“Il Dio della tenerezza ci guarirà; ci guarirà da tante, tante ferite della vita e da tante cose brutte che abbiamo combinato”.

Papa Francesco

di Padre Appio Rosi O.F.M. Cap.

Papa Francesco il 20 marzo a santa Marta considerando la difficoltà di confessarsi dal sacerdote, durante il periodo di isolamento forzato per la pandemia, ha ricordato e suggerito una cosa che è sempre stata insegnata e praticata da molti:

   “Tu fai quello che dice il Catechismo. È molto chiaro: se tu non trovi un sacerdote per confessarti, parla con Dio, è tuo Padre, e digli la verità: “Signore, ho combinato questo, questo, questo… Scusami”. E chiedigli perdono con tutto il cuore, con l’Atto di dolore, e promettigli: Dopo mi confesserò, ma perdonami adesso. E subito tornerai alla grazia di Dio”.

   Su questo sacramento, che non è una formalità, ci sono domande, perplessità ed equivoci che meritano l’aiuto di qualche chiarimento. Naturalmente una trattazione completa e sistematica chiederebbe altre modalità.

Per prima cosa va detto che l’impossibilità di accedere a un sacerdote può capitare sempre. Quando ciò accade le indicazioni sono quelle che vengono date qui di seguito.

   Riconciliazione

   Parlare di “Confessione” è riduttivo. Il sacramento è “Riconciliazione”. La confessione è uno dei cinque elementi necessari di questo sacramento: esame di coscienza, pentimento, confessione, proposito serio di impegnarsi a correggersi, esecuzione dell’opera imposta dal sacerdote, la cosiddetta “penitenza”.

   Vita cristiana “faidate”?

   La vita cristiana non è per dilettanti. In nessuna cosa siamo completamente indipendenti o facciamo da soli. In tutto abbiamo bisogno e ci serviamo di consulenti, accompagnatori, collaudatori, specialisti, tecnici e quant’altro. In qualunque attività l’uomo se vuole crescere fa verifiche, corregge, approfondisce la conoscenza, cerca miglioramenti. La vita cristiana può essere un faidate? Per la salute fisica non mi accontento di arrangiamenti sbrigativi e cerco anche lo specialista. Così la vita cristiana ha bisogno di verifiche e correzioni anche con l’aiuto di “tecnici”.

   Perché al sacerdote?

   “Perché devo dire le mie cose al sacerdote? Dio non le sa?”

   Il fatto è che Gesù è stato su questa terra, si è fatto uno di noi, e ha parlato e si è fatto vedere e toccare, e anche maltrattare. Ha vissuto la nostra dimensione terrena e vuole che noi la viviamo. Per farci ricordare e approfondire continuamente i suoi insegnamenti ha lasciato a noi di aiutarci gli uni gli altri, con compiti diversi e complementari, perché Lui vuole una comunità. Affidando agli apostoli il compito di rimettere i peccati, ha scelto di affidare il peccatore a un altro peccatore, perché sia chiaro che Lui è misericordioso con l’uno e con l’altro e vuole che siamo noi a scambiarci la misericordia, che da parte sua è sicura. Poiché il peccato incide su tutta la comunità, si chiede perdono a tutti davanti al sacerdote, che ci rappresenta anche la stessa comunità.

   Nella confessione il sacerdote fondamentalmente fa due cose per il penitente: ascolta la sua confessione e lo assolve. Può anche dare consigli che ritiene utili o richiesti dal penitente stesso. Inoltre ci può aiutare a capire se un pensiero è coerente con la fede cristiana, se è da Dio o viene dalla nostra testa. Il sacerdote constatando il mio pentimento mi “assolve”, cioè mi scioglie, mi libera e io ricevo da Dio una forza rinnovata. L’andare dal sacerdote è una conferma visibile, anche davanti a me stesso, della volontà vera di impegnarmi.

   Misericordia e pentimento

   La sostanza della Riconciliazione è nella misericordia sicura e fedele di Dio e, da parte dell’uomo, nell’intenzione sincera di pentirsi per averlo offeso e di ravvedersi. Con questo pentimento posso avere il perdono anche quando, per cause non dipendenti da me, non trovo un sacerdote.

   La lista della spesa?

   La confessione chiede di esporre i propri peccati con il loro nome. Certamente Dio mi conosce e non gli serve la lista della spesa. Sono io che da parte mia devo conoscermi e rendermi conto di come sto camminando, per correggere quello che non va bene davanti a Lui. Al medico non faccio discorsi vaghi, ma dico ciò che mi duole. E lui partendo da lì fa esami e diagnosi e intraprende una cura. Ai mali si dà il nome. Così è per i miei peccati. Devo chiamarli per nome. Così saprò cosa combattere. Un proposito di impegno vago non mi fa crescere. Attraverso l’esame delle mie azioni devo rendermi conto se io sto scegliendo di vivere da cristiano, cioè se voglio entrare in dialogo con Dio e collaborare al suo progetto o voglio fare tutto di testa mia.

   Cosa è peccato?

   Una frase frequente: “Non riesco a capire se questa cosa è peccato”. Dio ci ha dato i comandamenti. Ma nello spicciolo tante cose non è facile capirle. Ma più che capire le cose devo capire me stesso, come intendo vivere. Dio mi ha dato anche una voce speciale: la coscienza. Se ho un dubbio perché non conosco una indicazione esplicita, e devo comunque agire o prendere una decisione, devo ascoltare e seguire lealmente la mia coscienza. Poi farò la verifica con il sacerdote. Non si tratta di un “secondo me”, ma secondo Dio. E secondo Dio devo educare la coscienza. Se la abituo alle mode o a ciò che è meno impegnativo o mi conviene o mi gratifica, non mi dirà la verità. In questo caso sarei responsabile della mancata educazione di questa voce interiore e del male che ne segue.

   La domanda di fondo

   Dio non mi tortura né mi vuole angosciato. La domanda di fondo, che rispecchia l’ideale del cristiano, non è “cosa è peccato?”, ma “cosa Dio desidera da me? In questa azione, in questo pensiero sto rispettando la dignità mia e di altri? Dio è contento di me? Gli faccio onore?”.

   Sbaglio o peccato?

   Lo sbaglio in sé non è peccato. È un frutto della debolezza e dei limiti umani. Anche se produce danni grossi, può non essere un peccato. Se io ho causato un danno facendo qualcosa con buone intenzioni e non sapendo che quel gesto o quella azione poteva portare danno in qualche modo che non conoscevo e non ero tenuto a conoscere, io non ho peccato. La società mi punisce e mi fa pagare i danni. Ma davanti a Dio non sono colpevole di nulla. Se però il mio non sapere è responsabile, nel senso che io dovevo sapere e ho trascurato di informarmi debitamente, di pensare agli effetti di quello che facevo, di guardare dove mi movevo, per superficialità, pigrizia, presunzione di saperla lunga, allora sono colpevole di questa ignoranza e quindi anche degli effetti. Si chiede il perdono dei peccati veri, cioè delle offese a Dio, nelle varie forme, non degli sbagli.

   I pensieri?

   “Se io penso di fare una cosa, ma non la faccio, è un peccato?”

   Sono responsabile delle scelte consapevoli, in pensieri o in opere.

   Se cerco di cacciare via il pensiero negativo non faccio nessun peccato. Se la cosa è insistente farò fatica, ma non sono colpevole. È una tentazione, non una mia scelta. Per esempio: se c’è un temporale cosa faccio? Mi riparo come posso. Non sono responsabile del temporale né del fatto che possa schizzarmi un po’, lo sono se faccio lo stupido e non cerco di ripararmi.

   Se coltivo un pensiero non buono e lo valuto con l’intenzione di seguirlo è un peccato, anche se poi, per qualche ostacolo indipendente da me, non lo realizzo. Chi mi vede dall’esterno mi vede pulito. Ma io so che ho coltivato quella scelta cattiva.

   Pentimento o senso di colpa?

   “Mi fa star male. Non me lo posso perdonare”. È possibile che io mi senta male perché il mio orgoglio non accetta di aver fatto un male. Vorrei sentirmi tutto pulitino e a posto. Questo è senso di colpa. Al centro ci sono io. Il problema non è che mi fa star male, il problema è il male che ho fatto: ho offeso Dio. La voce che mi rimprovera è un dono della sua misericordia. Mi avverte che sto camminando male, come un dolore fisico è un allarme prezioso.

   Il pentimento

   Qui al centro c’è Dio. Io mi pento e gli dichiaro il mio sincero dispiacere, perché so che mi ama senza limiti e non merita l’offesa che gli ho fatto e mi impegno a correggermi. Con questo pentimento, detto anche “contrizione perfetta”, posso avere il perdono. Se non posso incontrare il sacerdote subito, dichiaro a Dio la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale. Il papa lo ricorda: “promettigli: Dopo mi confesserò, ma perdonami adesso”. Una promessa a Dio! E Dio mi prende sul serio e fa sul serio: mi perdona.

AR,giugno 2020

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