Stefano Aviani Barbacci, 28/05/2019
Il 17/05/19 l’Unione Europea ha confermato le sanzioni contro la Siria. Per assumere questa misura non c’è stato bisogno di alcun dibattito, né all’interno dei Paesi, né tra i Paesi stessi. La notizia non era sui giornali ed invero pochi in Europa sanno dell’esistenza di queste sanzioni, persino un gran numero di parlamentari le ignora.
La faccenda è gestita discretamente dai ministri degli esteri e si risolve ormai con un rapido scambio di mail. Nessun clamore e neppure iniziative concrete per opporvisi. Esistono questioni (particolarmente la politica estera) riguardo alle quali non sembrano ammesse defezioni tra i Paesi della UE pena gravi ritorsioni sul piano politico ed economico.
Le motivazioni richiamate sul sito del Consiglio della UE sono sempre quelle da anni: suscitare “un’autentica transizione politica” che poi in inglese è il “regime-change” preteso dagli USA. Nessun cenno al terrore scatenato dalle milizie islamiste, ma solo ad una “violenta repressione contro la popolazione” che rovescia la verità dei fatti acclarati. Un richiamo, infine, alle “sofferenze del popolo siriano” trasformate in una cinica arma di guerra per ottenere un fine politico tutt’altro che nascosto. Sarà un altro anno terribile in Siria… segnato dalla penuria d’ogni cosa e dalla mancanza di lavoro, senza possibilità di dar luogo a una ricostruzione, senza prospettive di ritorno a casa per milioni di profughi.
Sotto altre sembianze la guerra continua e si cerca ora di far cadere la Siria per sfinimento, come in un assedio. Ecco dunque (vedi qui) questa nuova emergenza associata alla carenza di gas e petrolio (paradossale per un Paese come la Siria) che, nei primi mesi del 2019, ha moltiplicato le vittime persino all’interno di campi profughi gestiti dall’ONU per ipotermia e inedia (339 bambini siriani morti nel solo campo di al-Hol fino ad Aprile, secondo Asharq Al-Awsat).

Dalla Cina alla Siria miliziani uiguri filo-turchi con armi occidentali
Con l’arrivo della Primavera, l’esercito regolare siriano (SAA) ha ripreso le operazioni contro la potente alleanza di milizie qaediste e filo-turche che controllano la provincia di Idlib e il confine turco-siriano.
Dalla Turchia a Idlib affluiscono ancora i “volontari”, reclutati anche tra le popolazioni turcofone dell’Asia centrale e della Cina. Arrivano anche il denaro, le munizioni e le armi (spacciati per “aiuti umanitari” destinati ai civili) e Analisi Difesa segnalava, il 20/05/19, la recente consegna di una partita di missili anticarro tra i quali i potenti TOW in uso presso molti eserciti della NATO.
La roccaforte di Al Qa’da è dunque ben munita e non solo da un punto di vista militare: gode anche della protezione degli USA e dell’Unione Europea che nel contempo attuano una dura politica di sanzioni contro il governo di Damasco che i terroristi li combatte. In pratica: una scelta di campo.
Dunque, anche la stampa occidentale rilancia ogni falsa accusa nei confronti di Damasco, nasconde invece che Ankara trattiene 3 milioni di profughi siriani sul suolo turco e che un muro invalicabile (costruito con i soldi dei contribuenti europei) ne rende impossibile il ritorno a casa: una formidabile arma di ricatto nelle mani di Erdogan.

Damasco celebrazione religiosa in una comunità cristiana
Nel dramma siriano c’è anche il dramma particolare delle comunità cristiane, colpite fin dall’inizio del conflitto con violenza inusitata e barbarica. Una crudeltà anche ostentata (ad esempio, nei video dell’ISIS e sulle copertine patinate di “Amaq”, la rivista del Daesh…) che ha avuto verosimilmente un preciso fine politico.
I cristiani della Siria (circa il 10-12% della popolazione prima della guerra) rappresentano il ceto medio benestante, la parte dialogante e colta, l’elemento di coesione della nazione… colpirli dunque, e terrorizzarli al punto da indurli alla fuga, ha avuto il significato di un tentativo di compromettere le speranze di sopravvivenza dell’intero Paese.
Per Fulvio Scaglione (“Quella lezione al mondo intero dei cristiani di Siria”, 16/05/19) l’esodo dei cristiani, che non a caso è stato incoraggiato dall’Occidente, ha privato la Siria intera di una parte del suo ceto dirigente più qualificato e della borghesia delle professioni e dei mestieri. Si è voluta compromettere ovvero la speranza di poter ricostruire la Siria (a guerra finita) come un Paese moderno. Il successo dei “ribelli” significherebbe non la libertà e la democrazia, ma uno sprofondare del Paese nell’arretratezza e nel fondamentalismo.
Ecco perché i religiosi cristiani sono rimasti eroicamente al loro posto, esortando i fedeli a non lasciare il Paese. Poco nota è l’opera indefessa delle chiese locali che si sono battute per far tornare in patria i giovani, anche acquistando i biglietti aerei, anche recuperando appartamenti per i senza tetto e pagando in parte o in toto gli affitti, anche inventando nuove attività e offrendo occasioni di lavoro…

Faia e Rihan Younan, nel popolare video “To Our Countries”
La minoranza cristiana rappresenta dunque, fin dall’epoca dell’indipendenza della Siria dalla Francia, il nucleo e l’elemento di stabilità in una costruzione politica post-coloniale altrimenti effimera. È grazie a questa presenza se la Siria è riuscita ad esprimere un’identità nazionale definita.
Il “nazionalismo arabo” è stato, evidentemente, una formula di contro-bilanciamento delle possibili spinte centrifughe e si deve riconoscere che questa formula ha funzionato: la Siria (diversamente che la Libia) non è crollata in poche settimane e molti osservatori hanno segnalato il marcato sentimento patriottico della gran parte della popolazione.
In questa guerra, dunque, lo stato ha cercato di proteggere i cristiani e i loro simboli. Ricordiamo: le visite della coppia presidenziale alle comunità cristiane colpite dal terrorismo; la riconquista della cittadina cristiana di Malooula, prima ancora dell’intervento russo, ed il ripristino di una grande statua della Vergine Maria sull’apice della montagna che la sovrasta (qualcosa che è più unico che raro in tutto il Medio Oriente); la consacrazione di Aleppo alla Madonna di Fatima nel corso del lungo assedio di questa città.
Infine, è interessante notare che sono cristiane le sorelle Rihan e Faia Younan (quest’ultima ormai una cantante affermata) che, con il video musicale “To Our Countries” (che ha avuto una enorme eco in tutto il Medio Oriente) hanno scritto l’inno intenso e commovente che dal 2014 ispira la resistenza del loro Paese.
PER APPROFONDIRE
Stefano Aviani Barbacci. “Il Vicario Apostolico di Aleppo: la Siria muore a causa dell’embargo imposto da USA e Unione Europea”. La Città, 29/04/19
Infarcito di belle parole ma povero di verità, il documento del Consiglio dell’Unione Europa sul rinnovo delle sanzioni alla Siria non maschera l’intento politico dell’embargo.
https://www.consilium.europa.eu/it/policies/syria/
Rihan e Faia Younan. “To Our Countries” (video in lingua araba e con sottotitoli in inglese).
https://www.youtube.com/watch?v=4GO52i0xui8
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