di Guido Verna

 

A Santo Domingo arriviamo verso sera. Sappiamo che c’è uno splendido Parador, che il mio amico prova a prenotare col cellulare, ma è tutto esaurito. Troviamo posto in un albergo dal nome fascinoso: El Corregidor. Entrando scherziamo: lavorerà in tipografia (il mio amico è giornalista…) o sarà un domatore? O piuttosto sarà un ballerino o un torero? Senza vocabolario e con i nostri deficit linguistici, andiamo nelle nostre camere portandoci appresso il dubbio e un po’ di rossore da banalità (ballerino e torero si traducono in italiano pizza e o sole mio). Un attimo dopo – ma sempre con troppo e imperdonabile ritardo – mi ricordo che si trattava ben più seriamente di un funzionario reale.

Stemma di_Santo_Domingo_de_la_Calzada

 

Quando siamo dentro e prendiamo in mano una cartelletta dell’albergo con le istruzioni per l’uso, il logo – una pianta radicata su una conchiglia affiancata a sinistra da un gallo, a destra da una gallina – ci dà la soluzione completa. Anche se la grafica è moderna, il significato ci pare trasparente: si tratta del milagro del peregrino ahorcado! El corregidor, allora, è proprio quel governatore che vide tornare in vita prima il gallo e la gallina arrosto che stava mangiando e poi il buon giovane che aveva fatto impiccare! L’esegesi grafica – che non verifichiamo perché ci soddisfa ampiamente – ci fa sentire, senza volerlo, all’improvviso già dentro Santo Domingo.

 

 

 

Uscendo, ci fermiamo a vedere il grande maiolicato, vicino alla reception, con la descrizione grafica del Camino: ci vuole ancora tempo per Santiago! Ce n’è poco, invece, per la cena, almeno a dare ascolto alle sollecitazioni dei più giovani. Vicino all’albergo c’è un ristorante che si chiama Meson “El Peregrino”. Nomen omen: come si fa a sceglierne un altro? Ma di pellegrini ci siamo solo noi… Abbiamo fame e voglia di sapori spagnoli: sopa de ajo, gambas plancha, chuleta, tortilla, chorizo. L’ambiente è disteso, la birra sembra tedesca e il cibo è ottimo: è la nostra prima serata spagnola e ce la gustiamo fino in fondo.

San Francesco, Parador de Santo Domingo

 

 

Quando usciamo è già tardi e non è vero che in tutta la Spagna la movida entra nella notte: fuori c’è poca gente, anche nella piazza principale. Entriamo nel Parador, a vedere la statua di San Francesco: che splendore! E prima di andare a letto, passando davanti alla Chiesa di Santo Domingo, appoggiamo l’orecchio sul portone: c’è solo silenzio, anche il gallo e la gallina a quest’ora dormono tranquillamente. Ma non hanno certo mangiato la sopa de ajo

 

 

 

Cattedrale_de_Santo_Domingo_de_la_Calzada

 

Entriamo in chiesa, il mattino dopo, con una certa curiosa emozione. Santo Domingo ci perdonerà, se oltre a Lui, ci muove un po’ anche «il pollaio più bello del mondo» [1]. Eccoli, finalmente, il gallo e la gallina (ma io vedo solo il gallo…) nel semicerchio di una nicchia gotica su un altare laterale, dietro una grata in ferro battuto.

 

 

Il pollaio più bello del mondo

 

Santo Domingo e le galline

 

Mi viene in mente il Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2416: «gli animali sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura. Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria». Sembra quasi che questo gallo – più di tanti uomini – sia consapevole di ciò: si muove orgoglioso e impettito all’interno della sua preziosa e incredibile casa-balcone. E canta. E il suo canto attraversa le alte navate della Chiesa, schiude le nostre bocche al sorriso esterrefatto, si posa indifferente sulla nuca incanutita di una vecchia in preghiera, vibra sulle statue dei santi, accarezza i quadri alle pareti e diventa inno alla Maestà del Creatore e Signore del cielo e della terra nel Tabernacolo. Fortunato gallo: poter cantare quando e come vuole le lodi al Padreterno in casa Sua!

 

Scendiamo nella cripta, a pregare il Santo facendo la Vuelta, sette giri intorno alla sua tomba. é una preghiera allegra e dinamica: per un momento ci sentiamo davvero pellegrini e ci illudiamo di appoggiare le nostre suole sulla calzada, sul lastricato, che Santo Domingo costruì, amorevolmente, a conforto dei pellegrini autentici, tra Najera e Redecilla.

Riprendiamo grati e in letizia il Cammino, anche se il nostro incedere torna ad essere solo il rotolare delle gomme sull’asfalto. In cuor mio, sono ancora più contento: ho affidato a Santo Domingo, protettore degli ingegneri, un po’ me stesso,  ma, soprattutto, mio figlio che – prima o poi – dovrà pur cadere sotto la Sua giurisdizione…

 

Guido Verna

1996

 

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[1] Cees Nooteboom, Verso Santiago. Itinerari spagnoli, Feltrinelli, 1996, p.59

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