di Guido Verna
La roccia sulla quale è costruito il castello che incombe su Foix è l’ultimo pezzo di Pirenei che vediamo. Il était un Foix… il calembour che annuncia gli spettacoli estivi di rievocazione storica organizzati in questa bella cittadina dell’Ariège mi fa sorridere e pensare un po’. C’era una volta… ma le fiabe, almeno quelle classiche, hanno valore di paradigma, non si chiudono mai nella storia, il loro senso è sempre aperto e rinnovabile. C’era una volta, potrà esserci ancora…

Il cambio delle lire in franchi è assolutamente sconveniente ma siamo costretti a subirlo. I pochi vantaggi della nuova Europa, in questo sportello Bancomat di Foix, non sono ancora arrivati: è tutto come una volta. Ma per fortuna anche il sapore della vecchia Francia, nella baguette farcita, è tutto come una volta…

Ora Santiago è lontana. La campagna francese è uno spettacolo che non finisce mai di sorprendermi. Grazia – che dopo venticinque anni mi conosce ormai bene – con involontario affetto fa in modo di farmela godere fino in fondo: con la cartina in mano, invece di guidarmi verso sud, nella direzione di casa, mi fa puntare a Nord, dentro, appunto, la dolcezza ordinata della campagna francese. Decidiamo di fermarci, in un altro Logis isolato, in un paese della Haute Garonne. Siamo su una collinetta e intorno a noi non c’è molto verde; ci sono quasi soltanto campi di terra color nocciola, ma curati e pettinati come i bimbi il giorno della prima comunione. È il panorama che preferisco; una natura magari non splendida, ma totalmente domata e organizzata dall’uomo, dal suo lavoro e dalla sua sapienza; una natura che rasserena, che non promette sorprese e avventure e in cui leggi l’ordine del creato come risultato del rispetto da parte delle creature degli ordini del Creatore.

E pensi che i proprietari sono tanti; eppure ognuno ha curato e pettinato il suo pezzo di terra con lo stesso amore e condividendo la stessa visione, per dare questa armonia d’insieme. E immagini come potrebbe essere il mondo se lo stesso atteggiamento di amore e di condivisione quegli uomini, noi uomini, li applicassimo ai nostri rapporti… E non puoi non ricordare, allora, San Luigi, Carlo Magno, Santiago, Orlando…: la Cristianità. Ma non è il ricordo di un’epoca che si è chiusa definitivamente. Niente si chiude definitivamente nelle storia; tutto è sempre possibile: dipende dall’uomo, se decide o meno di aderire – da creatura – al piano del Creatore. La storia è lì, proprio come prova di fattibilità, come exemplum, come memento, a ricordarci non solo le miserie dell’uomo ma anche le sue grandezze. È questo il senso autentico del calembour del depliant pubblicitario: il était un foix…
Mentre continuo a riempirmi della dolcezza che mi deriva dall’ordine e dalla perfezione formale di questo panorama – per di più esaltati piuttosto che illanguiditi dalla luce calda di un sole, ormai basso, che sta chiudendo la giornata – non posso non pensare a quel grande contadino di Francia a cui il mio modo di pensare e di vivere, cioè la mia cultura, deve moltissimo: Gustave Thibon. «Il nostro compito è quello di insegnare l’amore, certo. Ma è anche quello di contribuire ad ordinare il mondo in modo che l’amore possa germinarvi. Bisogna restituire agli uomini condizioni di vita normali, bisogna render loro un’anima umana, al fine di poter innestare efficacemente in essi un’anima divina» [1].
Il sole ora sta proprio scomparendo ed è tempo di cena. Mangiamo molto bene, in una sala con pochi avventori e, dopo l’ultimo goccio di vino, torniamo fuori. Per la prima volta apprezzo il non eccessivo garbo di quei non pochi francesi che non mancano mai di farti sentire a casa loro. L’albergatore – magari attraverso l’ausilio di un orologio automatico che non tollera aggiustamenti – spegne, senza avvertirci, tutte le luci, lasciandoci al buio completo: e, all’improvviso, grazie al suo scarso garbo, tre sere dopo la notte di San Lorenzo, mi appare il cielo più bello della mia vita. Non ho mai visto tante stelle e tanta limpidezza.
Con mia figlia e il mio amico rimaniamo mezz’ora a testa in su, ad ammirare e pensare in silenzio. Quando ci alziamo per andare a letto, mia figlia mi chiede quante stelle ho visto cadere.«Io quattro», rispondo. «Io due..», aggiunge lei, con una voce in cui sento un po’ di tenera invidia, «forse ho guardato il pezzo sbagliato». Figlia mia, ma a chi torna da Santiago deve ormai essere chiaro che il cielo è per tutti e non ha pezzi sbagliati: ma è fatto in modo tale che ognuno ha il pezzo che si è meritato! Dormi tranquilla, figlia mia: sto solo scherzando, eri tu, se mai, che meritavi quattro stelle…
Guido Verna
1996
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[1] Gustave Thibon, Ritorno al reale, Volpe, Roma 1972, 119–120.
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