di Guido Verna
Dobbiamo cercare un posto per dormire. Scendiamo la scala dell’Obradoiro e siamo nella piazza ormai affollatissima. A destra ci sarebbe l’Hostal, propone sorridendo il mio amico… Ma noi stiamo già andando dall’altra parte, sulla Rua do Franco… E proprio all’inizio della rua, a una cinquantina di metri dalla piazza, abbiamo una ulteriore conferma della splendida predisposizione di Santiago nei nostri confronti. Passiamo di fronte ad un cartello che parla di camere da affittare. Io lo salto tranquillamente, perché mi sembra impossibile che, ad agosto, a due passi dal cuore del pellegrinaggio, possano essere libere. L’esperienza dell’inviato speciale, però, riemerge prepotentemente – e questa volta avrà ragione –: bisogna chiedere, sempre! Va a chiedere: le camere ci sono! Visto a cosa serve l’esperienza? Io, però, ho un’altra lettura, più gratificante per lui e più penalizzante per me: la sua fede in Santiago è stata più forte della mia e Santiago, per merito suo, ci ha ripagato tutti.

Le camere sono in una specie di albergo senza reception, in cui ciascuno ha la chiave del portone. Dio mio, non è l’Hostal sulla Piazza, ma abitare a cinquanta metri dalla Cattedrale e dalla tomba di Santiago mi sembra allo stesso modo una cosa incredibile! Siamo oltremodo felici, perciò, quando entriamo nelle nostre camerette, che troviamo dignitose e confortevoli. Quella dei miei figli si affaccia su Praza de Fonseca, una piazzetta – con una fontana al centro, qualche albero basso e tante aiuole ricolme di fiori arancioni – che sembra uno slargo della rua, un suo grande respiro per inchinarsi allo splendore del Colegio de Fonseca che si affaccia su di essa. La nostra camera, invece, da proprio sulla rua,dove i due collegi di San Jeronimo e Fonseca si abbracciano e si confondono. Apro la finestra, per curiosità e per “magia”: c’è un suonatore di flauto subito di sotto ed è compreso nel prezzo.


Il tempo di disfare i bagagli ed è già ora della Messa. La Cattedrale è stracolma; decidiamo di fermarci nel transetto alla sinistra di Santiago, vicino all’altare. Debbo confessare una delusione: la Messa, in spagnolo, mi sembra sciatta, dozzinale. I pellegrini, quasi passandosi parola, hanno deciso di non darsi una rassettata e mi pare – ma è forse solo una mia malignità dovuta ad una sopraggiunta cattiva disposizione di origine liturgica – che ostentino troppo il loro sacrificio, sottolineandolo più come performance sportiva che come Cammino spirituale, chi zoppicando, chi con gambe lucide di crema, chi con fasce elastiche, chi con posizioni stravaccate ed ampi sbadigli. Penso che in un luogo così, crocevia plurisecolare di storia e di storie della Cristianità e dei cristiani d’Europa, dovrebbe essere obbligatoriamente utilizzata – almeno sull’altare maggiore – la lingua comune, unificante: provo ad immaginare un Pater e un Credo in latino, cantato da tutti, da questo grande coro di uomini di nazioni diverse, ma con la stessa fede e con i fondamenti della stessa cultura. Mi sento ingiustamente penalizzato dal canto di questi pochi solisti spagnoli che accompagnano i celebranti: sono a casa mia e mi sento ospite…
Ma l’azione di Santiago a sostegno dei pellegrini – persino di un pellegrino noioso e pretenzioso come me – si fa sentire anche nell’acquietare rapidamente questi fastidiosi sommovimenti interni. Trovo posto a sedere su uno spigoletto rubato alla base di una colonna. Se alzo gli occhi, sfruttando una provvidenziale rottura della vetrata laterale, vedo solo il mantello di Santiago, le sue spalle e non il volto. Rimango a guardare con sorprendente partecipazione la braccia e le mani e a volte il capo dei pellegrini che si posano con monotona continuità su quelle spalle, talvolta sfiorandole con dolcezza, talaltra abbattendosi sfinite. Mi fisso sulle mani: la miopia non mi permette di distinguerne perfettamente i dettagli; la mia fantasia – o la mia fede umana? – sì. Sono mani callose e curate, allungate e tozze, lisce e rugose, mani con qualche anello o con la sola vera o solo nude… Sono mani di uomini e di donne, di anziani e di giovani, di una umanità che chiede una grazia o che ringrazia per averla ricevuta, ceri accesi ed ex voto viventi. Sono le mani di una umanità intelligente che si appoggia, che cerca conforto e forza da chi può darli, che ha lasciato il proprio orgoglio in fondo alla scala ed è salito fin lì, a chiedere aiuto, con le proprie miserie e i propri peccati.



Ora stanno chiamando, per nome e cognome, i pellegrini arrivati a piedi oggi. Trovo giusta questa gratificazione. Ma la ragazza che sale sull’altare, ahimè italiana, vestita (?) con shorts da gara dei cento metri mi fa di nuovo malamente muovere qualcosa dentro… E allora rialzo gli occhi. Una mano e poi un’altra e poi un’altra ancora: le spalle di Santiago sono grandi e continuano a sopportare. Fino a quando?
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