di Guido Verna
Premessa
Dopo il ricordo di Romas Kalanta e delle “guerre delle Croci”, racconterò la terza storia esemplare di “quella” Lituania, allora profondamente cattolica.
Per difendere e mantenere questa sua specifica identità dai russi, la Lituania aveva già molto sofferto con i governi zaristi d’occupazione; rispetto a questi, però, l’invasione sovietica era ben più dura da sopportare. Ora il piccolo paese baltico aveva di fronte la massima organizzazione antidio prodotta dalla storia umana che non tollerava ostacoli nella costruzione del suo ’”uomo nuovo”, “pensato” e “progettato” ateo e totalmente terreno.
Le “storie” raccontate e quella che racconterò sono esemplari e paradigmatiche per descrivere “quel” tempo. Che, si badi, non era più quello del comunismo stalinista “cattivo” ma quello del comunismo finalmente autentico, e quindi “buono” e “giusto” e “pacifico“, secondo la vulgata occidentale, in particolare nella versione italiana.
Questi racconti, però, hanno uno scopo soggiacente rispetto alla sola memoria: cercare di far cogliere, anche solo minimamente, come il comunismo — se è finito tanto per la sua parte economica, impresentabile e indifendibile a fronte degli esiti fallimentari ovunque conseguiti quanto per il suo aspetto liberticida e violento ovunque praticato, sempre meno nascondibile agli occhi ancorché “miopizzati” del “mondo” libero — sia invece ancora ben presente, sebbene come “post” o con altro nome o addirittura anonimo, con i suoi fondamenti materialisti e antireligiosi nel nostro “libero” Occidente. Che prima è stato debilitato, con la diffusione della “morale” che in tali fondamenti è implicita, attraverso l’opera paziente e capillare delle molteplici agenzie politico-culturali insediate nei vari paesi e coordinate dal centro. E che ora sembra quasi sul punto di essere conquistato nel “profondo”, perché tali agenzie hanno potuto notevolmente aumentare la loro pressione sul corpo sociale, essendo riuscite finalmente a fruire del moltiplicatore costituito da quelle forze laiciste e radicali che in passato, malgrado le tante consonanze, avevano avuto sempre qualche remora — almeno di carattere “democratico” — al loro abbraccio pubblico e continuo.

Juozas Zdebskis al Seminario di Kaunas. 1952
1. L’arresto di don Juozas per aver preparato i bambini alla prima comunione

Juozas-Zdebskis-con-i-bambini-catechizzati-nella-chiesa-di-Prienai.-1971
Nel luglio del 1971, nella sua chiesa di Prienai, don Juozas Zdebskis aveva raccolto i bambini della prima comunione, accompagnati dalle mamme, per verificare la loro preparazione catechistica, quando — come si legge nell’esposto firmato da 89 genitori e inviato inutilmente a Mosca — «improvvisamente irruppe nella chiesa un gruppo di uomini e di donne […] [costituito] dal presidente del Comitato esecutivo, dal segretario del Komsomol, da alcuni insegnanti, da miliziani ed altre persone […] [che] fecero interrompere tutto, poi si misero a fotografare i bambini ed a chiedere loro le generalità. Una bambina per la paura è persino svenuta!» [CCCL-1, p.18]. La procura interrogò tutti, l’accusato, i bambini e i genitori. Poi, il 26 agosto, il sacerdote fu arrestato e a niente valse un nuovo esposto alla procura dell’URSS, firmato da 350 persone, in cui — posto che l’accusa rivolta al «[…] rev. J. Zdebskis […] [era quella] di aver preparato i bambini alla prima comunione» — si chiedeva retoricamente ma logicamente: «se egli ha commesso un reato adempiendo ai propri precisi doveri sacerdotali, perché allora la costituzione dell’URSS garantirebbe al libertà e di coscienza di culto?» [p.19]. A settembre, più di duemila fedeli firmarono — e Dio sa i rischi che si correvano firmando — un altro esposto in difesa del sacerdote (cfr. p.21), il cui ministero fu poi esplicitamente richiesto da oltre mille cattolici di Santaika che erano privi di parroco [cfr. p.22]. Fu, ovviamente, tutto inutile. Il 12 novembre, a Kuanas, cominciò il processo.
2.Il processo
Gli agenti della Sicurezza provvidero alla selezione degli spettatori. Le persone radunate all’esterno furono brutalmente disperse, molti cattolici furono arrestati e fu permesso l’ingresso solo agli “ateisti” (di cui dirò più avanti). In quel processo che aveva anzitutto lo scopo di «[…] mantenere il paese in un’atmosfera di paura, affinché nessuno osasse chiedere maggiori libertà»[p.24], il regime non voleva “esterni”, tanto più se “esterni religiosi”.
Cominciarono a interrogare i testimoni, prima i bambini, poi i genitori, poi ancora i funzionari. Il testimone Kucinkas, funzionario, raccontò di quando, su segnalazioni di alcuni cittadini, si recarono in chiesa e trovarono «[…] 50 bambini e altrettante donne [mentre] il prete Zdebskis stava spiegando […]. [Lo ammonirono perché] […] con tale comportamento egli commetteva un reato di fronte alla legge»[p.28]. Ma il prete rispose loro con coraggio ammirevole: «”Ho insegnato e continuerò a farlo. Allorché si scontrano le leggi di Dio e della Chiesa con quelle dello stato, bisogna ubbidire senz’altro a Dio”» [Ibidem]. Anche al testimone funzionario Naginavicius che lo aveva allo sesso modo trovato a insegnare, il reverendo rispose che «[…] avrebbe continuato a farlo per un preciso comandamento di Dio… » [Ibidem].
Le accuse contro di lui furono ancora più “gravi”. Da Kapciamestis, una parrocchia in cui aveva prestato servizio qualche tempo prima, venivano descritti gli esiti nefasti della sua influenza: «[…] l’attività religiosa è diventata più intensa: durante la processione vengono portati la croce e gli stendardi anche se ciò non è permesso. Egli attira i pionieri e gli ottobrini e li iscrive alla recita del rosario. [In più] […] possiede una motocicletta “JAVA” e gira per le case. Si è recato [addirittura!] anche da una famiglia comunista dicendosi disposto a battezzare il figlio anche in casa”» [p.29].
Arriva il momento del procuratore. La sua arringa è “esemplare” e nella sua costruzione descrive perfettamente il micidiale “surrealismo sovietico”: «[Premesso che] [a] I genitori e i tutori hanno il pieno diritto di insegnare ai propri figli le cose della religione. [b] Per l’impedimento a compiere i riti religiosi sono previste delle sanzioni. [Rilevato che] Il “Decreto sull’educazione cristiana“ del Concilio Vaticano II dichiara che, oltre ai genitori anche lo Stato ha dei diritti sui giovani. [Constatato che] Il rev. ha violato la legge di separazione della Chiesa dallo Stato [perché] […] ha organizzato sistematicamente l’istruzione di minorenni, in tutto circa 200-300 bambini” [Ne deriva che] perciò egli deve essere punito con la pena prevista dall’articolo di legge infranto… [e se ne chiede la condanna] ad un anno di privazione della libertà, pena da scontarsi un lager a regime normale»! [p.30].
Ovviamente, la richiesta della procura viene pienamente accolta e il rev. Zdebskis, riconosciuto colpevole, è condannato come da richiesta.
3. La splendida autodifesa di don Juozas
Ma tra l’arringa del procuratore e il verdetto finale, si situa la splendida e contrastata autodifesa dell’imputato, che non è solo un esemplare atto di coraggio ma è anche, a suo modo, una piccola, luminosa esposizione di Dottrina sociale della Chiesa relativamente alla famiglia e all’educazione.
Aveva violato il divieto dell’insegnamento religioso? Lo aveva fatto perché «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» [At 5,29].
Aveva insegnato ai bambini il catechismo, cioè «[…] non il proprio sapere, non un sistema di vita proposto da qualche filosofo, ma ciò che vuole Cristo» [p.31]?
Lo aveva fatto perché era suo dovere di sacerdote conformarsi al precetto: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni […] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» [Mt 28, 19-20].
Sapeva bene che «Il comandamento di insegnare ai bambini le verità della fede [competeva ai] genitori, che posseggono il diritto naturale sui propri figli» [p.32], ma conosceva altrettanto bene gli umani limiti e il principio di sussidiarietà («Quando i genitori vogliono che i propri figli imparino la musica, chiamano un insegnante di musica; per la matematica, un insegnante di matematica […]») [Ibidem].
La doppiezza comunista
Soprattutto, conosceva bene — si potrebbe dire: “sperimentatamene” — la doppiezza dello “stile” del regime comunista, che denunciava con audace e brillante sincerità: «la costituzione dell’URSS riconosce la libertà di coscienza e il diritto dei genitori sui propri figli […] [ma allora] se si autorizza ad esistere, con ciò stesso si deve anche permettere di mangiare, di respirare, ecc. Se ufficialmente si consente che vi siano dei sacerdoti, automaticamente si prevede anche la possibilità che questi esercitino le loro funzioni principali!, cioè di officiare il Sacrificio, di assolvere i peccati in nome di Dio (giudicare) e di insegnare», segnalando, infine, con un po’ di amara ironia, la sua impressione di essere «[…] processato per l’adempimento [dei suoi] […] precisi doveri» [pp.32-33].
Ma dove tale “doppiezza” trovava la sua maggiore evidenza pubblica era nella differenza di trattamento da parte dell’autorità nei confronti degli ”ateisti”, una parola utilizzata perché qui appare — come sottolinea Don Juozas — «[…] la più appropriata […], dato che un ateista, sia che si tratti di un funzionario per la Sicurezza dello Stato, dell’apparato amministrativo o di quello della pubblica istruzione, si presenta per questo aspetto ugualmente come un combattente contro Dio» [p.33].
La Chiesa — pur se giuridicamente è separata dallo Stato — di fatto non lo è, perché «[…] piegata agli interessi degli ateisti» [Ibidem], di modo che «[…] i credenti si sentono “fuori della società” [e] […] si trovano ad essere discriminati di fronte alla legge» [pp.33-34]. Per esempio: «gli ateisti hanno una propria stampa e scuole proprie mentre ai credenti tutto questo viene negato» [p.34]; “grazie” al loro “zelo”, per impedire che «[…] la cultura interiore del popolo» possa essere alimentata, si ostacola la sua partecipazione alla santa messa, forse perché «essi sentono istintivamente che […] l’azione della grazia, come pure la robustezza della fede, sono necessariamente legati [proprio alla messa]» [Ibidem]; in molti casi l’insegnante vieta agli allievi la partecipazione ad un funerale entrando in chiesa.
A fronte dell’ampia notorietà di tali fatti e dell’inerzia silenziosa delle procure, Don Zdebskis si chiede e chiede a tutti i presenti, ancora una volta con grande coraggio: «Ci si deve forse meravigliare se nel popolo sorge il sospetto che la libertà di coscienza sancita dalla costituzione e la ratifica della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ed altro, servano soltanto per motivi di propaganda? […] Possibile che ci siano delle leggi segrete, contrarie a quelle ufficiali e ignote a popolo?» [pp.35-36].
La denuncia dell’azione degli ateisti
L’azione degli ateisti contro la libertà di coscienza era, poi, caratterizzata molto spesso da un comportamento ingannevole e subdolo, paragonato dall’imputato a «[…] quello del duca di Gloucester nel secolo xv, descritto nelle opere di Shakespeare [che] […] aspirando al trono d’Inghilterra trucidava segretamente i propri rivali, mentre era capace di mostrarsi al popolo con un libro di preghiere in mano» [p.36].
Sono esemplari, al riguardo, le loro manovre per «[…] scegliere sia i sacerdoti da mandare a Roma a perfezionare gli studi, sia i candidati per le nomine dei vescovi [con l’intenzione] […] di far credere al mondo che i vescovi si trovano ai propri posti e che le disposizioni provengono dalla curia vescovile, mentre in realtà […] vengono dettate dagli ateisti [stessi]» [Ibidem].
O quelle per «[…] compromettere agli occhi dei fedeli e del Vaticano diversi sacerdoti e persino i vescovi » [Ibidem].
O ancora quelle tese a «[…] far funzionare un solo seminario ecclesiastico […] nel quale si permette di ammettere, e con ciò stesso di ordinare ogni anno, soltanto 4-5 sacerdoti quando nello stesso periodo ne muoiono in Lituania dai 20 ai 30 [con l’aggiunta di impedirne l’accesso agli] […] studenti e professori particolarmente capaci e di elevata vita interiore» [p.37].
O, infine, la concessione dell’«[…] autorizzazione ad accedere alla prima comunione e contemporaneamente la pretesa che i bambini vengano preparati singolarmente (sono centinaia! ndr)» [Ibidem] che il Don Juozas, molto felicemente, commenta così: «[…] In tal modo la libertà religiosa diventa simile al “permesso di vivere”, ma con il divieto di nascere…» [Ibidem].
Il coraggio e l’intelligenza di questo sacerdote — che si possono assumere come la misura delle condizioni della chiesa lituana di allora — sono rappresentate in modo perfettamente esauriente dalle parole che subito dopo egli rivolge ai giudici, che per tanti versi suonano purtroppo attuali: «[…] Onorevoli giudici, si è spinti a pensare che anche voi, come gran parte della nuova generazione, conosciate Dio solamente dal libro Le amenità bibliche e da altre pubblicazioni analoghe, e non quel Dio che è morto per noi sulla croce. Chissà se oggi, pur possedendo diplomi di studi superiori nella vostra specializzazione, riuscireste a superare almeno un esame nelle materie della religione, così come lo sostengono i bambini alla vigilia della prima comunione?» [Ibidem]. Per concludere in modo altrettanto ammirevole: «Tenendo ben presente tutto questo (dato che anche voi siete secondo il detto di Rachmanov persone prodotte dalla “Nuova Fabbrica di Uomini “), noi dobbiamo perdonarvi per questo processo ed implorarvi il perdono di Dio» [Ibidem].
Nel 1964, era stato già condannato ad un anno di carcere con una analoga accusa e poi prosciolto perché era «[…] stato accertato che non venne usata alcuna coercizione nei riguardi dei bambini» [p.38]. Ora si era nelle stesse condizioni: «[…] il tribunale sa bene che non vi è stata da parte mia alcuna coercizione; che i bambini non venivano istruiti a scuola, ma in chiesa e dietro la volontà dei genitori, come attesta anche l’appello inviato a questo proposito dai genitori dei bambini al governo dell’URSS. La legge non può essere interpretata, nelle identiche circostanze, una volta in un modo e un’altra in un altro modo» [Ibidem]. Invece, con i sovietici, poteva esserlo e lo sarebbe stata.
(continua)
Guido Verna
19 dicembre 2012
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[CCCL-1] Cronaca della Chiesa Cattolica in Lituania, fascic. 1-10, La Casa di Matriona, Milano 1976
(Tutte le citazioni indicate con il solo numero di pagina, sono tratte da questa fonte).
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