di Guido Verna
Stamattina pare che non piova, ma non durerà molto. Per colpa delle ferrovie spagnole che non accettano viaggiatori in piedi, mio figlio si è arrangiato da quinto nelle nostre camere previste per quattro, fortunatamente senza particolari problemi e senza che il riposo di ognuno ne soffrisse. Tanto è vero che, appena svegli e prima del caffè, abbiamo fatto gli auguri a mia figlia Chiara per il suo onomastico.
Il Colegio de Fonseca, davanti al nostro tavolo, è molto più ricco della frugale e rapida colazione che consumiamo: il tempo è poco per le visite ancora da fare e per il pullman di mio figlio. Con l’aiuto del depliant turistico, mentre sorseggiamo il caffè, impariamo che il Colegio, iniziato nel 1532, fu fondato da Alonso III per gli studi di teologia e scopriamo che qui Santiago “el mayor” ha ceduto cavallerescamente il suo patronato a Santiago “Alfeo“. Accompagniamo mio figlio al sorprendente – almeno per me, abituato alle linee laziali – terminal dei pullman e lo vediamo partire per Madrid e Toledo. Ricordati di salutarmi il generale Muscardò…
Ora è tempo di fare una visita, di andare a trovare una Signora.
Santiago sa bene di chi si tratta e certamente annuisce e mi accompagna. I miei amici, invece, non sanno niente di questo mio piccolo desiderio, antico e dolcissimo, che mi porto dentro nascosto in fondo al cuore, da tanto tempo, in un angolino, ma sempre presente ed ora irresistibile per la sua delicata insistenza. Li informo: vorrei andare a salutare una Signora, una Signora poetessa. Annuiscono e ci accompagnano.
Non so quanti anni sono passati. Dieci, quindici, non so. In un ritiro, Giovanni Cantoni ci parlò del grande mistero di un Dio che si fa uomo, di questo atto d’amore infinito e perciò incomprensibile. Ci parlò di un Dio che non solo si fa uomo ma soffre come gli uomini, fino alla morte sulla Croce. Il mistero del dolore di Dio! E chiuse la meditazione regalandoci una poesia indimenticabile di Rosalia De Castro, la più grande poetessa gallega, ancorché la prospettiva culturale della Signora non fosse particolarmente coordinata con la nostra. Io non la conoscevo, ma da quel momento, isolandola in quella poesia, incominciai a volerle bene. A Santiago c’è il suo monumento. Eccolo l’antico, piccolo desiderio: l’Obradoiro e Santiago anzitutto; ma, in fondo al cuore, se c’è tempo – ma come posso non trovarlo? – una visita alla Signora poetessa.
Il dolore e il fango
Una volta avevo un chiodo
inchiodato nel cuore,
e io non ricordo più se era quel chiodo
d’oro, di ferro o d’amore.
Ma so che mi fece un male tanto profondo
che tanto mi tormentò,
che giorno e notte senza posa piangevo
come pianse Maddalena nella Passione.
“Signore, che tutto potete
– chiesi una volta a Dio –
datemi forza per strappare d’un colpo
chiodo di tale sorta”.
Mi esaudì Dio e lo strappai
ma – chi l’avrebbe pensato? – poi
non sentii più tormenti
né seppi cos’era dolore;
seppi solo che un non so che mi mancava
dove il chiodo mancò,
e forse ebbi rimpianto di quella pena… Buon Dio!
Questo fango mortale che avvolge lo spirito
chi lo comprenderà, Signore?
ROSALIA DE CASTRO [1]
Il Parco è ancora quasi deserto, pieno di verde e di silenzio, se ricordo ancora il rumore della ramazza di un netturbino. All’ingresso, però, – e sembrano aspettarci – ci sono altre due signore – o signorine? –, una vestita di rosso, l’altra di blu [2]. Sono in piedi in mezzo alla strada, immobili coi loro spolverini e le loro borsette demodè.

Non sono — almeno a me non sembrano — un’opera d’arte; sembrano in libera uscita dal Museo delle cere. Ma sono allegre, ciarliere; e poi somigliano a mia suocera e alla zia Noemi. Precipitiamo volentieri nel banale, prendendole sotto il braccio per la foto ricordo; spero che la Signora non ci abbia visto; se ci ha visto, comunque, sono certo che capirà. Più avanti, ha appena aperto – ma non è un’ora particolarmente mattutina: sono già passate le dieci – una churreria.

Entriamo, per cominciare il giorno da spagnoli e per la gioia dei giovani e dei miei trigliceridi. Una cioccolata calda e la zuppetta con i churros sono il viatico per la visita alla Signora. Non sappiamo la lingua per apprezzare le sue poesie senza traduzione ma almeno impariamo a conoscere le sue abitudini: terrà conto anche di questo.
Risaliamo il Parco fino alla Chiesa di Santa Susanna – che è chiusa e che riusciamo a vedere solo dall’esterno –, povera ma ricca del corpo di una Santa e di un campanile che da mille anni continua a chiamare quassù, all’umidità e al vento di Galizia, fino al suo portale e alla sua finestrella, verdi e belli come le cose elementari, ancora un Cebreiro… Ma dobbiamo scendere, perché, dall’altra parte, in fondo alle scalinata, la Signora ci sta aspettando bianca e luminosa in mezzo al verde della grande spianata, sostenuta da una moltitudine di fiori bianchi e rosa.

En la Ría/ un astro se ponía: / Rosalía de Castro de Murguía. [3]

Aspetta seduta, col suo abito lungo e pieno di pieghe, solo una mantellina sulle spalle, tanto per proteggersi da quell’umido che entra nelle ossa – ma, come dice mia madre, quando hai le spalle coperte…–. Sembra stanca perché ha gli occhi socchiusi e appoggia il capo leggermente reclinato alla mano destra, a sua volta appoggiata sul bracciolo della poltrona. Sta riposando, ed è bene non disturbare. Possono farlo solo le fronde, quando tira il vento, gli uccelli, quando vogliono, e la campana di Santa Susanna, quando è l’ora: noi possiamo solo guardare.

Guardiamo, in silenzio, allora: in cima alla colonna una corona; in basso una lapide: Galicia a Rosalía Castro de Murguía, MCMXVII; dietro la colonna, a farle compagnia, non due guardiani in armi, ma due innamorati che si sfiorano con la mano, lei dolce, lui fiero, con lo sguardo dritto, una famiglia gallega – una famiglia – che nasce dal libro aperto della sua poesia.

È ora di andar via. Arrivederci, Signora. Avrei avuto piacere di vederLa spalancare gli occhi al suono della campana di Santa Susanna, ma non si può avere tutto dalla vita… Di nuovo: arrivederci, Signora Rosalía; quando tornerò, Le prometto che verrò a trovarLa nel Pantheon dei galiziani illustri. Per ora – e per sempre, mi creda – La ringrazio per avermi regalato, quel giorno di tanti anni fa, questa grande apertura di senso: la comprensione del dolore. Non posso prometterle di arrivare a rimpiangerlo. Ci sto ancora provando, da allora, ma il fango è tanto…
1996
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[1] Rosalia De Castro, Poesie scelte, Ed.Fussi, Casa Editrice Sansoni, Firenze 1952, IV p.33.
[2] Scoprirò, nei viaggi successivi, che si cambiano d’abito molto spesso…
[3] Cit. in C. Nooteboom, op.cit., p.302. «Nell’acqua del Ría, si fermò una stella, si chiamava Rosalia de Castro». Sono le parole della canzone che lo scrittore di origine catalana Eugenio d’Ors i Rovira (1881–1954) dedicò alla poetessa.
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