
di Guido Verna
L’oceano è pacifico, stamattina, come i gabbiani, che paiono, diversamente da noi, ancora insonnoliti e pigri. Mia figlia prova a cercare invano qualche conchiglia tra la sabbia umida e ancora fredda. Ma è già ora di andare: per le coquilles, non ci restano che i negozi di souvenir…
Santiago, finalmente! Arriviamo verso le dieci e lasciamo le auto al parcheggio coperto. Pioviggina. E piovigginerà quasi sempre; e sempre allo stesso modo: un’acqua minutissima, che non cade, ti avvolge. Ti viene da pensare: non piove, c’è nebbia; ma poi i contorni delle cose li vedi netti e ti bagni. Allora piove? Ma no; non piove e non c’è nebbia: è solo l’humus di Santiago, l’ombrello può restare in macchina.
Andiamo subito verso la meta, salendo dalla Rua das Hortas, silenziosa e senza traffico, nemmeno umano. In cima, all’improvviso, la Piazza. Oh, che meraviglia, l’Obradoiro davanti a noi! Mi fermo all’angolo a riprender fiato, e non certo per la difficoltà dell’erta.

L’Hostal de los Reyes Católicos alla mia sinistra, il Colegio de San Jerónimo di fronte; ma soprattutto, visibile solo al cuore, San Giacomo che aspetta, lassù, dopo la scalinata e il Portico della gloria.

All’improvviso, ricordando qualcosa che avevo letto [1], ho l’impressione di capire, il perché dell’humus di Santiago: serve a far brillare le lastre di lavagna della piazza e la pietra delle facciate dei palazzi; serve a far uscire la luce anche dal grigio e dalle cose. E allora voglio bagnarmi anch’io prima di salire verso San Giacomo, voglio che mi veda bagnato, voglio che capisca che può uscire luce – almeno nelle intenzioni – anche dalla opacità e dal grigiore della mia pietra.
In fondo, sul muretto vicino alla scala tra il Colegio e il Palacio de Rajoj, vediamo una mano alzata che si muove per richiamare la nostra attenzione: è il mio figlio più grande che ci sta aspettando. È sorridente e sereno, quando ci abbracciamo: lui ha già cominciato a voler bene a Santiago e muore dalla voglia di condividere…


Infine, tutti insieme, saliamo la doppia rampa del grande scalone che porta alla Cattedrale. Siamo emozionati e felici, quando, girandoci per un attimo, guardiamo dall’alto la piazza distesa davanti a noi, umida e rutilante di brillìi, come un cielo rovesciato grigio cupo ma luminoso e pieno di stelle, che le mobili e via via più dense nuvolette di pellegrini coprono e scoprono continuamente.
Ma è solo un attimo, perché è tempo di entrare: il Portico della gloria è ormai ad un passo.
Guido Verna
1996
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[1] Cfr. C.Nooteboom, op.cit., p.300. «Tutti i muri sono di pietra […] eppure si ha l’impressione che qui, al centro, la città sia più pietrosa che altrove, cammini su grandi lastre di granito, e di granito sono le case e le chiese, e quando piove […] la pietra luccica e rinasce».
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