“Sono disteso sul letto come sulla croce insieme a Cristo. E mi è grato essere e soffrire con Lui”.

Enrico Krzysztofik

 

   I martiri

sono dichiarati santi non perché uccisi, ma per la vita di fede e opere buone, che li rende forti nella persecuzione fino alla morte.

 

   Testimonianza e memoria

   “Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi militi ignoti della grande causa di Dio. Per quanto è possibile, non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze” (San Giovanni Paolo II, «Tertio Millennio adveniente»).

Il 16 giugno l’Ordine dei Frati Cappuccini fa memoria di cinque confratelli uccisi o fatti morire nei campi di sterminio di Auschwitz e Dachau tra il 1941 e il 1942. Sono qui indicati con i nomi da religiosi e vengono proposti alcuni momenti della loro vita e testimonianza.

 

   Le tappe della Via Crucis

Lublino: 23 frati tra cui Enrico, Fedele e Floriano, arrestati il 25 gennaio 1940, sono chiusi nel castello della città, poi trasferiti a Sachsenhausen e quindi a Dachau. Qui c’è un sopravvissuto testimone: Fra Gaetano Ambrozkiewicz. Varsavia: 22 frati tra cui Aniceto e Sinforiano, arrestati il 27 gennaio 1941, sono portati a Pawiak e poi internati ad Auschwitz.

 

Aniceto Koplin, anni 66

A Varsavia Padre Aniceto gira per i poveri, oppure siede nel confessionale. Come penitenza normalmente impone di fare un’elemosina per i poveri, come al cardinale Kakowski: un carro di carbone per una famiglia povera durante l’inverno. Chiede ai ricchi pane per i poveri, ma invita questi a pregare per sé e per i ricchi: davanti a Dio ognuno porta la responsabilità dell’altro. Si impegna anche per i cristiani non cattolici e per gli ebrei.

Festa dell’Ascensione 1941. Primo interrogatorio. Il cappuccino, che è tedesco di origine, afferma: “Dopo quello che Hitler ha fatto in Polonia, io mi vergogno di essere un tedesco”. Invano lui e il padre guardiano sono torturati perché si autoaccusino di aver istigato la gente alla ribellione contro il regime. Aniceto dichiara: “Sono sacerdote e dovunque vi siano uomini, io là opero: siano essi ebrei, polacchi, e ancor più se sofferenti e poveri”.

 

   Per i poveri

valorizza un’attività cominciata da giovane: sollevamento pesi. Si esercita prima della preghiera notturna. Nelle feste paesane sbalordisce la gente, poi presenta il cappello per i poveri. Un poliziotto molto irascibile confessa spesso che tratta male moglie e figli, ma non dimostra impegno a correggersi. Non è un pentimento vero. Un giorno in sagrestia lo prende per la cintola, lo alza fin sopra alla sua testa: “Vedi cosa posso farti? E che farà Dio con te se continui ad essere così violento?” La lezione è efficace: il poliziotto cambia condotta.

Nel lager lui, che ha urlato per difendere i poveri e condannare il peccato, tace e prega. Il 16 ottobre gli aguzzini dopo aver allestito un breve processo, lo buttano insieme ad altri prigionieri, vivi, in una fossa e gettano sopra di loro calce viva.

 

Sinforiano Ducki, anni 54

svolge prima la mansione di questuante per la costruzione del seminario minore di San Fedele a Varsavia e poi è, per diversi anni, fratello accompagnatore del ministro provinciale. Semplice e amichevole, facilmente conquista la simpatia del popolo e nuovi amici all’Ordine. È molto attivo tra la gente, ma si distingue anche per un forte spirito di preghiera devota e fervorosa. Stimatissimo dagli abitanti della capitale.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale si adopera perché non manchi il necessario ai suoi frati né ai bisognosi. Di costituzione robusta, nel lager soffre più degli altri la fame e le persecuzioni, sopportando tutto in silenzio. Dopo sette mesi è condannato a una morte lenta.

Una sera, l’11 aprile 1942, i tedeschi iniziano a trucidare in modo bestiale i prigionieri, fracassando loro la testa a manganellate. Sinforiano li affronta facendo su di loro il segno della croce. Il compagno di prigionia, Czeslaw Ostankowicz, dichiara che ci fu un attimo di sbigottimento, poi l’ordine di bastonarlo. Fr. Sinforiano è colpito da una manganellata in testa e stramazza al suolo, fra i tedeschi e i prigionieri. Trova la forza di risollevarsi e fare ancora il segno di croce. Viene assassinato. La morte di Sinforiano mette fine alla tremenda esecuzione e una quindicina di prigionieri si salva. Questi caricano con grande venerazione la salma di fr. Sinforiano insieme alle altre sul carro che le porterà al forno crematorio.

 

Enrico Krzysztofik, anni 34

Cosa sono due pagnotte di pane, divise in 25 porzioni? Cosa normale, in tempi normali; eroismo puro in un campo di concentramento, dove la fame fa perdere la ragione. Questo gesto di Enrico non è improvvisato, ma è frutto di una generosità cristiana molto esercitata.

Durante la guerra fr. Enrico è insegnante, rettore del seminario nel convento di Lublino e predicatore appassionato. Supplisce anche il suo padre Guardiano, espulso perché non polacco di origine. Invita con premurosa delicatezza e realismo i suoi frati ad offrire a Dio tutte le sofferenze che li attendono, “fintantoché abbiamo la mente lucida”. Dal lager riesce a scrivere un messaggio segreto ai suoi allievi: “Cari fratelli! Sono in corsia nel blocco 7. Sono paurosamente dimagrito perché disidratato. Peso 35 chili. Mi fanno male tutte le ossa. Sono disteso sul letto come sulla croce insieme a Cristo. E mi è grato essere e soffrire con Lui. Prego per voi e offro a Dio queste mie sofferenze per voi”.

Muore il 4 agosto 1942 e viene bruciato nel forno crematorio del campo 12.

 

Fedele Chojnacki, anni 36

È un impiegato affidabile e molto apprezzato. Impegnato nell’Azione Cattolica e nella campagna contro l’alcool. Nobile di carattere, riesce a riconciliare persone in discordia. Divenuto frate, a Varsavia fa amicizia con Aniceto Koplin, il famoso questuante della città. Quando scoppia la guerra è al terzo anno di teologia, a Lublino. Arrestato, sopporta con serenità e anche buon umore le dure condizioni carcerarie nel Castello della città. Ma a Sachsenhausen, un lager modello, finalizzato all’annientamento dell’individuo, fr. Fedele, scioccato dal trattamento disumano dei prigionieri, perde il suo ottimismo. A Dachau peggiora ulteriormente con una grave malattia polmonare. Ricorda Fra Gaetano: “Non dimenticherò mai quella domenica pomeriggio dell’estate 1942 quando fr. Fedele lasciò la nostra baracca 28 per trasferirsi nel blocco degli invalidi. Era stranamente così quieto e assorto, negli occhi aveva persino dei riflessi di serenità, ma erano ormai riflessi non di questo mondo. Ci baciò tutti, congedandosi con parole di S. Francesco e dicendo: Sia lodato Gesù Cristo, arrivederci in cielo”.

Fedele muore il 9 luglio 1942 e viene arso nel forno crematorio.

 

Floriano Stepniak, anni 30

Fra Gaetano lo descrive: “Un’anima santa. Solidale, franco, allegro”. Allo scoppio della guerra, il 1° settembre 1939, ha 28 anni e studia Sacra Scrittura a Lublino. Non abbandona il convento. Si dedica alle confessioni e a seppellire i morti.

Nel lager viene chiamato il “sole del campo”. Ancora fra Gaetano: “Alcuni amici sacerdoti, riusciti a scampare al blocco invalidi, narrarono che fr. Floriano Stepniak aveva portato la luce a quell’infelice baracca. Gli uomini chiusi là dentro erano destinati a morire. Morivano di stenti a decine e numerosissimi venivano condotti via a gruppi non si sa dove. Soltanto in seguito si seppe che venivano eliminati nelle camere a gas nei dintorni di Monaco. Chi non ha provato il lager non ha idea di cosa significasse per quella gente solo pelle e ossa, del blocco degli invalidi, immersa in un’atmosfera di morte, una mite parola di conforto; che cosa potesse rappresentare per loro il sorriso di un cappuccino ridotto allo stremo come loro”.

Floriano è ucciso con il gas il 12 agosto 1942 e cremato nei forni. Ai genitori viene recapitato l’abito e: il figlio “è morto di angina”.

Beatificati a Varsavia da san Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999, in un gruppo di 108 martiri polacchi.

 

Notizie da Sulle orme dei santi, a cura di Costanzo Cargnoni, Roma 2012.

 

 

AR giugno 2019

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