“La divina Provvidenza più di noi assai ci pensa”
Crispino da Viterbo
Le due madri
Pietro Fioretti ha cinque anni. Marzia, la mamma, lo porta al santuario della Quercia di Viterbo davanti alla Madonna: “Vedi? Quella è la tua mamma. Io adesso ti dono a lei. Amala sempre di vero cuore e onorala come tua Signora”. Resta orfano di padre, ma non senza famiglia. Il padrino di Battesimo lo fa studiare e lo zio calzolaio lo prende a lavorare.
Fra Crispino
All’età di 25 anni prende l’abito dei Frati Cappuccini con il nome del Santo calzolaio Crispino. Svolge servizi in vari conventi del Lazio e in mezzo al popolo. Il periodo più rilevante, per quarant’anni, a Orvieto. Il grande spirito di preghiera e il desiderio bruciante di condividere la passione di Gesù lo rendono infaticabile nel confortare e aiutare poveri di ogni genere.
Meglio evitare il carcere
Monterotondo. Rumori di notte nell’orto: due ladruncoli hanno riempito un sacco dei cavoli coltivati da Fra Crispino. Alcuni frati li afferrano, li conducono nel chiostro, discutono sul da farsi. Arriva, tranquillo, fra Crispino, l’ortolano. “rimase calmo, né si turbò minimamente, né chiese qualche ammenda a correzione dei delinquenti. Li guardò solamente e subito li compatì”. E convince il guardiano a mandarli via “sani e salvi e bene carichi di cavoli”.
Porta cibi ai carcerati
e organizza famiglie che a turno provvedano a molti di loro. Tuttavia non li illude: “O siete innocenti o rei. Se siete rei avete la pena; se siete innocenti potete prendere la cosa come la croce di Gesù per la salvezza dell’anima.”
Ma intanto lavora per alleviare le loro pene. Un giorno a fra Francesco Antonio da Viterbo: “Adesso andiamo a far la carità a persone più bisognose di noi”. Al carcere. Richiesto da una donna, detenuta per ordine del Vescovo, la ascolta. Escono e vanno a parlare con il Vescovo. Nell’uscire Crispino: “Ringraziamo Iddio, che abbiamo fatto il colpo”. Il giorno dopo la donna è liberata. Lo stesso giorno vanno dal Governatore. Crispino si trattiene a lungo con lui. Fra Francesco si meraviglia: come mai tanto tempo? “Sei troppo curiosotto. Domani lo saprai e lo vedrai”. E riferisce Francesco: “Nel giorno seguente viddi alcune persone che vennero a ringraziarlo della carità usatagli nel farli uscire dalle carceri”.
Mette pace
fra i due fratelli fornai di Orvieto Pasquale e Nicola Raguzzi. “Per cagione d’interessi … eransi stabilito il giorno di determinare la loro lite colle archibugiate”. Inutili i tentativi di vari amici. Ma “penetratosi dal servo di Dio il funesto infernale impegno, tanto si affaticò con l’uno e con l’altro, che li riuscì in quella stessa giornata, che doveva essere la loro compita rovina di anima e di corpo di riunirli, di accomodare la loro lite, e di farli chiedere vicendevolmente perdono: né mai più in appresso si sentì tra loro esser insorta alcuna nuova contesa”.
Crispinello e amici
Orvieto. Ore 2 di notte. Suona la campanella. Crispino accorre: un neonato. Lo prende, corre in cucina e lo ristora con una dose di olio, zucchero e … un po’ di vino. La mattina presto lo porta all’ospedale. Qualcuno vuole curiosare. Fra Crispino sbrigativo: “Ecco che stanotte fra Crispino ha partorito un bel bambino”. Tempo prezioso per la piccola vita. Non è l’unico. Ne salva diversi. Uno di questi lo fa battezzare e gli mette il suo nome. Incontrandolo, gli passa la mano sulla testa: “Questo è il mio Crispinello”. E si occupa di lui per la scuola e poi per il lavoro.
Lasciatelo in pace
Roma. Filippo Alberti. I Camilliani lo assistono da tre giorni. Richiesto dalla sorella Crispino va. Accostatosi al letto, dice: “ che fate qui, voi stimatissimi Padri? Non serve che stiate qui a soffrire e ad aumentare il caldo nella stanza, dando maggior sofferenza a quest’uomo. Dorme saporitamente. Lasciatelo in pace, che non solo scamperà a questa malattia, ma avrà ancora molto da vivere”.
Distrae poi l’attenzione da sé chiedendo che venga portata la berretta di San Filippo Neri (ne è devoto perché amico di san Felice da Cantalice). Il giorno dopo arriva puntuale. Benedice il malato con la reliquia, prega, lo chiama tre volte a voce sempre più alta. Il malato apre gli occhi. Fra Crispino ordina che gli si dia da mangiare. Dopo tanto “riposo” ne ha proprio bisogno.
Alla sua “Signora Madre”
fra Crispino raccomanda tutte le persone con le loro necessità, pene e richieste. Sistematicamente le presenta una manciata di frutta secca per il malato di turno: “Fate che ne venga bene e non male”. Giovanni Maria Lancisi, medico del Papa, gli osserva: “La vostra triaca ha più virtù di quella di noi altri medici”, e fra Crispino: “Monsignor mio, voi siete dotto, e per tale vi approva tutta Roma; ma la mia Madonna ne sa più di voi e di tutti i medici uniti insieme”.
Saggezza e sapienza
Intelligente e garbato con tutti, con battute spiritose o poesie introduce esortazioni, consigli e vere e proprie catechesi spicciole, dentro ai negozi, sulla piazza e particolarmente tra i contadini delle campagne che percorre per il servizio della questua. I bambini gli corrono incontro e gli fanno festa.
Ricche di buonsenso e di sapienza le sue numerose lettere. Un esempio. A un sacerdote scrupoloso:
“Prevedendo vostra signoria doversi turbare andando al confessionale e fare altra opera del suo ufficio per la gloria di Dio, non perciò si deve arrestare d’andarvi, ma vada allegramente, non facendo caso del turbamento. Anzi è tenuto a troncare ogni futuro turbamento, dal quale vede essere assalito, e dire: io vado a fare la volontà di Dio e vado per suo amore. E procuri quanto può dal canto suo di stare allegro nel Signore e divertirsi in cose geniali, ma buone e sante, quando però è assalito dalla malinconia”.
L’asino senza cappello
La sua vita è un continuo stare alla presenza di Dio e nella sua volontà. Per rispetto a Lui non porterà mai una qualunque copertura in testa: “Un asino non porta il cappello”. Coltiva la consapevolezza della presenza di Dio e questo atteggiamento nella preghiera incessante e in atti di penitenza, flagellazioni e digiuni. Qui controlla il suo carattere non facile e intercede per i fratelli, bruciato dal desiderio della loro salute eterna.
La morte
Maggio 1750. Fra Crispino è a Roma nell’infermeria dei frati in condizioni gravissime: “Fra pochi giorni la mia Signora Madre mi farà ricco; e oh! quanto ricco!” Giorno 17. Il medico, lontano dall’infermeria, dove fra Crispino non può sentirlo, dice ai frati: “Non c’è più speranza. Domani mattina fra Crispino finirà di vivere”. Il giorno dopo, 18 maggio, è festa tra i frati per san Felice da Cantalice, vissuto circa 150 anni prima di fra Crispino. È il primo santo dell’Ordine e tutti i frati lo venerano in maniera particolare. Al frate infermiere che rientra nella celletta fra Crispino dice: “No. Io non voglio guastarvi la festa del santo vecchio (così i frati chiamano affettuosamente san Felice). Io, nonostante il parere del medico, non morirò domani, ma dopodomani”. E mantiene la promessa. Muore il 19 maggio.
Beatificato da Pio VII nel 1806 e canonizzato da san Giovanni Paolo II nel 1982. Nel 1983 il corpo viene portato nella sua città.
AR maggio 2019
Commenti recenti