di Guido Verna
«Quattro sono le vie per San Giacomo che a Puente la Reina, in terra di Spagna, si riuniscono in una sola» [1]. Qui, dove si mettono insieme i pellegrini da Roncisvalle e da Somport, comincia il Camino vero e proprio.

Puente_La_Reina
Il paese ci appare un po’ fatiscente, ma il ponte sull’Arga – che da quasi mille anni viene consumato dai passi dei pellegrini – è ancora bellissimo, dentro un’atmosfera quieta e silenziosa, rotta solo dallo scatto di qualche macchina fotografica dei turisti-pellegrini presenti, che sono pochi e parlano a bassa voce, forse per non disturbare – a quest’ora di pomeriggio – il riposo della Regina Doña Mayor che certamente è rimasta sul suo ponte a proteggere, appunto, i pellegrini.
Si parla a bassa voce per buona educazione e per gratitudine e se si tende un po’ l’orecchio si riconoscono lingue diverse, francese, tedesco, ovviamente spagnolo e ora anche il nostro italiano. Ma la sensazione non è di essere a Babele, anzi c’è tra noi un avviluppo complice e rasserenante – Doña Mayor, almeno lei, non fa la siesta! – che, senza necessità di parole, si traduce in volti sorridenti, di amici che condividono.
Sarà un caso, ma proprio qui, dove le vie dei cammini si unificano definitivamente nel Camino, avverto la sensazione autentica dell’Europa unita, non che si unisce, ma che si ritrova unita.

Puente la Reina
Guardo il ponte – «con i cinque archi dal fermo profilo a tutto sesto sostenuti da spalle a becco, sottolineati da fori centrali» [2] – e dalla sua bellezza semplice derivo, per un attimo, una breve vertigine storica: penso, chissà perché, al Sacro Romano Impero, quando popoli diversi riuscivano a convivere nella pace vera – che non era banalmente l’assenza di guerre, ma più profondamente la tranquillità dell’ordine, prima il Creatore, poi le creature, prima il Decalogo, poi le leggi umane, prima la Verità, poi, molto poi, la “politica” – proprio per ponti sociali come questo: bellissimi e semplici, con archi dal fermo profilo e sostenuti da spalle, spalle forti, piantate solidamente nella terra per reggere quel profilo che si alza dalla terra a sostegno dei piedi dei pellegrini – chi non è pellegrino su questa terra? –, per aiutarlo a superare le acque agitate dei fiumi della vita, la fanghiglia dei parallelismi e delle incomprensioni delle sponde diverse.

Puente della Reina
Guardo il ponte e – attraverso la memoria ormai in libertà – mi accorgo che nel punto più alto, dove il profilo si piega e la salita si fa discesa, non vedo solo Doña Mayor, la Reina ma vedo anche un’altra donna, un’altra Principessa: la Principessa Giovanna.
Non riesco ad immaginarmi in un’altra epoca, non ho mai fatto esercizi di fantasia. Ma a sentirmi figlio ed erede di un’altra epoca, sì che ci riesco e da quelle radici profonde, nodose e ramificate, succhio non la nostalgia ma l’esempio, la responsabilità, il dovere di portare nella storia – anche nella mia piccola e davvero insignificante storia – la luce di princìpi e di comportamenti sul cui valore morale, dall’Eden a Giosafat, non dovrà –purtroppo, soprattutto oggi, non posso dire: non potrà – mai scendere non il buio, ma nemmeno un’ombra.

La Principessa Giovanna
Ebbene, nei rappresentati dei brazos di Navarra che si riunirono proprio qui, a Puente de la Reina, quel 13 marzo 1328, per difendere i diritti della Principessa Giovanna nei confronti di Filippo, nuovo re di Francia, sento di avere tanti miei antenati. Quando penso alla nobiltà della politica – cioè all’impegno e al dovere dell’uomo che sceglie di muovere i telai del tessuto sociale e di costruire quei ponti – penso subito a quel giuramento … e a quel libro su cui lo trovai e a quegli amici che mi invitarono a leggerlo…
«Per prima cosa giuriamo sulla Croce e sui Santi Vangeli, sotto pena di tradimento, di conservare il detto regno di Navarra […]. Ed inoltre giuriamo, sotto la stessa pena, che nessuno dia separatamente risposta su alcun argomento relativo alla sovranità in detto regno ma tutti insieme concordemente, con il massimo raggruppamento di patrizi, cavalieri, baroni e buone città. E giuriamo inoltre, sotto la stessa pena, di aiutarci tutti affinché chi dovrà regnare sul detto regno ci renda giuramento secondo privilegi, usi e costumi del regno di Navarra. E giuriamo inoltre di aiutarci a mantenere usi, costumi, privilegi e franchigie di cui godiamo» [3].

Puente de la Reina
Smetto di guardare il ponte perché è tardi e do fastidio alle foto dei turisti. Ne scatto una anch’io, sperando che lo sviluppo non faccia scomparire la Regina e la Principessa affacciate sullo smagrito fiume.
No, non è stata Babele quell’Europa, quando gli europei si pensò di «unirli in Dio invece di unificarli forzatamente in una lingua e in un sistema di potere centralizzato»[4].
Non è Babele questo ponte dove, mentre andiamo via, si continua a parlare italiano, francese, spagnolo, tedesco, perché su questo ponte “noi” – cioè noi italiani e questi francesi e questi spagnoli e questi tedeschi – sappiamo perfettamente che i popoli sono stati – e quindi potranno ancora esserlo! – «diversi nella storia, appunto perché uniti nella fede»[5].
Siamo pochi, è vero, ma giuriamo sulla Croce e sui Santi Vangeli, sotto pena di tradimento… eccetera. E comunque sarà, avremo vinto noi.
Guido Verna
1996
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[1] AA.VV., Compostella etc., op.cit., p.35
[2] R.Oursel, op.cit., p.58
[3] Riportato in Francisco Elías De Tejada, La monarchia tradizionale, Dell’Albero, Milano 1966, p.75
[4] Ibid., p.15
[5] Ibid., p.23
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