di Guido e Grazia Verna

agosto 2018

8. Il Santuario ci regala ancora una sorpresa, tanto bella quanto inaspettata: lo splendore degli affreschi su tutte le pareti di tre ambienti, di dimensioni e conformazioni diverse, contigui alla chiesa, che sono stati risparmiati «dalla demolizione e dalle trasformazioni» conseguenti a «tutti i lavori eseguiti dopo la metà del XVI secolo», perché certamente «gli stessi operatori delle trasformazioni si resero conto della grande importanza e del grande interesse storico e artistico di quelle pitture murali; cosicché le conservarono e le tramandarono, con i soli naturali deperimenti, alle successive generazioni.» [13]

Anche chi come noi non è particolarmente esperto d’arte può riconoscere negli affreschi una mancanza di unitarietà “espressiva”, può cogliere, cioè, stili diversi e, quindi, presumere non solo mani diverse – Jacopo da Arsoli, Desiderio di Subiaco, il misterioso Petrus e l’altrettanto misterioso Maestro di Farfa – ma anche “tempi” diversi dal XIII al XV secolo  [14].

Se è vero che si tratta di «opere lontane dal sublime» [15] e che «il loro livello artistico non è eccelso» [16], è, però, altrettanto vero che anche chi come noi è poco esperto d’arte può “perdersi” in questa riflessione: ma che tempi strordinari dovevano essere quelli in cui, fra le sperdute montagne della Marsica abruzzese (e quindi non propriamente al centro del mondo, sebbene non lontane da Roma) potevano annidarsi artisti (o, magari, anche solo committenti) in grado di desiderare, concepire e realizzare (o far realizzare) opere così “belle” e così piene di significati!

Siamo di fronte a una straordinaria biblia pauperum. A guardarla con occhi “puliti”, anche chi non aveva libri e non sapeva leggere poteva ritrovare o scoprire, a colori, il filo e il senso della propria esistenza. Poteva far conoscenza, a testa in su, sulle quattro vele della volta, degli Evangelisti e dei Dottori della Chiesa; poteva poi incontrare san Sebastiano trafitto dalle frecce e la Madonna di Loreto, Fausto e Procopio arrivati da Siviglia, sant’Anna e san Rocco; e poi ancora poteva ripercorrrere la storia di Gesù con la Visitazione, la Presentazione al tempio, la Crocifissione, la Deposizione, la Pentecoste.

Fra le tante immagini, rimaniamo colpiti dalla Visitazione, da Maria che va a trovare la cugina Elisabetta non da sola, come l’ha rappresentata Raffaello, bensì, come nelle Visitazioni di Giotto e del Ghirlandaio,  accompagnata da portatrici di doni, che hanno la fierezza e il portamento delle donne abruzzesi, con quei cesti di vimini ricolmi di doni, in equilibrio sulla loro testa protetta da una ciambella di panno arrotolato; quella ciambella che a me bambino sembrava quasi una corona da regina, quando, al mio paese, le vedevo portare allo stesso modo, cioè con la stessa fierezza e lo stesso portamento, le conche piene d’acqua dalla fontana alla loro casa o i grandi cesti col mangiare per i mietitori nella campagna lontana; le ricordo incedere diritte e austere, come modelle in una sfilata di moda di oggi, e non su passerelle, bensì su strade sconnesse e quasi mai in piano.

Quello che ci colpisce di più, però, è la rappresentazione del Giudizio e del suo duplice esito, l’Inferno e il Paradiso, descritti “classicamente” con il Paradiso in alto e l’Inferno in basso, con il Paradiso in cui regnano gerarchia e armonia e l’Inferno dove invece domina il caos.

Nel Paradiso tutto è, appunto, armoniosamente e gerarchicamente organizzato intorno ad un luminoso Cristo rappresentato in sommità – al vertice della numerosa schiera costituita da apostoli, evangelisti, dottori, patriarchi, profeti, martiri, santi etc. [17] –, con le mani e il costato ancora insanguinati, con «un giglio e una spada che spuntano dalla sua bocca a simboleggiare la sentenza che premia gli eletti e condanna i reprobi […], [con] due angeli che mostrano gli strumenti della passione (la croce e la colonna della flagellazione), [e con] Maria e Giovanni, i due intercessori in preghiera» [18].

Appena sotto il Cristo è san Michele Arcangelo con i suoi due “strumenti da lavoro” necessari per l’adempimento dei compiti che gli sono stati assegnati: la spada sguainata da “Principe delle Milizie Celesti” e la bilancia a doppio piatto da “pesatore delle anime”, con la quale – al termine della vita terrena di chi è sottoposto al Giudizio, cioè di ognuno di noi –,  dovrà “pesare” moralmente l’anima del giudicato, per la sentenza definitiva: o su o giù.

Giù, c’è l’Inferno. Anche nel nostro affresco. Al centro, dominante, c’è un enorme e mostruoso satana, incatenato alle braccia e ai piedi e rappresentato «come un essere a cinque teste: tre uscenti direttamente dal tronco [di aspetto cinghialesco] e le altre due una da ogni ginocchio [di aspetto canino]» [19]. Le anime dei peccatori sono simbolicamente riassunte nei sette vizi capitali. Tenendo stretta a sé l’invidia – forse perché più di tutti gli ricorda Lucifero, il “fondatore” dell’Inferno –  dalle tre bocche della testa inghiotte la gola (in quella centrale), la lussuria e l’avarizia (dalle due laterali), mentre da quelle sui ginocchi ingurgita in una l’ira, nell’altra l’accidia. Il settimo vizio, la superbia, è collocata nell’orifizio anale.

Nella “guida” più volte citata di Angelo Calvani, l’autore dà una lettura che allarga l’angolo visuale di questa  rappresentazione dell’Inferno e che merita perciò di essere riportata integralmente:

«Dalle cinque bocche e dall’orifizio anale entrano ed escono figure che rappresentano sei dei vizi, il settimo, l’invidia, è collocata tra le sue braccia.

Che questa pittura abbia un chiaro compito didascalico è evidente: lo dimostrano le scritte che indicano il nome dei vizi ed anche le figure che contornano il demonio, presso le quali è illustrato e  indicato il mestiere o la condizione che più dispongono l’uomo al vizio.

La collocazione delle figure dei vizi sul corpo di Satana non è certo casuale, così anche quelle dei peccatori, tanto che appaiono qui espresse compiutamente le idee dei teologi medievali. 

L’autore si dimostra conoscitore dei concetti teologici, anche di quelli piuttosto sottili, tanto da far pensare di essere stato guidato da persona preparata che gli ha suggerito di soggetti da lui poi tradotti con linguaggio visivo.

L’incatenamento di Satana, per esempio, è un evidente riferimento al concetto che vuole controllata da Dio l’attività del maligno.

Il pittore ha anche posto ad arte le figure di contorno in prossimità dei vizi illustrati: 

– l’Ira ha per vicino il «tabernaro», le risse scoppiano infatti facilmente nelle osterie;

– la Lussuria è legata ai Turchi, intendendo con tale termine indicare forse le persone senza autocontrollo e ignoranti;

– sopra all’Avarizia sono disposti i Maccabei, forse per indicare più generalmente gli Ebrei, che esercitavano l’usura; 

– l’Invidia ha per compagno Giuda, posto sul braccio sinistro, quello del cuore, di Satana;

e così via. L’autore non poteva essere più espressivo e realista di così.

Al di sotto della figura di Satana il pittore colloca gli eretici e gli antipapi, riconoscibili dagli abiti, dalle mitrie e dalle tiare. » [20]

9. Prima di ripartire, torniamo a salutare la Madonna e il Figlio, Bambino tra le sue braccia, in croce da grande vicino a Lei. Davanti a loro, recitiamo la Sua preghiera che comincia così: «O Maria Santissima dei Bisognosi noi cesseremo di pregarti, quando cesseranno i nostri bisogni. Questi non cesseranno mai, e non cesseremo mai dalle suppliche. »

(fine)

[13] A.Calvani, op.cit, p.7 .

[14] Secondo la nostra pubblicazione “guida”, le fasi degli interventi, dal XIII al XV secolo, furono quattro. Cfr. Ibid., p.11.

[15] Lidia Lombardi, Maria dei Bisognosi, in http://www.succedeoggi.it/2018/04/maria-dei-bisognosi/

[16] Elisabetta Mancinelli, Un capolavoro nascosto: Santa Maria dei bisognosi a Pereto,  in https://www.abruzzo24ore.tv/news/Un-capolavoro-nascosto-Santa-Maria-dei-bisognosi-a-Pereto/135326.htm

[17]  Riporto la precisa descrizione che ho trovato – all’interno del sito Visioni dell’Aldilà di  Carlo Finocchietti, – nell’articolo Abruzzo. Paradiso e Inferno alla Madonna dei Bisognosi :  «Ai lati di Gesù si dispiega il Paradiso dei beati. Vi sono i dottori della chiesa (papa Gregorio col triregno, Girolamo con la berretta da cardinale, i due vescovi Ambrogio e Agostino), i quattro evangelisti e gli apostoli (preceduti da Pietro con le chiavi del regno e da Paolo con la spada del martirio). Enoc ed Elia, i due profeti giunti vivi in paradiso, indicano il giudice.  Nel settore di sinistra compaiono i gruppi dei patriarchi biblici, dei profeti, delle donne sante (l’ordine delle vedove e quello delle vergini con la corona sul capo). Nel settore di destra siedono i due gruppi degli uomini e delle donne martiri, i religiosi (i monaci, i frati e i santi fondatori di ordini) e i sacerdoti (le gerarchie ecclesiastiche dei papi, cardinali, vescovi e abati). Più in basso, al centro, è visibile la scena della risurrezione dei morti, con i corpi che escono dai loro avelli tombali. A sinistra sono visibili le mura che circondano la Gerusalemme celeste. San Pietro, affiancato dall’angelo di guardia, riapre con le chiavi consegnategli da Gesù le porte del paradiso che erano state chiuse dopo il peccato originale. Gli eletti, in preghiera a mani giunte, si apprestano a entrarvi.» in

[18] Ibidem. Il sito, peraltro, può consultarsi anche per l’ampio ed esauriente corredo fotografico di cui è dotato.

[19] A.Calvani, op.cit., p.25. La rappresentazione  di satana come un essere a cinqueteste si trova anche nel ciclo di affreschi cinquecenteschi della Chiesa di San Fiorenzo di Bastia Mondovì (CN).

[20] Ibid., pp.25-34

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