di Guido Verna
Quando torniamo a Puerta Faguera, questa è ormai piena di gente. Il suono incessante della gaita galiziana – che, con un ritardo da “tordi”, ci siamo accorti provenire dai negozi di souvenir, senza, peraltro, smettere per ciò di apprezzarlo – accompagna i bocconi e i bicchieri dei pellegrini che all’ora di pranzo riscoprono come noi che anche il corpo vuole la sua parte. La nostra riscoperta non è tuttavia particolarmente pressante, perché addolcita dalla cortesia della Signora e mitigata dalla pesantezza della cioccolata calda e dei churros.
Io e Grazia, dopo il rapido spuntino, non andiamo a riposare: abbiamo un’altra visita da fare, legata a un ricordo che non vuole impolverarsi e ad un antico e grande problema irrisolto.
Di quel breve giro in Camargue di tanti anni fa, ben più che dei fenicotteri rosa e dei cavalli bianchi, ci è rimasto un ricordo: quello delle Sante Marie e di Santa Sara. Andammo a trovarle nella loro chiesa fortezza e a Sara, la Santa giovane e scura di pelle, la serva di Maria Salome e di Maria di Cleofa, lasciammo, come tutti, un bigliettino con una richiesta di cui non ho più memoria. Era agosto, come oggi, e non c’erano zingari, ma c’era solo qualche buon fedele che come noi accendeva ceri e chiedeva per iscritto.

Anche allora abitavamo vicino a Veroli, una città e una diocesi che hanno scelto (o sono state obbligate a scegliere – e, quindi, sono state premiate – dalla Provvidenza) [1] Santa Salome come protettrice. è una storia bella e edificante. «L’anno mille duecento nove dalla Incarnazione del Signore, dodicesimo del pontificato di papa Innocenzo III, essendo vescovo di Veroli il venerando Oddone da venti anni» [2], un bravo e pio giovane di nome Tommaso sognò S.Pietro che gli indicava il luogo del paese dove erano sepolte le reliquie di Maria Jacobi, la madre dei figli del tuono (Mc. 3, 17), la moglie del pescatore di Cafarnao guarita dalla febbre alta (Mc. 1, 29-31), la donna che segue Gesù nell’erta del Calvario, sotto la Croce (Mt. 27-56), dentro il Sepolcro, fino alla Resurrezione (Mc. 16, 1-8). Sì, perché era morta proprio a Veroli, una donna di cotanta grandezza! Aveva cercato a Roma, senza fortuna, il suo figlio Giovanni e, tornando indietro, si era fermata qui, a casa di un solitario pagano di nome Mauro, che la accolse e la nascose mentre i suoi ventiquattro compagni venivano uccisi. Convertì il pagano e lo battezzò. Sei mesi dopo, Mauro raccolse amorevolmente le sue spoglie e le mise in un’urna di pietra. L’urna capitò nelle mani del Preside romano, che, senza sapere a chi appartenessero – gli bastava che fossero di un cristiano! –, le fece buttare in piazza. Ma un greco, di fede cristiana nel cuore, le riunì in un panno e le nascose, per portarle – senza riuscirci, per nostra fortuna – nella sua terra. Furono ritrovate il 25 di maggio. E tre giorni dopo, quando il Vescovo e l’abate di Casamari le sollevarono in alto a mostrarle ai cinquemila fedeli, da un osso di tibia sgorgò sangue vivo.

Cappella Scala Santa
Il 24 e il 25 maggio è festa grande a Les–Saintes–Maries-de-la-mer. L’Europa gitana si carica sulle spalle Sara l’egiziana, i pescatori provenzali le due Marie e la processione – tutti insieme, sulla sabbia bagnata, un giorno prima gli uni, il giorno dopo prima gli altri – si incammina verso il mare, entra profondamente in quelle acque che sono fredde e non riescono a star ferme, i cavalli bianchi scalpitano, non vogliono bagnarsi, urla di gardians, canti di fede, suoni zigani, soffio e odore di Mistral; la benedizione, infine. Lì, in quel punto di mare, dove il Rodano finisce lentamente il suo lungo cammino, approdò una barca piena di cristiani che avevano vissuto la Passione del Signore. Forse perché erano stanche o forse perché così volle la Provvidenza, mentre tutti se ne andarono ad evangelizzare questa terra nuova, Maria Salome e l’altra Maria, cugina della Madonna, rimasero qui, insieme alla loro serva fedele, Sara l’egiziana, dove vissero fino alla morte. Le reliquie furono ritrovate nel 1448, sotto l’altare maggiore della chiesa fortezza, che era stata edificata proprio sul luogo della sepoltura. C’era anche il Re, Carlo d’Angiò, e la sua corte.
Il problema per noi grande e irrisolto è ora evidente: dov’è morta Maria Salome? E dove sono le sue spoglie? Non ci basta nemmeno ricorrere al misterioso Cavaliere Provenzale [3], che prova ad accompagnarci mentre camminiamo sotto i portici di Rua Villar, ma solo fino a un certo punto, perché questo minimo vento che si infila insieme a noi nella Rua Nuova, la via più stretta della città, non somiglia al Mistral né odora di lavanda. Il cavallo e il Cavaliere devono fermarsi.
In fondo, non ci interessa poi molto risolvere il problema. Ci fu un tempo in cui era un onore per una città avere una reliquia; in quel tempo, il racconto, la leggenda, la storia si fondevano nella fede; la reliquia era, nella sostanza, un modo per far pregare meglio e di più, sapendo perfettamente che, alla fine, è il cuore di chi prega che muove le montagne ed è la nocca di chi bussa che fa aprire le porte. Non c’è un posto dove la preghiera valga di più. Noi abbiamo pregato allo stesso modo a Les–Saintes–Maries-de-la-mer e a Veroli e Santa Salome esaudisce in Provenza, in Ciociaria e, vivaddio, anche qui in Galizia, in questa piccola chiesa che è finalmente davanti a noi.

La chiesa è romanica, il breve campanile che si alza sul vertice della sua facciata è invece barocco, con in cima una grande sfera su cui è piantata una croce slanciata. Sarà perché siamo ben disposti, ma questo mix, questo tentativo – peraltro non celato, evidente, ma in fondo sostanzialmente discreto – di amalgama allo stile di Santiago, ci pare che non stoni più di tanto.

Portale d’ingresso
Il trono su cui è seduta la Vergine con il Bimbo che la sfiora sembra reggersi per miracolo, attaccato com’è alla parete, lassù dove l’arco del portale è più alto; più in basso, dove l’arco sboccia dai capitelli, da un lato c’è un angelo che tiene un rotolo con la scritta Ave Maria e dall’altro una Madonna, con la mano sinistra appoggiata sul ventre e quella destra aperta e pudicamente alzata. Sarà il gesto con cui ha accompagnato il suo Fiat? Prima l’Annunciazione, poi la Natività: ma in mezzo – a gloria di Dio ma anche a sanzione della straordinaria libertà di ciascun uomo – il Fiat, quella mano destra aperta e pudicamente alzata.

Dettaglio del portone d’ingresso
Salome ha partecipato dall’inizio agli esiti di quel Fiat, vedendo crescere quel Bimbo che è sulla porta fino alla sua crescita infinita, al Crocifisso della Cappella all’interno. Ha dato in sposa le due figlie a Pietro e Andrea; a Cristo, direttamente, ha dato i due maschi, Giacomo e Giovanni. Come ogni madre, ha anche chiesto, per i propri figli. Voleva i primi posti nel regno (Mt. 20,20-23) ed è stata esaudita. «Il Salvatore aveva assicurato ad ambedue i figli di Zebedeo l’onore di bere il calice della sua passione. La storia registra il loro doppio martirio. Giacomo lo sorbì per intero per primo; Giovanni invece l’andò, per dir così, centellinando sino all’estrema vecchiaia. Comunque, i due figli del tuono, nel collegio Apostolico, iniziano e chiudono la serie degli aspri martirii di coloro qui plantaverunt Ecclesiam sanguine suo» [4]. Ora è venuta in Galizia a stare vicino al suo figlio maggiore, che è diventato grande, famoso, onorato, ricco d’oro e di incenso. E pur di stargli vicino, si contenta del silenzio e del raccoglimento di questa piccola chiesa defilata.
Andiamo via con la rinnovata consapevolezza che la soluzione del problema non è per noi essenziale: il misterioso Cavaliere Provenzale forse tornerà ad accompagnarci – e ne saremo contenti – ma, alla fine, ci sarà ancora una Rua Nuova stretta stretta e senza profumi di lavanda che fermerà cavallo e Cavaliere. Piuttosto, di problema ce ne sorge un altro. Santiago seduto sulla sedia curule sotto il Portico della Gloria, Santiago seduto in trono nella Capilla Mayor, la signora Rosalía seduta sulla poltrona e con la mantellina sulle spalle, qui la Vergine seduta sul trono sotto questo stupendo pronao romanico: sarà un caso? No, non può essere un caso. Deve essere lunga l’attesa, qui a Santiago, lunga e piena di pioggia e di vento e di freddo: e allora è bene mettersi un po’ comodi e ripararsi, se non altro per non dovere aprire continuamente l’ombrello come dobbiamo fare noi mentre torniamo a casa con la dolcezza delle Signore nel cuore. Ha ricominciato a piovere – ma ha mai smesso?.
Guido Verna
1996
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[1] «In grande estimazione fu tenuta la città di Veroli da Papi, Imperatori, Re e Principi» (prefazione degli Statuti locali, stampata nel 1657; citata in Francesco Mancini [Don], Santa Salome e Veroli: … quasi la storia, Veroli 1997, p.42; dalle pagine seguenti dello stesso capitolo di questo prezioso libro sono tratte, quasi alla lettera, tutte le altre notizie di questa nota). La densità storica di questa straordinaria cittadina ernica, l’antica Verulae dei romani, è inversamente proporzionale — e in grande misura, ahimè — all’oblio in cui è caduta. All’ombra dei suoi campanili — per limitarsi solo a pochi esempi — Nicola I incontra (866) Ludovico II per esortarlo contro i Saraceni invasori del Regno di Napoli; Giovanni X è prigioniero (928) nella rocca di S. Leucio; Alessandro III, il Papa della lega Lombarda, pubblica (1161) la prima bolla, riceve i legati imperiali di Federico Barbarossa e definisce la controversia tra San Tommaso Arcivescovo di Canterbury e Enrico II; Innocenzo III benedice la prima pietra dell’Abbazia di Casamari (1203); Onorio III incontra (1222) Federico II per stipulare la pace tra Chiesa e Impero; Innocenzo VII riceve (1492) dal fratello del re dei Turchi il dono della Lancia con cui fu trafitto il Signore. L’ultimo papa a visitare la città fu Pio IX. Oltre allo splendore gotico e all’armonia del gregoriano di Casamari, Veroli ha anche la Scala Santa, cui sono legate le stesse indulgenze della Scala Santa di Roma!
[2] Ibid., p. 32. La citazione, pur virgoletta nel testo, non ha in nota indicazioni sull’autore. Dallo stesso libro ho desunto tutte le altre informazioni storiche alla base di questo paragrafo
[3] cfr. F.Mancini, op. cit., p.55. «Un misterioso Cavaliere Provenzale, inviato dal Papa, sarebbe intervenuto a Veroli nel sostenere vittoriosamente gli abitanti a liberarli dalla occupazione dei Saraceni; in premio, egli dal Principe e dal Vescovo della Città avrebbe ricevuto i “corpi” delle due sante sorelle, per “rimpatriarli” quasi nel santuario della Bassa Camargue, detto ancora oggi delle “sante Marie”» (tratto da cap. 17R–V — 19R–V del ms. Legenda trium sororum, Mariae Virginis, Mariae Jacobi, Mariae Salomae, Reg.Lat.579, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana).
[4] Card. I.Schuster O.S.B., Liber Sacramentorum, Marietti, Torino 1966, vol.II, p.468
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