di Guido Verna
Il paesaggio tra Burgos e Villalcazar de Sirga è fantastico: un mare giallo di stoppie, immobile e silenzioso. è la prima volta che vedo la meseta. Non c’è niente e nessuno, a perdita d’occhio, se non noi. Non ci sono né case né uomini né uccelli che volano né animali al pascolo. Non ci sono né alberi né vento. Eppure è un paesaggio che non mi spaventa ma mi emoziona profondamente. Niente si muove eppure non ho la sensazione della stasi, bensì della tranquillità. Non c’è il sole ma c’è lo stesso tanta luce.
La stretta strada asfaltata che percorriamo si perde diritta davanti a noi; si allunga, infinita onda nera, dentro questo mare. Sto materializzando il concetto di rettilineo. Conto le creste dell’onda, i dossi, uno, due, sei… Eppure, nella sua penetrante monotonia, questa strada è l’unico movimento al quadro. Ma è movimento all’interno di un percorso inesorabilmente diritto, una oscillazione solo sul piano verticale. Sono tentato da una metafora, ma decido di fermarmi e scendere un po’ dall’auto.
Non è vero che non ci sono alberi: giù, in fondo, al limite dell’orizzonte ce n’è uno. Non è verde, sembra rinsecchito, ma si protende verso l’alto; non c’è dubbio: è – o è stato? – un albero. Se sono riuscito ad evitare la metafora, adesso non riesco a scansare un piccolo ricordo. Un amico, della tuna pisana, ha sempre amato la Spagna, fino a sposare una spagnola. […] Affondando profondamente, per una volta, il pennino nell’inchiostro dell’enfasi retorica la racconto così: Alfonso il Saggio e Carlo V, il Cid e Don Chisciotte, tutti insieme, a premio del suo amore per la Spagna, hanno mosso i fili della Provvidenza annodandoli intorno a lui e alla sua futura moglie. Bene: se questo amico prima mi parlava della grande Spagna, dei Re di Castiglia e di Aragona, ora – dopo il matrimonio e, quindi, dopo i viaggi continui e le lunghe permanenze – mi racconta anche delle piccole cose, dei paesaggi, dei dettagli. E una sera d’inverno di qualche anno fa, davanti al camino di casa, ci raccontò di un paese dell’Estremadura, dove esiste un solo albero. Immaginammo, ridendo, la maestra che accompagnava i suoi alunni di prima classe, ogni anno, a dare materia e concretezza all’a di albero…
Confesso che non ci avevo mai creduto; pochi alberi, sì, ma un solo albero… Ora guardavo a centottanta gradi davanti a me e sul mare di stoppie gialle, lì in fondo, c’era proprio un solo albero. Uno! E così lontano da far temere che per noi pigri, se fossimo nati nella meseta, l’albero sarebbe rimasto solo un concetto e l’a di albero solo un fonema.

José Ortega y Gasset
Risalgo in macchina e, col cuore pieno, chiedo a mia moglie di leggermi quella splendida descrizione del paesaggio in cui siamo immersi che ha fatto Ortega y Gasset e che di colpo mi è tornata in mente: «una geometria sentimentale per la gente della Castiglia e del Leon, in cui il pioppo è l’elemento verticale e il levriero da caccia quello orizzontale, e li vedi subito, che spiccano nel vuoto, demarcazioni orizzontali e verticali che devono fornire appoggio all’occhio che altrimenti si perderebbe in quell’infinito» [1].
Il pioppo l’ho visto, ma il levriero dov’è? Debbo accontentarmi della Lancia dei miei amici, che guidata da mio figlio, mi sorpassa, approfittando della infinitezza del rettilineo e della dolcezza delle nostre meditazioni…
Guido Verna
1996
————————–
[1] Riportata in C. Nooteboom, op.cit., p.281.
Commenti recenti