di Guido Verna

Non c’è nebbia, oggi, il giorno del ritorno; c’è anzi un pallido sole. Dietro i tavoli del bar in cui facciamo colazione, c’è una vetrina con tanti anellini d’argento. Entriamo perché voglio acquistarne uno. Grazia ha pretese modeste: basta il pensiero, soprattutto se – come ora, ma anche come allora, da fidanzati, sul Ponte Vecchio di Firenze – è un pensiero grande.

Santiago, Santa Salome e la Signora sono ormai laggiù, oltre lo stadio del Compostella. Li guardiamo dall’alto del Monte Gozo, vicini alla enorme statua del pellegrin: é il Monte della gioia, quella che provava il pellegrino dopo mesi di estenuante cammino, quando da lì finalmente vedeva i campanili dell’Obradoiro. Pensiamo alla sua emozione, alle sue lacrime. Ha le piaghe sotto i piedi, la gola arsa, è lacero, contuso, ma nel lungo Camino ha incominciato a trovare sé stesso, a intuire il senso profondo dell’esistenza e della sua esistenza: e fra poco, laggiù, Santiago nell’Obradoiro lo avrebbe aiutato a finire l’opera, la sua vera opera d’oro, il suo Obradoiro autentico.

Monumento del Pellegrino

Noi proviamo un’emozione simile, ma a consuntivo; perché ora sappiamo che la speranza del pellegrino è una certezza. Siamo quassù per ringraziare per il tanto che Santiago ci ha donato a fronte del poco che noi abbiamo offerto in termini di sofferenza e di Cammino – e non solo perché siamo venuti in auto… 

Pellegrino di bronzo, ti invidio. Puoi rimanere qui a sperare e a ringraziare, se arrivi e se riparti, quando c’è il sole e quando c’è la nebbia; ma sempre con la luce dell’Obradoiro di Santiago davanti agli occhi che alimenta la luce interiore del tuo Obradoiro.

Il nostro pellegrinaggio è finito. Santiago, Santa Salome e la Signora Rosalía si avviano a diventare un ricordo ma anche una promessa: torneremo a trovarli, se Dio vuole non fra venticinque anni, per rifare un bilancio sullo stato del nostro fango e – comunque sia – per verificare la nostra capacità di dire grazie.

Ce ne andiamo portandoci dentro la consapevolezza – ora sperimentale – che «il pellegrinaggio è marcia verso una meta che simbolizza e attualizza il fine soprannaturale. La partenza implica una vittoria sull’inerzia abituale. Lasciare la propria casa è rompere con le abitudini mediocri e terra terra, è entrare nella via di esigenze dimenticate, di sacrifici da compiere. Il cammino verso il luogo santo rianima il senso escatologico e la speranza, essenziali allo spirito di preghiera» [1]

Durerà questo spirito? Durerà, perché la speranza l’abbiamo affidata al «maestro della speranza»[2]. Non l’abbiamo incontrato nell’ottavo cielo delle stelle fisse, ma più modestamente l’abbiamo trovato nella penombra della sua chiesa, d’oro seduto nell’oro, luminosa stella fissa in questo pallido cielo galiziano. Forse sarà per il nostro sorriso come quello di Daniele, come quello di Beatrice, ma avvertiamo che ha parlato anche a noi:

«Leva la testa e fa che t’assicuri

che ciò che vien qua sú del mortal mondo,

convien che ai nostri raggi si maturi» [3] .

Abbiamo levato la testa ed ora ce ne andiamo necessariamente maturati “ai raggi” d’oro di Santiago. Pellegrino di bronzo, aspettaci, allora. Passeremo da te, la prossima volta, prima di arrivare da Lui, perché abbiamo capito, tra le altre cose, che per chi ha occhi limpidi l’Obradoiro si vede anche quando c’è nebbia. Nel frattempo, pellegrino, col Compostella in Serie A, puoi finalmente vederti anche il Real. Santiago, che ormai è completamente spagnolo, capirà…

Guido Verna

1996

N.d.r.: In occasione del viaggio apostolico in Spagna del 9 Novembre 1082, San Giovanni Paolo II tenne il discorso che segue:

ATTO EUROPEISTICO A SANTIAGO DE COMPOSTELA

Giunto al termine del mio pellegrinaggio in terra spagnola, ho desiderato sostare in questa splendida Cattedrale, così strettamente vincolata all’apostolo Giacomo e alla fede della Spagna.. (…)

Volgo il mio sguardo all’Europa come al Continente che ha più contribuito allo sviluppo del mondo, tanto sul piano delle idee quanto su quello del lavoro, delle scienze e delle arti. E mentre benedico il Signore per averlo illuminato con la sua luce evangelica fin dalle origini della predicazione apostolica, non posso tacere lo stato di crisi in cui esso si dibatte, alle soglie del terzo millennio dell’era cristiana.

Parlo a rappresentanti di Organizzazioni nate per la cooperazione europea, e a fratelli nell’Episcopato delle diverse Chiese locali d’Europa. La crisi investe sia la vita civile che quella religiosa. Sul piano civile, l’Europa è divisa. Innaturali fratture privano i suoi popoli del diritto di incontrarsi tutti reciprocamente in un clima di amicizia, e di congiungere liberamente i loro sforzi e le loro genialità in servizio di una convivenza pacifica e di un apporto solidale alla soluzione dei problemi che affliggono altri continenti. La vita civile è anche segnata dalle conseguenze di ideologie secolaristiche, la cui estensione va dalla negazione di Dio o dalla limitazione della libertà religiosa, all’importanza preponderante attribuita al successo economico rispetto ai valori umani del lavoro e della produzione; dal materialismo ed edonismo, che intaccano i valori della famiglia feconda e unita, della vita appena concepita e la tutela morale della gioventù, a un “nichilismo” che disarma le volontà dal fronteggiare problemi cruciali come quelli dei nuovi poveri, degli emigrati, delle minoranze etniche e religiose, del sano uso dei mezzi di comunicazione di massa, mentre attrezza le mani del terrorismo.

Anche sul piano religioso l’Europa è divisa. Non tanto né principalmente in ragione delle divisioni avvenute lungo i secoli, quanto per la defezione di battezzati e credenti dalle ragioni profonde della loro fede e dal vigore dottrinale e morale di quella visione cristiana della vita, che garantisce equilibrio alle persone e alle comunità.

Monumento commemorativo della visita di San Giovanni Paolo II

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[1] René Laurentin, Lourdes, cronaca di un mistero, Mondadori, Milano 1998, p.254.

[2] cfr. Dante, Paradiso, canto XXV.

[3] Ibid, 24-36

http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1982/november/documents/hf_jp-ii_spe_19821109_atto-europeistico.html

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