La cronaca dell’avvenimento

di Guido Verna 13 maggio 1999, bicentenario del martirio.

3. I martiri

1) Padre Simeone Cardon, Priore

È un monaco benedettino della città di Cambrai. La rivoluzione francese lo coglie nel monastero di Parigi. Quando sente un sacerdote — evidentemente in cerca di applausi e di consenso democratico — che da un palco dice «cose contrarie alla religione», avverte il dovere di salire anche lui su quel palco, per difenderla, al contrario, con ardore e fermezza. Ma l’ira della gentaglia che sente montare contro di lui, lo delude talmente che si spoglia del suo abito. E vestito da marinaio, lascia la sua patria storica che ormai non riconosce più e si incammina verso Roma, verso la sua patria spirituale. A Casamari chiede di nuovo l’abito e lo ottiene il 5 maggio 1797. Il Venerdì Santo del 1799 fu arrestato dai soldati del Regno di Napoli, con l’accusa — ovviamente falsa e col sapore della beffa — di essere un giacobino. Qualche sera dopo, riacquistata la libertà, gli apparve il Crocifisso «tutto lacero e scorticato […] [e] fù avvisato che nel ritorno, che facevano li Francesi da Napoli, avrebbe esso, e li suoi Monaci sofferto delle barbarie: che però si fusse vestito da regolare, e fusse fuggito» [12].

Quando arriva la soldataglia francese è invece ancora lì, ad accoglierla. Durante le prime devastazioni, riesce anche a fuggire e a nascondersi «nella grotta dell’orto» [13]. Ma non può restare  nascosto, al pensiero di quello che sta succedendo e di cui senz’altro sente gli echi lancinanti. Quel sacerdote sul palco non può non tornargli in mente: perché, allora, aveva lasciato la sua patria storica? Torna perciò nella sua cella — «la prima vicina a quella che sta dirimpetto alla Biblioteca» [14] — dove incontra la morte sotto i colpi dei nuovi barbari prodotti dalla Rivoluzione. Lo avevano ritrovato, ma lui era riuscito finalmente a dare un senso alla sua vita. E un attimo dopo era in Paradiso.

2) Padre Domenico Zawrel

È boemo, di Kadaň (Codovio, nel Ragguaglio), della diocesi di Praga, nella quale diventa Domenicano della Congregazione di Santa Sabina. Ma il richiamo al silenzio e alla solitudine della vita monastica è talmente forte, che a 51 anni, nel maggio 1776, diventa novizio a Casamari, dove un anno dopo — il 6 giugno 1777 — fa i voti solenni.

Fu un uomo esemplare per comportamento, devozione e dottrina. Poche parole, tratte dall’Anonimo di Valvisciolo, mi sembrano sufficienti a tratteggiarne compiutamente le qualità: «tutti gli esteri che capitavano a Casamari volevano parlare col P. Domenico per ricevere parte dei suoi lumi, tanto più che aveva grazia ed unzione nel trattare» [15]. Fu Priore, Cellerario, Maestro dei novizi, un ruolo questo in cui «aveva una singolare scienza, perciò gli rimase finchè visse il titolo di P. Maestro» [16].

Pianse vedendo le Ostie sparse per terra e profanate. Nella preghiera [17] a lui rivolta, non per caso gli si attribuisce «la bella sorte di spargere il [suo] sangue per sottrarre per ben tre volte con fede ardente le sacratissime Specie Eucaristiche dalle mani immonde dei perfidi profanatori del Sacramento di Amore» [18].

Nell’archivio dell’Abbazia, ci sono molti documenti autografi del P. Domenico, tra cui uno Stabat Mater in gregoriano e un breve trattatello su questioni giuridiche riguardanti i voti semplici e solenni.

3) Fra Maturino Maria Pitri

Quella di Fra Maturino è una storia edificante e significativa di come la Provvidenza prepari i posti in Paradiso per i suoi figli migliori attraverso vie che noi uomini facciamo fatica a capire.

Figlio di un giardiniere del Re di Francia, Fra Maturino era venuto in Italia — dal suo paese, Fontainebleau — come soldato napoleonico, non certo per vocazione militare bensì perché vittima della coscrizione obbligatoria, istituita dalla Rivoluzione il 5 settembre 1798 con la legge Jourdan [Jean-Baptiste, (1762-1833)] – Delbrel [Pierre, (1764-1846)]. Tanto che «il buon Maturino [che] sentiva forti scrupoli nel vedersi frammaschiato, contro sua volontà, con quei repubblicani, procurò nondimeno di conservarsi illibato e non volle ammettere nella sua bell’anima le pestifere massime di quei tempi» [19].

Nel gennaio 1799, la Provvidenza cominciò a tessere la sua tela misteriosa: Maturino si ammala di una «terribile asma di petto e febbre gagliarda» e viene ricoverato all’Ospedale di Veroli, il comune su cui incide l’Abbazia di Casamari. Lo visitò il Dott. Teodoro Montaldi, che, considerandolo ormai in fin di vita, chiese per lui — da buon medico cristiano —  la Confessione. Il curato dell’Ospedale, don Giuseppe Viti (?? -1844), non conoscendo la lingua francese, approfittò della presenza in quel momento — la Provvidenza continuava a tessere… — del Priore di Casamari, P. Simeone Cardon, affidandogli le cure dell’anima del moribondo.

Padre Simeone, dopo la Confessione, restò stupito, avendo trovato il giovane soldato non solo in completa innocenza ma, in più, col desiderio vivissimo di vestire l’abito cistercense. Tre giorni dopo Maturino era guarito. Don Giuseppe Viti lo fece uscire dall’ospedale, lo nascose nella sua casa e il mattino dopo, prestissimo, lo portò «per vie segrete» a Casamari.

Qualche giorno dopo, Maturino si vestì da oblato. Quattro mesi dopo — avendone finalmente la Provvidenza concluso la tessitura —  vestì il suo abito di gloria nel corridoio del noviziato, dove fu ucciso dai colpi dei suoi ex commilitoni, i prodotti umani più congruenti con quelle «pestifere massime»,per non accettare le quali li aveva abbandonati e aveva scelto la vita monastica.

Rimase grato al suo benefattore don Giuseppe Viti non solo «nei cinque ultimi mesi che visse […] ma benanco dopo morto». In che modo, lo vedremo più avanti.

4) Don Albertino Maisonade, corista, francese, di Bordeaux

Di lui si sa poco, ma è più che sufficiente per “inquadrarlo”. Di Bordeaux, lascia la sua patria e l’ordinata dolcezza della sua campagna ricolma di filari, per non “subire” la Rivoluzione, diventando novizio nel 1792.

Fu esempio di virtù e dedizione al dovere. Devotissimo al SS. Sacramento, non poteva — in presenza dei malfattori suoi conterranei — che farsi trovare davanti al Tabernacolo, a rappresentare l’autentica Francia, figlia prediletta.

Morì, ucciso da due colpi di spada sulla testa, nella cappella dell’Infermeria, davanti al suo Amore. La porta del Tabernacolo era finalmente diventata per lui quello che aveva sempre creduto che fosse: la porta del Paradiso.

5) Fra Modesto M. Burgen, converso, francese, di Borgogna

Era già religioso in Francia, quando la violenza antireligiosa della Rivoluzione lo convinse ad andar via. Cominciò il noviziato a Casamari nel 1796 e l’anno dopo professò i voti semplici. Ma la spietatezza delle lame e dei fucili della Rivoluzione lo raggiunsero implacabilmente quel 13 maggio, nel corridoio del noviziato.

Per un francese che uccide, un altro conquista il Regno dei Cieli…

6) Fra Zosimo Brambat, converso, milanese

Religioso a Casamari dal 1792, novizio nel ’94, fece la sua professione semplice nel ’95. Fu colpito sulla scala, ma morì due giorni dopo, appena fuori il Monastero, mentre cercava di arrivare a Bauco, oggi Boville Ernica, per ricevere l’estrema Unzione. Ma sono certo che non ne avesse più bisogno, in quanto la sua capacità di sopportazione e la sua fede indefettibile lo avevano “unto” a sufficienza. E il suo Angelo Custode non deve aver fatto molta fatica per portarlo in Cielo…

4. I miracoli

Subito dopo l’eccidio, comincia la devozione ai martiri, che “ricambiano” con una lunga serie di “miracoli”, almeno così intesi dalla pietà popolare.

Sono interventi straordinari per piccoli mali, non clamorosi (una gamba gonfia, istantaneamente risanata; un’ernia intestinale; una gran febbre; i dolori del parto, con in più  il bimbo che nasce senza problemi per avendo il cordone ombelicale intorno al collo; una piaga ad una coscia; una febbre terzana; la rottura del tendine del piede sinistro, per la zampata di una giumenta), comunque quasi tutti corredati da testimonianze e attestati di medici.

L’Altare dei Martiri

Ce n’è uno, a cui avevo accennato prima e che merita di essere raccontato. Riguarda il curato dell’ospedale di Veroli, don Giuseppe Viti, che, come si ricorderà, aveva «trafugato» dall’ospedale Fra Maturino, lo aveva nascosto nella sua casa per tre giorni e poi «per vie segrete» lo aveva accompagnato a Casamari. Qualche anno dopo l’eccidio, nel 1801, il curato era costretto a letto, perché «da molto tempo afflitto d’un massimo dolore e gonfiore della gamba e piede destro» (p.51) [20]. Il racconto che ne fa lo stesso curato è divertentissimo, soprattutto per il tessuto psicologico che lo sostiene: «Avendo inteso che gli riferiti sei monaci facevano grazie, e miracoli con quotidiano concorso di popolo mi raccomandai con tutto il cuore al riferito F. Maturino: dicendole le precise parole: F. Maturino mio: tu lo sai che ti salvai da Francesi e ti condussi alla religione della Trappa; dunque ti prego d’intercedermi la grazia della guariggione [sic]; terminata la preghiera sparì il gonfiore, e dolore, e restai perfettamente sanato» (p.52). Don Giuseppe conosce — e lo premette — le virtù taumaturgiche dei martiri; ma la richiesta non è indiscriminata: è diretta “solo” a Fra Maturino. Che certamente ha buona memoria, però … non è male ricordarglielo, se mai dovesse avere qualche defaillance: «tu lo sai che ti salvai da Francesi e ti condussi alla religione della Trappa» … e poi quel «dunque», a suo modo straordinario…. Fra Maturino — se è riconoscente — non può non guarirlo. Il curato guarisce rapidamente.

Ma anche il curato, da parte sua, è riconoscente: ora che può muoversi, va a Casamari a ringraziare il Benefattore. Anzi, giacché ci si trova, avendo «una flussione di denti», approfitta ancora: si fa dare le reliquie di F. Maturino e le bacia con fede, chiedendo un nuovo, piccolo intervento taumaturgico. Detto e fatto: molto, ma molto meglio di un dentista…

A due signore di Arpino, invece, una con un «reuma di Petto con gran febre [sic]» (p.54), l’altra «con acerbe convulsioni, febre e acerbo dolore di testa» (p.55) la guarigione sopravviene dopo il suono di due campanelli.

Anche la descrizione della guarigione di Cesidio Silvestri di Campoli è deliziosa. Quel «Reumatismo o Polagra» che sembrava invincibile (il “chirurgo” aveva sentenziato che  «questo dolore sarebbe stato [per lui] […] un continuato orologgio [sic]» (p.56) dovette cedere alle reliquie dei Martiri. Ma ci volle una doppia ispirazione (doppia, perché alla prima non aveva dato ascolto) alla moglie del malato che — durante due Messe — sentì che era bene utilizzarle per i «suoi bisogni». Appena guarito, il bravo Cesidio andò a Sora, a raccontare della Grazia ricevuta al suo fratello sacerdote.  Ma «[…] avendolo saputo la Sorella del Signor Canonico Mancinelli, che soffriva dolori Reumatismi, si procurò subito una di dette Cartelle [con le reliquie, ndr], ed appena applicata alla parte dolente, immediatamente restò libera» (p.58). Erano i piccoli vantaggi informativi di cui potevano godere allora le sorelle dei canonici che avevano deciso di stare insieme ai fratelli sul fronte dell’apostolato … 

5. L’ordine di smettere (1804)

Ma la diffusione delle notizie sulle virtù taumaturgiche dei Martiri provoca un continuo aumento di fedeli, che comporta, se non una alterazione, almeno un notevole disturbo ai ritmi e alla quiete monastica.

Perciò, nel 1804, viene presa una decisione tranchant: «Il Priore […] D.Antonio Strasser e l’abate Pirelli, e come altri dicono anche il Vescovo di Veroli, si portarono al cimitero e comandarono [ai martiri] in virtù di Santa ubbidienza di non fare più grazie e miracoli perché disturbavano la quiete del santo luogo!». E come conclude laconicamente l’estensore della cronaca, da quel momento «siccome essi praticarono di ubbidire in vita, così hanno osservato fino al giorno d’oggi» [21], rimanendo «inattivi e quasi dimenticati per circa mezzo secolo nel piccolo cimitero dell’Abbazia» (p.61) [22].

Nel 1847, i monaci chiedono al Pontefice Pio IX [Giovanni Maria Mastai-Ferretti, (1792-1878)] — per il tramite del Commissario apostolico Padre Arcangelo Martini — di poter dissotterrare i corpi dei martiri per dar loro una sepoltura in luogo più adeguato. Il permesso viene ottenuto nello stesso anno, ma bisogna aspettare l’agosto del 1859 per vedere compiuta l’esumazione, davanti al Vescovo di Veroli, al Vescovo di Anagni, a Mons.Giorgi, canonico in Roma di S.Lorenzo in Damaso e a un «solenne apparato di notai, medici, chirurghi e naturalmente scavatori» (p.62).

I resti dei martiri vengono sepolti in una altare mausoleo appositamente costruito nella navata sinistra, in prossimità dell’ingresso.

L’Altare dei Martiri

«Nel mese di ottobre 1933, l’abate di Casamari don Angelo Savastano presentò formalmente al capitolo generale dell’Ordine Cistercense la petizione all’introduzione del processo canonico per la beatificazione dei Servi di Dio» (p.85).

6. Gli “ordini” di ricominciare (1934, 1951)

Nel 1934, «per accelerare in qualche modo la causa di beatificazione, la comunità di Casamari credette opportuno […] rivolgersi “ufficialmente” ai servi di Dio, attraverso il Padre Abate, il quale con mitra e pastorale restituì loro la potestà di fare miracoli, con accenti di somma autorità: “jubemus, praecipimus et imperamus” (comandiamo e ordiniamo categoricamente) e di decisa fermezza: Amen, amen! Fiat, fiat! (Così è, così è! Così sia, così, sia!)» (p.89).

Nel 1951, in concomitanza del rifacimento del pavimento della Chiesa, poiché la posizione dell’altare nella navata sinistra interferiva con l’ingresso dei fedeli, l’abate Nivandro Buttarazzi decise di spostarlo nella posizione attuale, nella navata di destra. 

La seconda rimozione fu effettuata nel gennaio del 1951 e di essa si ha un Instrumentum redatto in latino, che è un esempio della puntualità e della serietà di Santa Romana Chiesa [23]. In quella occasione, l’Abate — «assumptis mitra et pastorali cum pluviali coloris diei»— rinnovò l’ordine di …. ricominciare a far miracoli.

Nella Cronaca di Casamari, di quel giorno (8 gennaio 1951), si legge quanto segue: «Trasportate le sei cassette all’altare è avvenuto un fenomeno curioso e inspiegabile: sono apparse delle gocce di acqua sparse su tutte le cassette. Questo fenomeno si osserva ancora questa sera prima di compieta. Il luogo dove erano conservate queste casse era molto asciutto e da nessuna parte poteva entrare umidità. Ci sembra del tutto misteriosa la presenza di queste gocce di acqua attorno a queste reliquie».

Da allora si ha notizia solo di due “miracoli” — entrambi nel 1952 —, il primo ricevuto da una bimba di nove anni di Isola Liri affetta da febbri e pulsazioni altissime, il secondo da una ragazza — anch’essa di Isola Liri — che sembrava spacciata per una peritonite circoscritta; quello che non riuscirono a fare la penicillina e la streptomicina, riuscì invece ad ottenerlo un triduo di preghiere ai sei Martiri, attivato da una infermiera che aveva un figlio monaco a Casamari.

(continua)

Guido Verna

Maggio 1999

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Tutte le indicazioni di pagina, nel testo e nelle note, si riferiscono al volume di Benedetto Fornari, Assassinio nell’Abbazia. La rivoluzione francese in Ciociaria, Casamari 1987

[12] Ragguaglio dei sei monaci trappisti trucidati dai francesi in questo ven. Monastero di Casamari il 13 maggio 1799 etc., (p.33).

[13] E. Fusciardi, op.cit. (p.23).

[14] Ibidem.

[15] Anonimo Di Valvisciolo, op.cit., (p.36).

[16] Ibidem.

[17] «Tutte le brevi orazioni furono composte da mons. Tommaso [Maria, (1897-1911)] Granello, O.P., commissario del S.Uffizio» [ca.1900 ndr] (p.34).

[18] Anonimo Di Valvisciolo, op.cit., (p.37).

[19] Tutte le citazioni relative a Fra Maturino sono tratte da Ragguaglio etc., (p.39).

[20] Tutte le citazioni relative al paragrafo I miracoli sono tratte da Ragguaglio etc.

[21] Anonimo Di Valvisciolo, op.cit., (p.60).

[22] Relativamente al «quasi dimenticati», non lo furono del tutto, se uno storico dell’ottocento come Pietro Micheletti () , nella sua Storia dei monumenti del Reame delle Due Sicilie, t.I, Napoli 1846, p.511 scrive «Solenne è il funebre Ricinto dove posano le ossa dei Monaci Ivi, vi sono alcuni pilastri sepolcrali e Monumenti di spietata barbarie francese. Nel 13 maggio 1799 (epoche di tirannide e di sangue) soldati francesi imbestialiti ed ebbri, empirono di nequizia il Monistero, spingendo mano sacrilega e rapace nella Casa di Dio… Eppure questi francesi eran discesi nel nostro Reame come Angioli di libertà! Oh! Fallace fidanza negli Stranieri!

[23] Ad esempio, nella lapide precedente si parlava di soldati francesi e italiani; poiché tale notizia si era rivelata assolutamente priva di fondamento, nella nuova lapide il riferimento agli italiani era scomparso. Anche di ciò, si da notizia nell’Instrumentum, con ammirevole sintesi: «verbum ‘italisque’ deletum, quia non respondet veritati historicae».

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