella, percepì interiormente lo scopo profondo di questa preghiera — «[…] serve a placare la Mia ira» — e il modo di rivolgerla: «La reciterai per nove giorni con la comune corona del rosario ecc.» (D474-475-476, per tutte le citazioni del capoverso).

La potente arma di difesa contro il «secolo del male» era ormai pronta: la Divina Misericordia — con un tempestivo restyling, bella da «vedere» e semplice da «chiedere» — si era fatta comprensibile anche all’uomo contorto, distorto e imbarbarito dal «secolo delle idee assassine» [40].

Il 4 aprile 1937, domenica in Albis — e quindi festa della Divina Misericordia —, ancora col permesso dell’arcivescovo Jalbrzykowski, l’Immagine venne benedetta e portata nella chiesa di San Michele a Vilnius, dove don Sopoćko era parroco e dove fu  posizionata in prossimità dell’altare principale. Qui, per undici anni, fino al 1948, «[…] fu venerata e dotata di numerosi ex-voto, [da qui] irradiava santità, e la devozione alla Divina Misericordia si diffondeva velocemente nei dintorni di Vilnius. In un modo misterioso, nonostante le possibilità limitate, giungeva a milioni di persone in tutto il mondo» [41].

Intanto, nel secolo XX aveva cominciato ad agire anche il secondo operatore di malvagità: poco più di quindici anni dopo il socialcomunismo in Russia — in «azione» dal 1917 —, in Germania nel 1933 aveva conquistato il potere il nazionalsocialismo, ciascuno portandosi dietro il suo carico di dolore e di morte.

Nel marzo del 1939, cinque mesi dopo la morte di suor Faustina, l’ombra bruna per prima cominciò a oscurare la terra lituana. La restituzione senza condizioni della città Klaipeda — Memel in tedesco, l’antico porto della lega anseatica dove il mare in inverno non gela — venne rivendicata dalla Germania nazionalsocialista, di fronte alla quale la piccola nazione baltica non poteva che cedere. Nello stesso anno, però, il patto Molotov-Ribbentrop [42] — le due facce della stessa medaglia del male del secolo XX — aveva previsto un protocollo segreto: che i paesi baltici fossero di «competenza» sovietica. Se a settembre la piccola nazione baltica fu «obbligata» dal gigante sovietico a firmare con esso patti di mutua assistenza —  e poi anche ad accettarne l’installazione di basi militari nel suo territorio —, nel giugno 1940, poco più di un anno dopo, fu puntualmente accusata di averli violati; e le truppe sovietiche la invasero e operarono con estrema rapidità per distruggerne anzitutto il volto e lo spirito cattolico, applicando la stessa legislazione ecclesiastica da tempo in vigore con «successo» in Unione Sovietica (con la chiusura dei seminari, il divieto dell’insegnamento religioso nelle scuole, la confisca delle biblioteche e delle tipografie cattoliche, l’abolizione del Concordato ecc.) e fino alle prime deportazioni di massa in Siberia nei mesi iniziali del 1941.

Ma il 1° settembre 1939, con l’attacco della Germania nazista alla Polonia, era scoppiata anche la II Guerra Mondiale, per cui alla fine di giugno 1941 i tedeschi rioccuparono la Lituania: nel terribile «gioco» delle ombre, quella nera sostituì quella rossa. Tre anni dopo, quando sembrava che l’ombra del male di qualsiasi colore potesse dissolversi con la fine della guerra, per la martoriata terra lituana questo purtroppo non accadde, ma quella incombente cambiò solo colore, ridiventando rossa come l’Armata che nel 1944 tornò di nuovo a occuparla. Furono momenti terribili, dei quali è tragica misura quanto scrive lo storico Carpini: «si calcola che nei primi cinque anni di occupazione sovietica il numero di vittime del genocidio abbia superato il milione di individui, oltre un terzo della popolazione lituana» [43], aggiungendo più avanti: «Il decennio tra il [19]44 e il [19]54 può essere senza dubbio considerato il più duro della storia della Lituania: se fosse durato più a lungo i russi avrebbero probabilmente raggiunto l’obiettivo di spazzare via la Chiesa cattolica e di cancellare la stessa nazione lituana. ogni prete venne costretto a presentarsi in uno dei centri di polizia, dove veniva interrogato e obbligato a firmare un documento che lo impegnava a giurare fedeltà al governo sovietico, nel quale prometteva di spiare i fedeli e di fare periodici rapporti alle autorità. il vescovo di telšiai, vincentas borisevičius, pagò con la vita il rifiuto a collaborare con le autorità, e altre centinaia di sacerdoti e almeno tre vescovi vennero imprigionati o deportati in Siberia» [44].

L’ombra rossa — scesa di nuovo inesorabile su tutto e su tutti, e questa volta per rimanerci a lungo — avrebbe comportato giorni oscuri e dolorosi anche per l’Immagine, compresa la sua «fuga» lontano da Vilnius…

 (continua)

Guido Verna

2015

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Testo non rivisto di una conferenza tenuta per la prima volta a Ferrara il 18 giugno 2015 nella sede di AC.

Tutte le citazioni indicate con D e un numero, fanno riferimento all’articolazione riportata in Santa Maria Faustina Kowalska, Diario. La misericordia divina nella mia anima, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004. Analogamente si farà riferimento a tale libro quando si scriverà semplicemente Diario.

[15] Si trattava — sembra ormai quasi certo — di un quadro dipinto a Vilnius tra il 1620 e il 1630 da un autore ignoto secondo lo stile di un pittore olandese — Maarten de Vos (1532–1603) — del XVI secolo, probabilmente sulla base di un’icona ortodossa andata perduta e che si vorrebbe portata in Lituania, quasi tre secoli prima, nel 1363, dal suo granduca Algirdas (1296 ca–1377)..

[16] In www.ausrosvartai etc. cit. cap. Il quadro, parag. Descrizione dei miracoli.

[17] «La copertura metallica [la caratteristica «riza» delle icone ndr] è costituita da tre lamine fuse in tempi diversi e da differenti autori. Tre parti di metallo del 1670-1690, compongono la prima delle lamine del rivestimento e coprono la testa e le spalle di Maria. La seconda lamina, databile intorno al 1695-1700 è formata da cinque parti che ricoprono il petto. Questa parte si differenzia dalla prima per il rilievo più spesso e per la lavorazione più sobria e affilata di fiori e foglie. La terza lamina è quella che ricopre la parte inferiore del quadro ed è formata da parti di metallo non successive al primo trentennio del XVIII secolo. Nel 1993, analizzando il retro della copertura metallica si è scoperto che la prima e la terza parte furono realizzate appositamente per questo quadro, mentre quella centrale fu solo adattata» (Ibidem, cap. Il quadro, parag. La Copertura metallica)

[18] In www.ausrosvartai etc. cit., cap. Il quadro, parag. Descrizione dei miracoli

[19] Ibidem.

[20] Ibidem.

[21] Ibidem.

[22] In www.ausrosvartai etc. cit., cap. La devozione, parag. Le feste

[23] Ibidem.

[24] In www.ausrosvartai etc. cit., cap. La Porta dell’aurora.  Le virgolette sono mie.

[25] cfr. Guido Verna, San Massimiliano Kolbe. Aspetti e riflessioni in merito a un controrivoluzionario «par exellence». in Cristianità. Organo ufficiale di Alleanza Cattolica, annoXLII, n.374 Piacenza ottobre dicembre 2014, pp.37-58.

[26] L’ingresso prima era possibile solo dal giardino del convento dei Carmelitani, mentre ora avviene da una scala interna all’edificio tra la nuova cappella e la chiesa di santa Teresa, scala che è accessibile sia da un corridoio ricavato nella chiesa che dalla strada esterna.

[27] Dopo il 1863, fu il periodo del Governatore zarista mikhail nikolayevich murarev, rimasto famoso come l’«impiccatore di Vilnius». Ferocemente anticattolico, vedeva come «[…] principali nemici da sconfiggere il clero cattolico e gli studenti polacchi. Così egli decise di chiudere l’università di Vilnius […] [ed] ebbe ragione della ribellione bruciando villaggi e deportandone la popolazione in siberia, impiccando o uccidendo molti ribelli» (Claudio Carpini, Storia della Lituania – identità europea e cristiana di un popolo, Città Nuova, Roma 2007, p.106).

[28] In http://www.ausrosvartai ecc. cit., in cap. La devozione, parag. La tradizione della devozione alla Madre di Dio. La citazione prosegue così: «Qui si ritrovavano in preghiera i membri delle società segrete studentesche dei Filaretie dei Filomati di Vilnius»

[29] Cfr. ibidem, dove si legge: «Nel XIX secolo i letterati di Vilnius, Juozapas Ignotas Kraševskis, Julijus Slovackis e Valdislavas Syrokomlė (Liudvikas Kondratavičius), importanti per la cultura lituana, scrissero in polacco e contribuirono alla popolarità di Maria della Porta dell’Aurora. Il famoso compositore di Vilnius Stanislovas Moniuška compose per questo santuario quattro solenni litanie per coro ed orchestra».

[30] Ibidem.

[31] La Russia zarista, volendo imporre ai lituani la sua lingua e i suoi caratteri cirillici, per accelerare tale «mutazione» proibì «[…] la stampa d qualsiasi pubblicazione,  libro, giornale o testo liturgico in caratteri latini» (Ibidem,  p.109). E per quarant’anni, dal 1864 al 1904, l’intero popolo baltico fu privato della stampa nella sua lingua. Ma i lituani erano un popolo forte e coraggioso e non si diedero per vinti. «Impossibilitati di stampare i libri nella propria terra […] iniziarono a farlo all’estero, in particolare nelle aree della Prussia Orientale controllate dalla Germania. Da qui, i volumi venivano importati di contrabbando attraverso le frontiere. È il movimento noto con il nome dei Knygnešiai (i “porta libri”, veri e propri “contrabbandieri della lituanità”), che ebbe inizio proprio con i libri religiosi, perché l’uso dei libri liturgici in cirillico veniva considerato, dalla comunità cattolica, come una sorta di abiura della propria fede a vantaggio di quella ortodossa. […] così, la resistenza al proibizionismo letterario fece crescere una coscienza nazionale e determinò la base sulla quale si rafforzò il movimento di indipendenza. è facile comprendere perché il movimento sia considerato ancora oggi di grande importanza storica e sia motivo di grande orgoglio per lituani, che vedono nei “contrabbandieri di libri” prima motivati dalle convinzioni religiose e più tardi dall’identità nazionale, i grandi eroi di questa epopea della loro storia nazionale. Essi rischiarono la loro libertà e la loro vita, portando libri e giornali attraverso le frontiere controllate da un imponente apparato militare russo tedesco, tramandando questo compito estremamente rischioso di generazione in generazione, facendo così acquisire anche la passione per la propria patria» (Ibidem, pp.110-111).

[32] Si tratta di mons. Jurgis Matulaitis (1871-1927), che fu anche il primo vescovo lituano dal 1655. Fu nominato vescovo di Vilnius il 23 ottobre 1918, mentre la consacrazione vescovile avvenne a Kaunas il successivo 1° dicembre.

[33] Cfr. Alain Besançon, Novecento, il secolo del male. Nazismo, comunismo, shoah, prefazione di Vittorio Mathieu, Lindau, Torino 2008.

[34] La sicurezza dei comunisti nel successo delle operazioni era talmente forte che Lenin [pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov, 1870-1924], nello stesso agosto del 1920, a chiusura del II Congresso del Komintern svoltosi a Mosca, confidava ai «compagni» francesi con sorprendente sfacciataggine: «Sì, le truppe sovietiche sono a Varsavia. Fra poco avremo anche la Germania. Riconquisteremo l’Ungheria, e i Balcani si solleveranno contro il capitalismo. L’Italia tremerà. L’Europa borghese scricchiola da tutte le parti, in mezzo a questa tempesta» (in Giovanni Cantoni, Così la Polonia cristiana fermò Lenin, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLIV, n. 188, 13-8-1995, pp. 18-19). Sono in pochi oggi a ricordare a ricordare quella battaglia di Varsavia che il generale Iozef Haller [1873-1960] — un combattente che vi partecipò con un ruolo di assoluto rilievo e che prima dell’offensiva aveva ordinato un ottavario di preghiere — ritenne di dover chiamare il «Miracolo della Vistola».

[35] Żeligowsky fu amico personale del maresciallo Józef Piłsudski e partecipò alla battaglia di Varsavia del 1920, dove prese parte alla ricerca delle forze rosse in fuga. «Inizialmente un dittatore militare de facto, dopo le elezioni parlamentari passò i suoi poteri al neoeletto parlamento, che a sua volta decise di sottomettere l’area alla Polonia.»  (in https://it.wikipedia.org/wiki/Lucjan_%C5%BBeligowski)

[36] «Alla cerimonia parteciparono: il Presidente della Repubblica, Ignacy Moscicki, il Maresciallo polacco Józef Pilsudski e molti ministri e una delegazione dei Carmelitani Scalzi guidati dal loro Provinciale Antoni Foszczyńskim. Alla vigilia dell’incoronazione, il corteo con l’Immagine si mosse dalla Porta dell’Aurora fino alla Basilica di Vilnius, dove si tenne una veglia notturna di preghiera. La cerimonia di incoronazione avvenne di fronte alla Cattedrale, in un altare appositamente costruito. L’incoronazione fu fatta dal card. Alexander Kakowski, Arcivescovo Metropolita di Varsavia, alla presenza del card. August Hlond, Primate di Polonia, 28 vescovi, numerosi sacerdoti e decine di migliaia di fedeli. La predica fu affidata a don Kazimierz Michalski, vescovo ausiliare di Vilnius. Dopo la Messa, l’Immagine, al termine della processione tornò ad Ostar Brama.», in Benignus J. Wanat, Kult Matki Miłosierdzia w Karmelu i w Kościele polskim in Szkaplerz Maryi znakiem Bożego Miłosierdzia, Krakowska Prowincja Karmelitów Bosych, 20 luglio 2002.

Cfr. anche http://it.wikipedia.org/wiki/Nostra_Signora_della_Porta_dell%27Aurora

[37] Il card. Alexander Kakowski è lo stesso che da arcivescovo di Varsavia, con una cerimonia celebrata nella cattedrale della capitale polacca otto anni prima, il 28 ottobre 1919, aveva consacrato arcivescovo Pio XI, quando era ancora solo mons. Achille Ratti e svolgeva la funzione di  nunzio apostolico in Polonia.

[38] La scritta fu molto tormentata: all’inizio era in polacco, ma dopo la sconfitta nella rivolta del 1863 e sotto la pressione dell’amministrazione degli Zar, fu cambiata in latino. Nel 1933 ritornò ad essere in lingua polacca, mentre oggi la vediamo ancora in latino, lingua della chiesa cattolica, rivolta a tutti i fedeli.

[39] Utilizzo un’espressione di moda, che non nascondo essere per me quasi sempre sgradevole, perché generalmente poco umile e molto presuntuosa, in quanto sottende, a volte senza nasconderla, l’idea che tutto dipenda dai deficit dell’uomo, attore e dominatore unico della storia, senza lasciare margini alla potenza, anche fisica, di Dio.

[40] Cfr. Robert Conquest, Il secolo delle idee assassine, Mondadori, Milano 2001.

[41] In http://www.faustina-messaggio.com/immagine-gesu-misericordioso.htm

[42] Il Patto fu firmato Mosca il 23 agosto 1939 dal ministro degli Esteri sovietico Vjačeslav Molotov e da quello tedesco Joachim von Ribbentrop. Fu reso noto all’opinione pubblica come un patto di non aggressione tra la Germania e l’Unione sovietica, articolato in sette articoli e della durata di dieci anni; ma in realtà, in un protocollo supplementare mantenuto segreto, i due contraenti si dividevano l’Europa orientale, definendo per ciascuno una propria zona d’interesse. In particolare, il confine tra le due zone — fatto coincidere con la frontiera settentrionale della Lituania — comportava che quest’ultima sarebbe ricaduta nella zona di interesse tedesca, mentre la Finlandia, l’Estonia e la Lettonia si sarebbero trovate in quella sovietica.

[43] C.Carpini, op.cit., p.146. Carpini continua poi così: «La maggior parte dei deportati morì in conseguenza delle condizioni inumane e del cattivo trattamento durante il viaggio e la prigionia: da questo punto di vista, tra nazisti e sovietici non vi fu davvero molta differenza».

[44] Ibid., pp.147-148

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