SAINT JEAN PIED DE PORT
di Guido Verna
Proviamo a dormire a Lourdes, ma ovunque è tutto esaurito. Piove forte e decidiamo di scendere a valle, trovando posto, per una cena di terroir e un sonno ristoratore, in un Logis alle porte di Pau.
C’è il sole, stamattina, quando partiamo verso Roncisvalle. Ostabat – il primo grande nodo del Camino, dove si riuniscono le tre vie francesi da Tours, Vezelay e Le Puy – lo saltiamo involontariamente, perché il guidatore dell’altra vettura, mio figlio, non ha ancora assimilato il ritmo di marcia e l’attenzione da porre alle frecce di bivio, che devono esser propri del moderno pellegrino automobilistico. Ma oramai siamo nel Camino, come ci segnalano i cartelli “europei” che cominciano a comparire lungo la nostra strada.

Saint Pied De Port
La tappa a Saint Jean Pied de Port è obbligata, perché qui abbiamo deciso di iniziare simbolicamente il Cammino, attraversando a piedi la Porta di Spagna nella direzione di Roncisvalle. Qualche piccolo problema nella ricerca del parcheggio è il segno premonitore dell’ormai consueta abbondanza di turisti, nel cui flusso ci immergiamo comunque volentieri, incamminandoci verso la Porta. Il paese non è grande e non ci vuole perciò molto tempo a compiere il gesto simbolico, al quale riusciamo a dare spessore e dignità affidandolo alla Notre Dame cui è dedicata la Cattedrale gotica – del XIII secolo – provvidenzialmente a ridosso della Porta.

Notre Dame e il Ponte Vecchio
Vicino alla Cattedrale, sotto il grès del Ponte Vecchio, andiamo a veder scorrere la Nive, che arriva al piano ormai esausta ma ancora allegra e un po’ rumorosa fra due file di vecchie case basse e ordinate, con lunghi balconi, che – forse vanitosi per qualche fiorellino di stagione che li impreziosisce – tentano invano, con i loro timidi aggetti, di specchiarsi in essa approfittando del suo sfinimento e del suo torpore estivo.
Un’insegna accattivante ci indica la presenza di una cantina con possibilità di assaggio. Facile sedurci, meno facile farci apprezzare compiutamente l’Irouléguy, il vino doc del luogo, non tanto per demerito del vignaiolo quanto piuttosto per l’ora e lo stomaco non particolarmente pieno. Dopo il mezzo bicchiere, comunque, la percezione iconografica sale di livello: le scritte bilingui ci segnalano che ci troviamo all’estremità occidentale dei Paesi baschi, a Donibane Garazi, mentre il colore dei manifesti di una corrida ci avverte che siamo nella capitale storica della Bassa Navarra.
Ci rifugiamo ancora una volta nella guida “scritta”: leggiamo di pelota, danzatori provetti ed acrobatici, musicalità della lingua, espadrillas. Per la pelota e i grandi salti non è né l’ora né l’età e, malgrado gli sforzi auricolari, non riesco nemmeno ad apprezzare le armonie dell’Euskara, la lingua locale: non mi resta che acquistare una paio di espadrillas, che – evidentemente – non sono il massimo per prendere slancio verso i Pirenei ma che senz’altro mi aiuteranno per un po’ a camminare sui ricordi, quando tornerò nella quiete di casa mia.
Il paese costruito dai Re cristiani di Navarra è delizioso, tranquillo e composto sotto la fortezza che è in cima alla collina, tra campagne perfettamente coltivate e ai piedi del passo (il port, l’approdo); ma è anche pieno di quel fascino che hanno tutti i luoghi in cui la storia e la geografia hanno deciso di piazzare i loro snodi. I Re di Navarra, i Re di Aragona e Castiglia, poi i Re di Francia, i papi di Avignone e poi ancora le guerre di religione, l’attacco violento dei calvinisti: mettono a ferro e fuoco il paese, bruciano la chiesa di Santa Eulalia di Ungheria, massacrano sacerdoti – nella Rue de la Citadelle, l’ho scoperto dopo, c’e la casa natale di Juan de Mayorga, un gesuita martirizzato alle Canarie nel 1570 da corsari calvinisti –, ma il basco di Donibane infine non cede, resta attaccato a Santa Romana Chiesa e dentro e fuori si fortifica.

Il fiume Nive
Non c’è tempo, però, nemmeno per vedere la fortezza esterna, perché quella voce, quel richiamo indistinto – ma percettibile, anche se più col cuore che con le orecchie – che continuo a sentire dentro il rumore della Nive sta facendosi pressante. Le sirene non hanno casa sui Pirenei: sarà allora Orlando che chiama? E se a chiamare fosse invece già Lui, «il barone per cui là giú si visita Galizia» [1]? Chiunque sia, è ora di andare.
Guido Verna
1996
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[1] Dante, Paradiso, XXV, 17.
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