LOURDES
di Guido Verna
Il Cammino del Codex Callistinus (del XII secolo) non poteva prevedere il passaggio per Lourdes, giacché qui, nella grotta di Massabielle, la Madonna è apparsa solo nel 1858.
D’altra parte, la geografia di ogni cammino, se ha fissati il punto di inizio e la meta ultima, ha però delle linee provvidenziali mai definitive ma costantemente aperte alla Grazia, che è sempre disponibile nella storia a sostenere la natura umana. Non possiamo non cogliere la necessità della deviazione.
Piove, quando arriviamo; ma la gente è tantissima. Mi fa sempre molto piacere trovare questo luogo super affollato. E’ il segno che esiste ancora tanta umanità che ad agosto non va al mare (o solo al mare), ma decide per altre acque, dicendo Rosari e spingendo carrozzelle. Quello che mi stupisce ancora una volta a Lourdes, la serenità che traspare nei volti della gente, di chi spinge e di chi è spinto. A mia moglie, che dedica parte del tempo libero all’UNITALSI, a volte esprimo alcune perplessità in relazione all’atteggiamento che ho l’impressione di cogliere in alcuni che si dedicano all’aiuto dei bisognosi, peraltro – il va sans dire – comunque attività assolutamente meritevole. È un aiuto che spesso si lascia percepire più dettato da umana pietà che da autentica pietas, una sorta di volontariato ad una dimensione, a cui pare mancare questa “ulteriorità”: aiutare un uomo non solo perché soffre, ma anzitutto perché fatto a immagine e somiglianza di Dio; vedere in quell’uomo la possibilità che Dio ci fornisce per il nostro cammino; dargli un senso e una funzione che trascendono e dignificano ancora di più la sua sofferenza. Ebbene: qui a Lourdes questo mi sembra che accada sempre e che tutto si muova – chi spinge e chi è spinto – proprio nella chiarezza lucente della “ulteriorità”, in una atmosfera piena di senso.
Nella grotta, il matrimonio d’amore tra la Madonna e l’umanità dolente ma non disperata è celebrato incessantemente, senza la minima interruzione, con intensità e fervore commoventi. Mentre guardo le mille fiamme delle candele – la nostra luce umana, misera e tremolante eppure tesa verso l’alto, verso la Signora – riemerge lentamente ma nitidamente nella memoria la descrizione mirabile che di queste candele trovai in un libro letto tanti anni fa, Le folle di Lourdes di Huysmans, un autore che, a un certo punto della mia gioventù, ho apprezzato molto.
«E tutti questi ceri ardono, stridono, si consumano o si calcinano in modo diverso secondo il valore e la grossezza loro. […] Questa fioritura di fuoco, questo giardino di fiamma ha il suo giardiniere: un vecchio giardiniere dal viso liscio e rosolato, che ha la sua dimora presso la grotta e non fa altro che vegliare e muoversi intorno al focolare […] dalla mattina alla sera, senz’affannarsi, silenzioso, egli sbriga le faccende del ménage della Vergine» [1].
Cerco il giardiniere, ma non lo trovo. La Signora del giardino invece è sempre lì. Aspetta la mia fiamma, che Le offro con il massimo di consapevolezza della mia miseria. GlieLa offro perché le faccia perdere il tremore e, vincendo i soffi orizzontali delle mie debolezze, la verticalizzi in modo stabile; perché la privi del fumo nerastro della mia umanità provata, ma che ha però desiderio autentico e sincero di redenzione, fino a che la luce sia pulita e trasparente.
Intanto, alle nostre spalle, il Gave continua a scorrere placido, increspato solo dalle Ave Marie e dai canti lontani che qualche compagnia di pellegrini ha intonato.
Guido Verna
1996
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[1] Joris Karl Huysmans, Le folle di Lourdes, Libreria Editrice Milanese, Milano 1908, pp. 35-38
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