di Guido Verna
Scritto in occasione del Pellegrinaggio al Santuario di san Michele Arcangelo di Procida, il 1° ottobre 2017 per l’inizio dell’anno associativo dei miltanti di Alleanza Cattolica della Regione Campana.
4. Le «Croci di via»
Nel citato libro di Oursel, c’è un’altra bella descrizione, che può essere assunta come metafora − e si tratta di una metafora piena di senso − della nostra esistenza.
Si può leggere in un breve capitolo intitolato «Croci di via» e suona così: «Croci di pietra o di legno erano conficcate [lungo il cammino] […], e passando davanti ad esse i pellegrini si segnavano. l’emblema cristiano, così, regnava uniformemente sui campi, sui sentieri, e sui villaggi. […] il più delle volte, la croce segnalava o una terrazza, a suggerire l’immensità divina nei vasti orizzonti intorno ad essa, o più spesso ancora, un punto di passaggio obbligato, un incrocio di vie o di sentieri: […] [e] costituisce, oltre al riposo di una breve preghiera, un’indicazione e un segnale prezioso al viaggiatore, sul quale potersi regolare» [1].

Questa descrizione delle funzioni delle «Croci di via» può essere assunta metaforicamente anche da chi come noi − a prescindere dai risultati − «in un dato momento della vita», ha deciso di (cercare di) muoversi verso il Paradiso, subordinando a questa decisione «l’organizzazione della [propria] esistenza»; per chi, in sostanza, “sente” la propria vita come un pellegrinaggio, il “Grande pellegrinaggio”.
Se è vero che ogni uomo è viator e la sua vita deve essere un pellegrinaggio verso il Paradiso, è però altrettanto vero chenon tutti “avvertono” questa condizione. Ed è ancora più vero che non tutti l’”avvertono” allo stesso modo, con la stessa intensità. Per quelli come noi che, almeno di principio, l’”avvertono” di più − se mi è permessa un’immagine “acustica”, si potrebbe dire la “sentono” meglio, perché «in un dato momento della vita» hanno deciso di togliersi dal flusso dei grandi rumori, filtrando quelli impropri e devianti e selezionando quelli che carezzano i timpani e rasserenano l’animo − per questo tipo di viatores che “sentono” meglio la loro condizione, dovrebbe essere agevole cogliere il senso della metafora delle «Croci di via».


Quelli che come me sono al secondo tempo della vita, se fanno scorrere il suo film, si accorgono − sempre che abbiano conservato sguardo limpido e onesto e che la loro memoria non sia ancora offuscata dalle ombre senili − di quanto la metafora delle «Croci di via» sia calzante. Quante volte nella vita, pur organizzata per muoversi verso la “buona meta”, ci si è trovati di fronte a un bivio “problematico”? Quante volte − pur non avendo cambiato obbiettivo, ma mirando sempre allo stesso, cioè alla “buona meta” −, siamo stati colti da incertezze, da timori? Ebbene, se facciamo mente locale, ci renderemo conto del fatto che quasi sempre ne siamo usciti con pochi danni e senza sbagliare strada, solo perché abbiamo seguito con umiltà le indicazioni di quelle «Croci di via» che, provvidenzialmente, abbiamo trovato lungo il cammino del nostro “Grande pellegrinaggio”. Certo, si trattava di «Croci di via» sui generis: potevano essere un uomo, una donna, un fatto, un’associazione, un libro, un’immagine votiva. Noi però abbiamo saputo coglierle come «Croci di via» indicatrici, come cartelli direzionali che, senza coartarci, si limitavano soltanto a indicarci la “buona strada”, che noi, poi, liberamente abbiamo scelto di seguire.

Ma c’è qualcosa di più che vorrei non ci sfuggisse. La «Croce di via», come scriveva Oursel, non segnalavasolo «un punto di passaggio obbligato, un incrocio di vie o di sentieri», bensì anche «una terrazza, a suggerire l’immensità divina nei vasti orizzonti intorno ad essa». Riflettiamo su quante volte abbiamo incontrato qualcuno o qualcosa − un uomo, una donna, un libro, un quadro, un brano musicale, una cattedrale − che sono state le nostre terrazze e che ci hanno fatto aprire lo sguardo su panorami splendidi e sconosciuti, che ci hanno suggerito appunto «l’immensità divina nei vasti orizzonti».

San Michele Arcangelo nei Giardini Vaticani
5. Anzitutto ri-posizionarsi per riconoscere le «Croci di via»
Il problema è “saper” riconoscere questi cartelli; o meglio, il problema, più che “saper” riconoscere, è “voler” riconoscere questi cartelli. Perché essi non sono complicati, criptici come un quadro astratto, ma, al contrario, sono talmente semplici e percepibili da richiedere ogni volta al pellegrino viator un bagno di umiltà, che vinca il suo orgoglio e lo riposizioni.
In genere, il problema è sempre lo stesso: anzitutto, in primis, ri-posizionarsi, alla scuola del Padrone di Casa del nostro “piccolo pellegrinaggio” di oggi: S.Michele Arcangelo. A lui − lo ricordo ancora − si deve l’osservazione più sapiente e più realista che una creatura abbia mai potuto fare nei confronti del Creatore: «Chi è come Dio?» «Quis ut Deus?». Lo stupore della sapienza! Ma anche: la sapienza del realismo!
A qualcuno questa “terapia” può apparire troppo semplicistica — a fronte della complessità e della diversità dei bivi e degli incroci che il pellegrino incontra lungo il suo cammino o anche dei momenti di incertezza e di ansia che possono coglierlo —; ma se si guarda un po’ sotto la superficie, ci si accorge come i deficit di ogni uomo di ogni tempo siano solo la ripetizione dell’infrazione iniziale, di quel voler entrare nella “stanza dei bottoni”, dove il Creatore ha stabilito, una volta per tutte, ciò che è bene e ciò che è male. In una intervista a Tempi di qualche anno fa, Fabrice Hadjadj − parlando della famiglia in una prospettiva inconsueta e affascinante [«Il tecnologico è l’ultima maniera di sbarazzarsi del genealogico, perché presto saremo in grado di produrre esseri umani: fabbricheremo bambini e cyborg»] − a un certo punto dice: «Credo che si possa rileggere tutta la storia della filosofia a partire dal peccato originale» [2]. Ma, come ci è stato insegnato, si può rileggere così anche tutta la Storia umana. E anche la storia di ciascuno … Se Dio vuole, noi siamo stati sempre convinti di questo — si può dire che è un dato di scuola — e abbiamo frequentemente praticato queste riletture.
6. I due insegnamenti da trasmettere
Il primo insegnamento che quelli come noi al secondo tempo della vita devono rivolgere a chi è ancora al primo, se non addirittura al trailer, è allora proprio la «capacità» di riconoscere le metaforiche «Croci di via» che si incontrano nel “Grande pellegrinaggio” della vita, siano esse un uomo, una donna, un fatto, un’associazione, un libro, un «Piccolo pellegrinaggio» come quello di oggi. È un dovere che deriva certamente dall’esperienza — quella qualità di cui ha merito solo il tempo che passa e che viene insieme ai dolori reumatici —; ma per i meno giovani di noi è un dovere ancora più pressante perché dobbiamo restituire ad altri quello che è stato donato a noi: la «capacità» di attraversare il tempo con gli occhi aperti da grandi maestri. Come è scritto nel Vangelo di Matteo: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date»(Mt 10, 8).
Dobbiamo generosamente ri-dare, dunque: e non solo per dovere verso i nostri maestri ma soprattutto — guardandoci allo specchio, per tentare una sorta di selfie profondo, radiografico — perché «ciascuno di noi è un esempio di generosità gratuita ricevuta dal Creatore».
Il secondo insegnamento deriva dalla considerazione, tanto banale quanto fondativa, che più di ogni altra, in ogni «Croce di via», ci ha aiutato a riconoscere — e ad accettarla, comunque fosse impervia la strada indicata — la giusta direzione da prendere:«Io sono solo una creatura, il Creatore è chi mi ha fatto. Io ho doveri, l’Altro ha solo diritti. Non aveva il dovere di farmi, eppure mi ha fatto, gratuitamente. Mi ha fatto anche con qualche diritto: il diritto di ricevere un’anima e di essere sottoposto a giudizio, il diritto di chiedere grazie e di riceverle, il diritto di avere un angelo custode e di avere i peccati rimessi…»; e da qui, con l’aiuto di san Michele Arcangelo, lo stupore via via crescente della sapienza e del realismo: «Chi è come Dio?».
Anche a noi, dunque, c’è chi ha insegnato a riconoscere le «Croci di via» e la loro funzione di origine provvidenziale. Magari all’inizio si faceva fatica a leggere bene l’indicazione del percorso da seguire, magari si sbagliava ma poi si tornava indietro al richiamo di un amico o di un conoscente, a volte bastava un sibilo leggero, altre volte ci voleva un urletto, se non addirittura un urlaccio … Ogni volta, però, — e anche di questo si deve ringraziare Iddio — la nostra scelta è stata libera… non coartata da nessuno né mai dettata da interessi umani, troppo umani, ma frutto solo della nostra volontà mossa dalla nostra ragione e poi pian piano dalla nostra fede.
(continua)
Guido Verna
2017
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[1] Raymond Oursel, pellegrini del medio evo. Gli uomini, le strade, i santuari, Jaca Book, Milano 1978, p.61.
[2] Rodolfo Casadei, Viva la vita crudele e sessista. Grande intervista a Fabrice Hadjadj, in Tempi, 9novembre 2015 in http://www.tempi.it/viva-la-vita-crudele-e-sessista-grande-intervista-a-fabrice-hadjadj#.VkNrgNIvfiw
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