di Guido Verna
Scritto in occasione del Pellegrinaggio al Santuario di san Michele Arcangelo di Procida, il 1° ottobre 2017 per l’inizio dell’anno associativo dei miltanti di Alleanza Cattolica della Regione Campana.

«La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata.» (Francesco)[1]
1. L’uomo viator e il tempo del pellegrino
Posto che ogni uomo è pellegrino «soprattutto interiormente [ed è] sempre in cammino, […] alla ricerca della verità» [2], ogni tanto, secondo Benedetto XVI, è necessario per ciascuno di noi esprimere questo movimento «anche […] esteriormente, [cioè attraverso il pellegrinaggio “fisico”, perché ogni tanto è necessario] uscire dalla quotidianità, dal mondo dell’utile, dell’utilitarismo, uscire solo per essere realmente in cammino verso la trascendenza; trascendere se stesso, trascendere la quotidianità e così trovare anche una nuova libertà, un tempo di ripensamento interiore, di identificazione di se stesso, di vedere l’altro, Dio».[3]
Un tempo diverso, dunque, quello del pellegrinaggio. Perché, come ha scritto molto bene il padre benedettino Vinzenz Mora, «il pellegrino, va in cerca del luogo sacro. Ma, a differenza del turista, anche se si serve degli stessi mezzi di trasporto, soggiorna negli stessi alberghi e calca le stesse strade, egli si muove in un altro spazio, entra in un nuovo tempo, risveglia in sé un altro uomo.
[…] Il tempo del pellegrino non è quello del turista [ma] […] è in realtà il tempo della memoria, il tempo della liturgia.
Il turista si muove nel tempo cosmico o nel tempo profano del calendario civile.
Il pellegrino si muove nel tempo liturgico, quello della fede.
Il tempo turistico è neutro, semplicemente cosmico o economico, perché egli deve tener conto del clima, delle stagioni, dei ritmi economici del lavoro e delle ferie.
Il tempo del pellegrino è quello della storia sacra, che è memoria» [4].
Nel saggio Perché le Crociate, lo storico don Giorgio Fedalto per il pellegrinaggio assume un’affascinante origine: «Nella storia del cristianesimo si incontrano intrecciate tre grandi idee: il pellegrinaggio, la missione o evangelizzazione, la crociata. […] il pellegrinaggio comincia prestissimo, la stessa mattina di Pasqua, quando sulla tomba del S. Sepolcro ormai vuota troviamo le donne di Gerusalemme pronte ad imbalsamare il corpo, che invece non c’era più. [5] Poi [il pellegrinaggio] prosegue, praticamente con una continuità che non ha fine, neppure ai giorni nostri. E si ripete in tutti i loca martyrii, dove l’imitazione dell’archetipo incontra tanti innumerevoli seguaci». [6]

Nel suo libro Pellegrini del Medio Evo, lo storico francese Raymond Oursel (1921-2008) riporta una definizione dei pellegrini del suo collega [Edmond-René] Labande (1908–1992): «cristiani che, in un dato momento della loro vita, hanno deciso di recarsi in un certo luogo, e che a questo viaggio hanno totalmente subordinato l’organizzazione della loro esistenza» [7].

Come nota lo stesso Oursel, in questa definizione il ”luogo” −«un certo luogo»− in cui i pellegrini «hanno deciso di recarsi» è caratterizzato da una assoluta genericità; per caratterizzarlo in modo inequivoco, è necessario qualificarlo con l’aggettivo “sacro” (“un luogo sacro”), che specifica e definisce compiutamente l’autentica natura del pellegrinaggio.
Ci si potrebbe accontentare della definizione così com’è solo se si identificasse quel “certo luogo” con il Paradiso. Infatti, se si prova a rileggerla con questa correzione − «cristiani che, in un dato momento della loro vita, hanno deciso di recarsi in Paradiso, e che a questo viaggio hanno totalmente subordinato l’organizzazione della loro esistenza» − si ricava, in fondo, la descrizione della vita autenticamente “bella”, quella dei “bravi e buoni” cristiani, cioè di quelli che, in un dato momento, decidono di andare — o almeno di cercare di andare — in Paradiso, subordinando a questa decisione «l’organizzazione della loro esistenza». È quello che si potrebbe chiamare il “grande pellegrinaggio”.
3. Il “Piccolo Pellegrinaggio”
Più avanti lo stesso Oursel, dà una sua definizione del pellegrinaggio: «[…] è l’atto volontario con il quale un uomo abbandona i luoghi a lui consueti, le proprie abitudini e il proprio ambiente affettivo per recarsi in religiosità di spirito, fino al santuario che si è liberamente scelto o che gli è stato imposto dalla penitenza; giunto alla fine del viaggio, il pellegrino attende sempre dal contatto col luogo santo sia che venga esaudito un suo legittimo desiderio personale, sia, aspirazione certo più nobile, un approfondimento della propria vita personale attraverso la decantazione dell’animo attuata lungo il cammino [−lungo o breve che sia−] e attraverso la preghiera comune e la meditazione una volta giunto alla meta»[8].
Sono quelli che si potrebbero chiamare i “Piccoli Pellegrinaggi” che sono di grande aiuto per il “grande pellegrinaggio”.
“Piccoli Pellegrinaggi”, ma anche piccolissimi come quello nostro di oggi, in cui non c’è niente di “eroico”: nessuno di noi ha abbandonato, se non minimamente, i luoghi consueti, le sue abitudini e −ma forse non vale per tutti− il suo ambiente affettivo, che è anzitutto familiare e si allarga agli amici e, tra questi, in primis agli “amici che condividono”.


Ma se anche non c’è niente di “eroico” nella partecipazione a questo piccolissimo pellegrinaggio, resta il fatto che ognuno di noi ha certamente deciso di organizzare un pezzetto della sua esistenza venendo,«in religiosità di spirito», fino a questo straordinario santuario dedicato a s.Michele Arcangelo, dove ognuno si aspetta −per rifarsi alla definizione del pellegrinaggio di Oursel− da un lato che qualche suo legittimo desiderio possa essere esaudito, dall’altro che attraverso il cammino, la preghiera in comune e la meditazione possano decantarsi le passioni che agitano il suo animo per guardarsi “dentro”, meglio e più in profondità.
(continua)
Guido Verna
2017
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[1] Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di Indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, Roma, 11 aprile 2015.
[2] Benedetto XVI, Incontro con i giornalisti durante il volo verso Santiago de Compostela (Volo Papale), del 6-11-2010.
[3] Idem, Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale di Santiago de Compostela, del 6-11-2010
[4] Vinzenz Mora o.s.b., Il Pellegrinaggio come Luogo e tempo della “Memoria”, in http://www.anamnesis.it/pg001.html
[5] Cfr. Mc, 16, 1-8 «[1] Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. [2] Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. [3] Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». [4] Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. [5] Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. [6] Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. [7] Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”. [8] Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura».
[6] Giorgio Fedalto, Perché le Crociate. Saggio interpretativo, Pàtron Editore, Quarto Inferiore (Bo) 1980
[7] InRaymond Oursel, pellegrini del medio evo. Gli uomini, le strade, i santuari, Jaca Book, Milano 1978, p.9.
[8] Ibid. pp.9-10.
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