di Guido Verna

Man mano che ci avviciniamo a Villafranca, sui muri delle case che costeggiano la  strada leggiamo molte scritte per il Bierzo libero e indipendente: il paesaggio che diventa collinare, campi gialli e campi verde stinto, con le montagne in fondo, ci segnala che il fenomeno leghista non nasce solo in pianura.

Ci fermiamo, ovviamente, nella piccola Chiesa di Santiago, un gioiello romanico, esemplare e riposante, per approfittare, non si sa mai, della Porta del perdon, dove «il pellegrino che qui giunto, non poteva più proseguire, aveva diritto a tutte le indulgenze di Compostela» [1].

La Chiesa di Santiago

La porta è sul fianco sinistro. Davanti ad essa, sostiamo per dire una preghiera e per toccare le due formelle che riassumono tutta l’iconografia di Santiago: una, a cavallo, matamoros, l’altra, dentro una conchiglia, con il bordone e la zucca borraccia da pellegrino.

La Porta del Perdono

Siamo più tranquilli, ora: comunque finisca, avendo avuto la forza di arrivare sin qui, abbiamo lucrato le indulgenze. Non tutti i Guido sono però uguali: il mio omonimo Cavalcanti «partì per Santiago ma arrivato a Tolosa, prima di affrontare le montagne, perdette la speranza e tornò indietro» [2]. Chissà, poi, cosa avrà raccontato a Lapo… Ma non faccio confronti, perché mi viene il dubbio che la forza e la speranza sia più facile mantenerle in automobile che a piedi…

Incontriamo una ragazza italiana, milanese mi pare, che è sola, in bicicletta. Scopriamo, però, che in quest’ultimo tratto ha preso il pullman e sta aspettando il suo fidanzato, che invece – coriaceo – insiste a pedalare. Davanti la Chiesa, c’è una specie di bazar con rivendita di souvenir, in una sorta di capanna-tenda, disordinata e non particolarmente linda. Compriamo finalmente la conchiglia di San Giacomo che regaliamo ai nostri figli. Le zucche-borracce hanno le loro rotondità ben lucidate, ma decido di non prenderle perché la finzione mi parrebbe eccessiva.

Quando usciamo, è arrivato il fidanzato. Scambiamo qualche parola anche con lui, ansimante e madido, rinfrescato e dissetato dalla compagna: sembrano proprio dei bravi ragazzi, anche se, conciati come sono, orecchini e pearcing, fanno del tutto per sembrare diversi. È uno dei segnali per me meno sopportabili del decadimento sociale prodotto da quest’ultima rivoluzione culturale: prima i “cattivi” si travestivano da “buoni”, ora i “buoni” si travestono da “cattivi”. All’ipocrisia dei “cattivi” di una volta si è oggi sostituita l’ipocrisia dei “buoni”. La bontà interiore deve però farsi riconoscere all’esterno, non solo come messaggio per gli altri ma anche per la sua conservazione. Chi avesse dubbi sulla mia conoscenza dei proverbi può tranquillizzarsi: anch’io so dell’abito e del monaco; ma ne do, evidentemente, una lettura diversa…

Il Castello

Il castello non è entusiasmante e la strada da fare è ancora molta: conviene ripartire. Certo, si potrebbe bere un po’ del famoso vino di Villafranca. Ma il caldo non ispira. E soprattutto non bisogna correre il rischio che il depliant turistico adombra, attraverso una frase del monaco Hermann Künig (1450-dopo 1495), autore della prima guida del pellegrinaggio [3]: chi non lo bevesse con discrezione, potrebbe «rammollire come un cero». Che figura faremmo se arrivassimo davanti a Santiago già flaccidi e consunti?

Guido Verna

1996

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[1] Cfr E.Manzoni di Chiosca, op.cit., p.168.

[2] C.Vian, art. cit.,  p.45.

[3] Il monaco raccontò in versi l’esperienza del suo pellegrinaggio, fatto nel 1495, da Einsideln (Svizzera) a Santiago.

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