di Silvia Scaranari

l Consiglio di Stato Turco si è espresso: il decreto del 1935 con cui l’allora presidente Mustafà Kemal destinava il complesso denominato Aya Sofya a Museo è stato abolito. Da oggi l’imponente costruzione, un po’ immagine simbolo di Istanbul, torna ad essere luogo aperto al culto islamico, a tutti gli effetti una moschea.

Progettata a partire dal 350 d.C., più volte distrutta e ricostruita con significativi cambi di stile, deve l’aspetto attuale all’imperatore Giustiniano che ne ordina una nuova progettazione nel 532, dopo l’ennesimo incendio che l’aveva distrutta quasi completamente, affidandone il progetto a Isidoro di Mileto. Sempre Giustiniano la fa consacrare nel 537 e da quel momento diventa la sede del Patriarcato di Costantinopoli e delle cerimonie imperiali bizantine.

Dal 1054 (Scisma d’Oriente) è basilica ortodossa, tranne un breve periodo durante la IV crociata e il successivo Regno Latino d’Oriente (1204-61), quando i crociati la trasformano in cattedrale cattolica e vi incoronano Baldovino I.

Nel 1453, dopo la conquista della città da parte dei musulmani guidati da Muhammad II, radicale cambio d’uso. Nella sua decisa avversione verso i cristiani il Sultano ordina che venga convertita in moschea con il nome di Aya Sofya. Fa costruire all’esterno i minareti che ancora oggi la circondano e coprire con calce bianca gli affreschi interni. Inoltre la dota di un ricco mihrab, la tipica nicchia che indica la direzione della Mecca e di fronte alla quale i fedeli musulmani compiono le preghiere rituali. Molti elementi tipici dell’arte ottomana sono aggiunti nel tempo per rispondere al desiderio dei sultani di abbellire questo luogo sacro, luogo di preghiera ma soprattutto luogo simbolo della sconfitta dei cristiani.

Con la fine della I g. m., la Turchia, cuore dell’impero ottomano sconfitto e sgretolato in diversi staterelli dagli accordi di Sèvres, si trasforma in una Repubblica laica sotto Mustafa Kemal Atatürk (Padre dei Turchi, 1881-1938), primo presidente.

Mustafa Kemal, nato a Salonicco da una famiglia di condizioni medio-basse (il padre prima ufficiale dell’esercito poi commerciante di legname) viene educato all’islam ma fin da giovane si avvicina ai Giovani Turchi, di impostazione nazionalista e laica, poi fa una brillante carriera militare e aderisce alla massoneria turca relegando la fede ad una dimensione puramente formale. Nel suo progetto di laicizzazione e occidentalizzazione della Turchia, compie molte riforme contro la tradizione musulmana della maggioranza del Paese: vieta il velo per le donne, la barba lunga e i pantaloni a cavallo basso per gli uomini imponendo la giacca e la cravatta; introduce l’alfabeto latino e scolarizza obbligatoriamente tutti i bambini (maschi e femmine). In linea con questa politica di allontanamento dall’islam, nel 1935 improvvisamente una decisione azzardata ma di forte valore simbolico: con decreto presidenziale trasforma la moschea Aya Sofya in un museo e tale è rimasta fino a ieri.

La decisione del Consiglio di Stato non è stata improvvisa, anzi è la conclusione di un processo iniziato alla fine del secolo scorso quando alcune correnti musulmane conservatrici hanno iniziato a chiedere l’utilizzo di Santa Sofia come luogo di culto tanto che, con grande discrezione, nel 2006 prima della visita di Benedetto XVI a Istanbul, venne concesso il permesso di riadattare una stanza a luogo di preghiera ma fu uno scandalo. Il provvedimento, infatti, prevedeva un luogo aperto al culto di tutte le fedi, scandalo per l’islam che aborre qualsiasi forma di sincretismo.

Nel 2010 alcuni membri del governo (dal 2001 Primo ministro eraRecep Tayyip Erdoğan fondatore e leader del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo-AKP) rivendicarono lo spazio interno a Santa Sofia come luogo di culto esclusivamente musulmano. Dal 2013 i minareti del “museo” sono usati per l’invito alla preghiera rituale. Già il 29 maggio del 2014, il Presidente della Repubblica Erdoğan, visitando il Museo in veste ufficiale nell’anniversario della conquista di Costantinopoli, aveva manifestato il desiderio di recitare l’apertura del Corano in ricordo di tutti quelli che hanno lavorato per restaurarla ma soprattutto per coloro che l’hanno conquistata. Stessa cosa ripetuta quest’anno indicando palesemente l’intento di ripristinare l’antico ruolo di moschea dell’attuale museo.

Non bisogna dimenticare che Erdoğan, da quando ha ruoli di primo piano (1994-98 sindaco di Istanbul, 2003-14 Primo ministro, 2014-oggi Presidente della Repubblica) ha sempre indicato come sua linea politica il ritorno ad un orientamento più religioso, relegando nel passato il laicismo nazionalistico delle origini. In effetti, il senso religioso in Turchia si è molto rafforzato tanto da garantire più volte al suo partito la maggioranza dei voti. L’insistere sull’identità turca e sulla fede islamica ha garantito a Erdoğan largo consenso negli ultimi 25 anni, ma oggi il Presidente deve fare i conti con un forte cambiamento del clima generale. La grave crisi economica del Paese, le successive operazioni militari che hanno visto la Turchia protagonista nell’area Mediorientale, il tasso altissimo di rifugiati e immigrati dalla aree vicine e in ultimo la paura scatenata dalla pandemia Covid-19, gli hanno alienato molto del consenso popolare di cui godeva.

Nelle grandi città come Izmir (Smirne) e Ankara è riemerso un forte l’attaccamento a Kemal Atatürk spesso in opposizione a Erdoğan. Non c’è ristorante, museo, negozio che non abbia ben evidente una fotografia dell’Atatürk mentre spesso le immagini di Erdoğan sono rovinate con graffiti, pennellate di vernice o scritte di protesta.

Le grandi città non sono la Turchia interna, popolare e contadina, ma sono popolose. Il dissenso verso il Presidente è ultimamente molto aumentato tanto che l’AKP ha perso la poltrona del sindaco di Istanbul, che deteneva dal 2003, cedendola a Ekrem Imamoğlu del Partito polare repubblicano. Ad Ankara, Smirne e Antalya ha vinto il CHP, il partito popolare repubblicano, mentre in località minori come Mardin, Diyarkabir e Van ha vinto il Partito Democratico dei Popoli (HDP). Il partito del Presidente resta saldo in Parlamento ma questi segnali amministrativi sono stati un campanello di allarme circa il calo di consensi.

Erdoğan ha cercato di riconquistare consensi sia intensificando la politica estera, volta ad aumentare il peso della Turchia in Medio Oriente e nel Corno d’Africa (emblematica da questo punto di vista il suo peso economico e politico in Somalia recentemente dimostrato anche nella liberazione di Silvia Romano), sia cercando di intercettare sempre di più l’islam conservatore – se non addirittura integralista – all’interno. Si può legittimamente inserire in questa linea la riconversione di Aya Sofia in moschea. Il parere favorevole espresso dal Consiglio di Stato dimostra che Erdoğan ha ancora un peso forte all’interno delle istituzioni repubblicane.

E’ stata una mossa giusta? Personalmente non credo. Dare soddisfazione a una parte di islam turco conservatore, e certamente attirare il consenso di molto islam internazionale, non controbilancia la disapprovazione dell’islam laicizzato turco (forse minoritario in numeri assoluti ma maggioritario sul piano economico e militare) e l’ondata di disapprovazione internazionale che questo gesto sta provocando. Nel mondo occidentale la protesta è stata unanime e, immagino, che anche la delicata partita a scacchi che Erdoğan sta giocando con il Presidente Putin potrebbe vedere qualche mossa critica.

12 Luglio 2020

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi