di Guido Verna

il Castello di Ponferrada

Nella enorme piazza d’armi del Castello dei Templari di Ponferrada, camminando sull’erba scarsa e rinsecchita, cerco qualche orma e qualche memoria. Il sigillo dei Cavalieri del Tempio aveva due facce: su una era raffigurata la cupola del Santo Sepolcro, sull’altra due cavalieri sullo stesso cavallo; da un lato il riferimento e la devozione, dall’altro il comportamento, costruito sull’intesa, l’armonia e la disciplina [1]. Il principio e l’azione: posso incontrare orme di monaci e di guerrieri, ma, se le misuro, scopro che sono orme dello stesso piede. Tornei cavallereschi e processioni, zoccoli e gocce di cera, una spada brandita di giorno e piantata nella terra, a farsi Croce, di sera: gli stessi uomini e gli stessi cavalli.

Il Sigillo dei Templari (recto/verso)

Niente, nella storia, succede per caso e nulla, della storia, è da buttar via, anche se mai più potrà accadere allo stesso modo quello che accadde allora. È l’analogia – non fattuale, ma spirituale ed anche metaforica – che fa della storia la magistra vitae. Riflettevo su questo ieri sera, prima di prendere sonno, dopo aver letto, in uno dei due libretti acquistati a Carcassonne, dell’inizio dell’Ordine del Tempio. Quando, nel 1118, Ugo di Payns e pochi altri cavalieri, fondano l’ordine dei “Poveri Cavalieri di Cristo” «si danno per vocazione quella di assicurare il servizio e la difesa dei pellegrini tra il luogo di sbarco e l’arrivo a Gerusalemme e di farsi carico della pulizia della strada» [2].

Ha ancora senso, oggi, anche se solo per analogia, questa vocazione? Ogni uomo è pellegrino; ogni uomo ha un luogo di sbarco e una Gerusalemme da conquistare. La condizione di viator è una condizione della natura umana, di cui il pellegrinaggio a Santiago – per esempio – è solo esplicitazione, metafora, pro memoria. Ma il viator – destinato inesorabilmente ad incontrare i cattivi e le tentazioni – ha una natura lapsa, è debole e vulnerabile, ha bisogno di aiuto e di indirizzo, di strada pulita e sicura: ha bisogno, sempre, di Templari.

È una vocazione che non può e non deve scomparire, pena l’ampliarsi a dismisura – è il dramma attuale – di pellegrinaggi esistenziali senza meta, in alcuni casi – quelli migliori – girovagando in tondo fino alla nausea, ma per lo più addirittura camminando verso l’altra direzione fino al disfacimento. I viatores di oggi incontrano nemici diversi, molto peggiori di quelli che si incontravano al tempo di Ugo di Payns, perché sono nemici che non si accontentano più della tua roba e nemmeno della tua vita: vogliono la tua anima. La preghiera dei Templari moderni dovrà essere perciò, se possibile, ancora più intensa e la spada, ancorché immateriale e metaforica, continuamente più affilata di cultura e identità cristiana. Ma, come allora, bisognerà sempre tener presente che – quanti e comunque siano o saranno i Templari di oggi e di domani – quello che vale per Ponferrada vale per il mondo e per ciascuno. Quello che vale per Ponferrada è scritto in un salmo [3] in latino conservato nella Torre del Homenaje – in Italia il maschio, cioè la torre più alta delle altre, tipica dei castelli medievali –, che si alza a sinistra della piazza d’armi e che trovo riportato e tradotto nel depliant turistico della città: «Si el Senor no protege la ciudad, en vano vigila quien la guarda».

Il Castello di Ponferrada

Esco abbracciato idealmente ai miei figli. Domani è S. Lorenzo. Cado nella tentazione della retorica paterna e mi immagino, domani notte, sdraiato su questa erba a guardare le stelle cadenti e ad esprimere canonicamente un desidero: quando tornerò al castello, sul prato verde vorrei riconoscere qualche loro orma. Ma no che non è una tentazione: è una preghiera…

Si è fatto tardi, ormai, e stasera dobbiamo essere a Santiago. Mi piacerebbe sapere – da ingegnere – come Osmundo, vescovo di Astorga, alla fine del secolo XI, utilizzò il ferro per rinforzare il ponte (Pons Ferrata) che fece costruire sul Sil per rendere più agevole il cammino dei pellegrini.

Pons Ferrata

Ma non c’è tempo. Non c’è tempo, purtroppo, nemmeno per vedere la Basilica de la Encina, dedicata alla Vergine della Quercia, la protettrice del Bierzo, «la cui immagine – come leggiamo sul depliant turistico – fu trovata, secondo la tradizione, dai templari nel tronco di una quercia – la encina, appunto – quando costruirono la fortezza».

La Basilica di Encina

Per un Rosario, però, c’è tempo: lo recitiamo in macchina, mentre attraversiamo – senza fare chiasso per non turbare gli eremiti – la terra da Lei protetta.

Guido Verna

1996

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[1] Cfr. Alain Demurger, Vita e morte dell’ordine dei Templari, Garzanti, Milano 1987, p.67

[2] R.Pernoud, Les Templiers, Decouvertes Gallimard, Paris 1996, p.18.

[3] Salmo 167 : «[1  Canto dei pellegrinaggi. Di Salomone. Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori; se il Signore non protegge la città, invano vegliano le guardie».

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