Stefano Aviani Barbacci, 16/08/19

Una guerra che continua…

Nonostante il fallimento evidente del regime-change, la guerra in Siria si trascina tragicamente. L’embargo impedisce la ripresa delle attività produttive e dunque il ritorno a casa dei profughi. Il flusso ininterrotto degli aiuti ai cosiddetti “ribelli siriani” (gruppi armati qaedisti o filo-turchi che hanno stabilito un “emirato” nella provincia siriana di Idlib) alimenta il prosieguo del conflitto.

La comunità internazionale appare silente per non dire complice. Il mondo dell’informazione, come un disco rotto, accredita ancora una narrativa falsa sul governo di Bashar al-Assad come pure (ancor più grave) sulle forze che si sono occultamente coalizzate per distruggerlo. Domina ancora sui media mainstream la favola bella delle “primavere arabe”.

In questo contesto sostanzialmente fermo da mesi, segnato da una stentata tregua d’armi concordata tra le parti e dal crescente timore di un allargamento dell’iniziativa militare di Ankara nel Nord della Siria, i combattimenti hanno ripreso via via vigore.

Dapprima tiri di mortaio e pioggia di razzi grad e missili anticarro sulle posizioni siriane e sui villaggi prossimi alla linea del fronte (la fuga dei civili favorirebbe poi la penetrazione dei terroristi nelle aree abbandonate…). A seguire le repliche dei jet russi e siriani.

Prolungare la tregua avrebbe significato per Hayat Tahrir al Sham (l’ultima filiazione di al-Qa’da in Siria) la rinuncia a ogni velleità di riaccendere il conflitto nelle direzioni di Hama e di Aleppo. L’obiettivo di questa “legione straniera” di fanatici resta pur sempre la caduta del presidente “apostata” Bashar al-Assad e l’imposizione della sharia nel Paese.

Miliziani di Hayat Tahrir al Sham su un blindato a Idlib

I Siriani alle porte di Khan Shaykhun

La reazione governativa ha preso negli ultimi giorni le caratteristiche di un nuovo e ben coordinato sforzo offensivo contro la parte meridionale della provincia di Idlib. L’esercito siriano ha attaccato sul fianco le difese dei terroristi penetrandole con successo, catturando poi alcune posizioni dominanti nelle retrovie.

I contrattacchi di Hayat Tahrir al Sham sono falliti e, in breve, i siriani si ritrovano ora alle porte della città di Khan Shaykhun, la medesima presso cui i famigerati Caschi Bianchi avevano inscenato (il 4 Aprile 2017) un falso attacco chimico per consentire ai media compiacenti un tempestivo titolo ad effetto: “Assad bombarda le città col gas” (Il Fatto Quotidiano, 04/04/17) 

Liberare Khan Shaikhun significherebbe tagliare le linee di comunicazione del dispositivo islamista che ancora preme da Idlib verso Hama (verso Sud) sottraendo ai terroristi il controllo dell’autostrada che connette Idlib a Damasco. Una vittoria di ampio rilievo strategico! Difficile che l’obiettivo delle recenti iniziative non sia proprio questo.

Ciò spiega perché sui media mainstream è tutto un rilancio di accuse nei confronti di Mosca e di Damasco. Si parla all’unisono di stragi di civili e di ospedali deliberatamente distrutti dalle “forze del regime”. Si torna a parlare di una situazione umanitaria “insostenibile” a Idlib (e solo a Idlib) dimenticando quanto è accaduto in tutti questi anni nel resto del Paese.

Questo armamentario retorico a senso unico lo avevamo già visto in opera nel corso della lunga battaglia per Aleppo. Si tratta del tentativo di fermare “con altri mezzi” l’avanzata dell’esercito regolare siriano nella roccaforte jihadista di Idlib. Un tentativo che bene illustra da che parte sono schierati i nostri giornali e i nostri governi.

La bandiera siriana torna a sventolare su una collina tolta al nemico

Combattere per sopravvivere

Philip Giraldi, un autorevole dirigente della CIA, già direttore esecutivo dello US Council for the National Interest, aveva ben spiegato fin dal 2011, in un articolo pubblicato sul numero del 19 Dicembre di “American Conservative”, che la retorica umanitaria era usata da Washington e dai suoi alleati per offrire al regime-change siriano una giustificazione morale.

Giraldi rivelava anche che un esercito della NATO (quello turco) avrebbe occupato al momento opportuno e col consenso degli alleati il Nord della Siria ed è ciò che puntualmente è avvenuto! Sono passati otto anni e ascoltiamo ancora favole di giornalisti incapaci di documentarsi o di approfondire, ben contenti di farsi complici delle moderne forme di propaganda di guerra.

Nel 2014 era tutto un affaccendarsi di esperti, politici e giornalisti impensieriti dal dilagare dell’ISIS. La “comunità internazionale” sembrava intenzionata a fare qualcosa. Ben presto fu chiaro che era solo un tentativo di simulare una qualche reazione morale alla barbarie quando già si strizzava l’occhio a quella medesima barbarie.

Dopo la “prima liberazione” di Palmyra (2015) iniziava il deflusso della marea nera e il governo italiano (per bocca dell’allora ministro Paolo Gentiloni) promise un team di archeologi per il restauro dell’antica città romana. Il messaggio del governo siriano fu che non avrebbero contribuito alla ricostruzione della Siria quei Paesi che l’avevano distrutta.

Seguirono la liberazione di Aleppo nel 2016, la liberazione di Deir Ezzor nel 2017, la sconfitta dei terroristi nell’interland di Damasco nel 2018… Il 2019 sarà forse l’anno di Idlib? Lo speriamo. Certo è che finché le sedicenti “grandi democrazie” non recederanno dallo scandaloso sostegno ai gruppi armati, la Siria sarà costretta a combattere ancora per sopravvivere. 

PER APPROFONDIRE

La manipolazione dell’informazione sulla guerra in Siria

I Siriani alle porte di Khan Shaykhun

L’interessantissimo articolo di Philip Giraldi sul coinvolgimento della NATO in Siria

Assad all’Ue: “Avete distrutto la Siria, non parteciperete alla ricostruzione”

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