di Guido Verna

Come la mano di Santiago ci assista anche nelle piccole cose, lo proviamo ad Astorga, quando di fronte ad un continuo e affaticante “tutto esaurito” troviamo posto – le ultime due camere! – addirittura nell’Hotel Gaudí, nella piazza del Vescovado e a pochi metri dalla Cattedrale di Santa Maria.

Hotel Gaudì

Il mio amico ha portato molte piccole bottiglie di champagne per ricordare continuamente, strada facendo, che, dentro al Camino, c’è anche il viaggio dei venticinque anni di matrimonio del sottoscritto e di Grazia. Ma per un motivo o per l’altro le bottiglie sono ancora nel portabagagli.

Cattedrale di Santa Maria

Occupiamo la camera e ci vengono a trovare i figli. Papà, cos’è quella porta? Credo sia chiusa o è un armadio spogliatoio, dico io. No papà – risponde mio figlio, aprendola – sei in una suite! Mamma mia: una suite! Il ricco – ma soprattutto quel particolare genus che è il neoricco – sorriderà: eppure in venticinque anni non abbiamo mai avuto una suite! Non può essere un caso se oggi l’abbiamo: qualcuno avrà misteriosamente comunicato alla reception delle nostre nozze d’argento e dello champagne ancora da bere!

Ci affacciamo alla finestra e a due passi, alla nostra sinistra, c’è la Cattedrale, davanti il Vescovado di Gaudí. La cattedrale è imponente, color d’oro al tramonto, e sento che mi chiama: maledizione, perché continuo a preferire le cattedrali alle suites? Andiamo subito, perché avvertiamo che dentro c’è vita. E se per caso oggi avvenisse quello che prima avveniva ogni giorno, quando in questa «gigantesca cattedrale fiammeggiante ogni giorno – appunto – un collegio incredibilmente numeroso di canonici in vesti rutilanti e sontuose cantava a gola spiegata e a velocità prodigiosa con voci dal timbro ormai roco come quello degli Arabi, le ore dell’Uffizio latino»? [1] Un’illusione, in fondo, non costa molto: mi sarei contentato di un collegino, di canonici con maglioni girocollo e con solo un po’ di latino. Quando siamo vicini, ci rendiamo conto però che il reale è sempre più forte dell’illusione, anche se piccola piccola. Ma non sempre, ringraziando Iddio, il reale è sgradevole o peggiore dell’illusione: dalle fessure della porta trafila una meravigliosa musica d’organo che si infila tra le sinuosità e i ricami del portico plateresco per aggraziarlo ancora di più. Entrando, lo guardiamo però solo di sfuggita, perché le sculture rimangono anche domattina e invece la musica d’organo tra poco svanisce. Facciamo appena in tempo a sentire l’armonia delle ultime note e poi dobbiamo accontentarci – ma non è un’esperienza trascurabile – di rileggerla, in forma di soddisfatto ed evidente appagamento, somatizzata sui volti della tanta e buona gente che esce.

Altare Maggiore della Cattedrale

Dentro, la Cattedrale è stupenda, un’atmosfera incredibile, sembra incenso invece è musica rarefatta. Il coro al centro è enorme, pesante forse, esclusivo ed escludente, incomprensibile per l’uomo di oggi. Ma i canonici erano tanti, allora, quando la Cristianità e l’Europa vivevano abbracciate…

Interno della Cattedrale di Astorga

Dopo la cena consumata in un ristorante appena mediocre, giriamo solo un po’ per il centro: è tutto spento, non c’è stranamente allegria, anzi l’aspetto del Casas consistoriales è un po’ spettrale. Meglio tornare in albergo, lo Champagne ormai sarà freddo al punto giusto! Champagne in suite: anch’io avrò finalmente qualcosa da raccontare in “certe” cene…

Casas Consistoriales

Mi affaccio alla finestra che dà proprio sulla piazza, per guardare finalmente con più attenzione il Vescovato di Gaudí. Confesso due pregiudizi. Il primo, generale: le opere di Gaudí, malgrado sia l’ultimo architetto cattolico, non mi appassionano più di tanto. Il secondo, particolare: ho letto Oursel, che — per quel poco (o molto?) che può la parola — ha cercato con essa di abbattere questo «enorme vescovato moderno […] un’opera mancata e del tutto fuori posto dell’architetto catalano Antoni Gaudí, espressione d’orgoglio clericale e di inopportuna ostentazione che suscita un senso di malessere da cui ci si libera con difficoltà» [2].

Palazzo Episcopale Astorga

Malgrado sia ben disposto per l’apprezzabile e apprezzato perlage, nemmeno stasera il Palacio Episcopal di Gaudí mi piace: trovo inautentica questa sua grigia e celebrata costruzione, sembra un puzzle o una scatola di cioccolatini ed io continuo a preferire la Cattedrale, solida e dorata, vera e vissuta.

Il giorno dopo, col sole e il fresco del mattino, mi riaffaccio alla finestra e riprovo. Sarà per le murallas romane che fanno da sfondo, sarà per la Chiesa di S.Marta che sta lì, piccola e quieta, a fare da spartiacque, ma mi sento un po’ più tenero di Oursel, anche se non riesco a dargli completamente torto. Mettiamola allora così: «l’aspetto medievale [di Astorga] è alterato dal wagneriano palazzo episcopale» [3] …

Torniamo in Cattedrale, per le preghiere del mattino e una visita più accurata. Quando usciamo è già pieno sole, una foto agli archi che continuano a rampare dalle due torri laterali per abbracciare ed essere tutt’uno con il corpo centrale, un’altra ai preziosismi platereschi del portico in restauro e poi, via, a caricare i bagagli.

Anzi: prima cerco un cartello che lo stesso Oursel mi aveva segnalato come, una volta, presente sulle porte di tutte le chiese di Astorga: «Donne! Niente scollature. Niente stoffe trasparenti. Mettete le calze. Coprite le braccia. Indossate una gonna decente. Dio lo chiede e la Chiesa lo impone. Lo quiere Dyos y lo ordena la Iglesia!» [4]. Lo cerco, ma non lo trovo. Guardo i turisti intorno a me e mi rendo conto che quel cartello non deve più esserci: è inutile che continui a cercarlo. Se in qualche posto è rimasto, dev’essere ormai sbiadito ed illegibile.

«Lo spettatore di questa fine-secolo millenaria, stanco di schiene nude e di gambe all’aria persino nei presbyteria dei suoi santuari, potrebbe quasi azzardarsi a sussurrare fra sé e sé che questo era il modo di parlare!» [5]. Uscendo, avrei voglia di “azzardare” molto, molto di più, trasformando il sussurro in grido. Il Vescovato, rivisto con questo stato d’animo, mi appare ora insopportabile. Ci sarebbe da vedere il Museo de los Caminos, ma è proprio nel suo interno; ed io non posso “azzardare” ancora: a ogni giorno la sua pena.

E senza nemmeno assaggiare i celebri gateaux au saindoux – dolci con lardo? e poi? mah! – magnificati dalla guida, partiamo, attraverso l’asprezza e la povertà della Maragatería, alla volta del Bierzo, che è terra di ottimo vino ma anche, se Dio vuole, di eremiti [6] .

Guido Verna

1996

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[1] R.Oursel, La Via Lattea etc., op.cit., p.151.

[2] Ibid.

[3] C.Vian, art. cit., p.46.

[4] R.Oursel, Ibid.

[5] Ibid.

[6] C.Vian, Ibid.

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