di Guido Verna
Parte seconda: La guerriglia
Prima degli anni ’70, nella nuova prospettiva della guerriglia la Cronaca segnala solo pochi episodi. Come, ad esempio. quello avvenuto nel 1969 nel villaggio di Šatraminai, quando il presidente del kolchoz aveva fatto distruggere «[…] un’artistica croce […] [che] veniva protetta come monumento artistico [e che] i credenti […] adornavano di fiori» [CCCL-1, p.75]. O come quello di Miežoniai, dove nel 1964 fu fatta scomparire una croce giubilare di granito che i giovani dell’Azione cattolica rurale «[…] avevano eretto […] lungo la strada del villaggio [e sulla quale] vi era scolpita l’iscrizione: “A Dio e alla Patria”» [ibid., p.79]. Qualche tempo dopo, nello stesso anno, la croce fu ritrovata, buttata, nei pressi di una torbiera, in una cava piena d’acqua e da lì «[…] portata nel cimitero parrocchiale, [da dove però] […] di notte scomparve […]. [E] fino ad oggi non si è potuto sapere dove e come gli ateisti l’abbiano distrutta» [ibid., p.80].
Fu negli anni ’70 — in particolare intorno alle ultime due distruzioni del Monte (nell’aprile ’73 e nell’ottobre ’74, dopo la prima nell’aprile ‘61) —, che la guerriglia si intensificò.
Se quella nei cuori si servì soprattutto del sistema scolastico (di cui dirò più avanti), la guerriglia lungo le strade e davanti e dentro le case comportò un’utilizzazione di strumenti non solo tecnici — come nella “guerra grande”— ma quasi sempre anche amministrativi.
La signora Paulina Grigaliūnaitė doveva essere una donna forte e fedele, se il 18 giugno 1972 aveva avuto il coraggio di erigere una imponente croce di legno alta 5 metri davanti la sua casa, nel villaggio di Vilkablauzdés. L’amministrazione provinciale ne ordinò la rimozione immediata, ma la signora Paulina non diede ascolto a quell’ordine. E allora «nella notte tra il 7 e l’8 agosto 1972 la croce venne segata e portata via. Ancora oggi è opinione comune che ciò sia stato compiuto dagli attivisti del partito. Perché non si sentisse il rumore durante il taglio venne messo in moto un trattore» [CCCL-2, p.255].

Chiesa di Saukenai
L’anno successivo, l’8 maggio 1973, toccò al parroco di Šaukėnai — che si era permesso di piantare «[…] nel proprio cortiletto una croce di legno» [ibid., p.361] — scatenare le ire degli ateisti, nella fattispecie del «segretario dell’organizzazione di partito del sovchoz, Daraška [che arrivò a dichiarare:] […] “Non sarò più io se non butterò giù quella croce!”» [Ibidem]. Uno dopo l’altro, intimarono al parroco di abbattere la croce e lo minacciarono: il vice presidente del Comitato esecutivo della provincia, il presidente della circoscrizione, il segretario del komsomol, l’incaricato del Consiglio per gli affari religiosi. Ma il rev. Švambrys ogni volta si rifiutò. Alla fine, l’incaricato, «dopo aver esaminato la croce e rendendosi conto che il parroco non l’avrebbe mai rimossa, […] [si limitò a pretendere] che almeno venisse spostata più lontano dalla strada» [ibid., p.362].

Chiesa di Labaronas
Nel 1974 la guerriglia contro le croci aumentò di intensità, interessando anche elementi “immateriali” ad esse connessi. Come nel caso del parroco di Labanoras, che a marzo fu pesantemente richiamato «[…] per aver […] benedetto nel cimitero le croci tombali e per aver organizzato nel medesimo una processione nella ricorrenza dei Defunti nel 1973» [ibid., p.164]. Per benedire — ammonì il sostituto del presidente della provincia — sarebbe stata necessaria «[…] una specifica autorizzazione della provincia»![Ibidem].
Nello stesso anno, lungo una strada del villaggio di Puodžiai era caduta una vecchia croce. Al fedele che chiese il permesso per innalzarne una nuova, l’amministrazione provinciale non solo lo negò ma in più diffidò il richiedente e gli impartì — tramite un suo funzionario — questa “lezione”: «[…] se la croce è crollata vuol dire che ha finito la sua esistenza, e non è permesso erigerne un’altra» [ibid., p.36].
In altri casi, i funzionari del partito provvidero direttamente alle “azioni” contro le croci, come per esempio nel villaggio di Tryškiai, quando, nella primavera di quell’anno, «[…] demolirono e […] buttarono nel vicino laghetto» [ibid., p.75] una vecchia croce in cemento piantata lungo la strada.
Nei primi giorni del successivo agosto, il parroco di Skriaudžiai ricevette una sanzione pecuniaria per aver violato «[…] i decreti governativi sulla procedura per l’esecuzione delle costruzioni» [ibid., p.164]. La violazione era consistita nell’aver eretto pochi mesi prima, il 30 giugno, «[…] sul sagrato della [sua] chiesa quattro belle croci lituane» [Ibidem]. In più — trattandosi di un ostinato recidivo, già sanzionato due volte in passato, prima, con una multa, per avere riverniciato la chiesa di Barzdai (nel 1970) e poi, con il trasferimento alla nuova sede, per aver eretto altre quattro croci sul sagrato di essa — alla metà di dicembre ricevette un severo ammonimento da parte del Comitato esecutivo della provincia per le sue prediche contro gli interessi della società sovietica e la sua scuola.
Nel 1975, l’intensità della guerriglia subì un ulteriore incremento.

Chiesa Silalé
Nella cittadina di Silalè l’aria in quell’anno si fece pesante. Per cominciare, il direttore dell’ufficio della posta — su ordine del segretario del partito comunista locale — proibì al postino di recapitarla. Il motivo: «[…] aveva portato una croce durante i funerali»! [ibid., p.252]. Poi, al parroco fu vietato «[…] di riparare l’orologio della chiesa [perché] non è ammissibile che l’orologio della chiesa batta le ore e segni il tempo…»! [Ibidem]. Il responsabile della sezione di propaganda del partito comunista, nel mese di marzo, «[…] salì perfino sul campanile per assicurarsi che l’orologio non fosse in grado di funzionare, in quanto ciò… potrebbe nuocere alla propaganda ateistica!» [Ibidem]. Infine, ad aprile fu impedito l’ammodernamento dell’impianto elettrico della chiesa, vietando il collegamento del nuovo cavo alla rete.

Cattedrale di Panevezys
Il 28 marzo — il giorno del Venerdì Santo — nel cimitero della città di Panevėžys, per “festeggiarlo” ateisticamente, furono abbattute 28 croci e — forse per completare la “festa” — «[…] anche un’alta ed artistica scultura della S.Vergine Maria [fu] rovesciata dal suo piedistallo» [ibid., pp.252-253]. Tutti ovviamente pensarono ad un’azione organizzata dagli ateisti, perché soltanto quelli come loro «[…] potevano pensare a profanare delle croci il Venerdì Santo, giorno del sacrificio di Cristo e della esaltazione della Croce» [ibid., p.253].

Chiesa di Anyksciai
Quel Venerdì Santo fu, in qualche modo, “festeggiato” anche nella cittadina di Anykščiai. Erano ormai tre anni che Algis Ladiga — figlio di un generale lituano morto in Siberia — stava scolpendo, in una cava, un’artistica croce in pietra per la tomba della madre. Non riuscì a portarla a termine perché il governo della provincia prima mandò «[…] ben cinque auto […] a fare un sopralluogo alla cava, divenuta ormai famosa, dove s’ergeva il monumento ancora incompiuto [e poi] […] nella notte tra il Venerdì e il Sabato Santo […] il monumento scomparve» [ibid., pp.255-256]. Quella notte furono visti nella cava una gru e un camion, dei quali erano rimaste anche le impronte sul terreno. Ma la croce che Algis aveva scolpito per sua madre non fu mai più ritrovata.
A maggio, lo “scandalo” della Croce toccò la sensibilità “stradale” del Comitato esecutivo provinciale della città di Mažeikiai. Una coraggiosa vecchietta — Emilija Gelumbauskienė — aveva eretto davanti casa, a distanza di quattro metri dal marciapiede, una bella croce di quercia, che riscuoteva l’ammirazione dei passanti. Questo, però, non piaceva ai “governanti”, che ne intimarono la demolizione «[…] in quanto essa era stata eretta senza la necessaria autorizzazione e inoltre trovandosi nei pressi di una pubblica via, in posizione alquanto visibile, “scandalizzava” i vicini» [ibid., p.408]. Nel mese di maggio l’ingiunzione fu perentoria: la signora Emilija aveva tempo fino alla fine del mese per rimuovere lo “scandalo”. «Io non demolirò la croce e non permetterò neppure agli altri di farlo» [ibid., p.409], comunicò la signora al funzionario. Nessuno toccò la sua croce.
Questa particolare sensibilità dei funzionari della provincia di Mažeikiai fu colpita nello stesso mese da un’altra croce, anch’essa troppo vicina alla strada e quindi da abbattere. Si trovava nel villaggio di Pievėnai ed era molto venerata dai fedeli, che le attribuivano anche «[…] un significato rituale perché portando un defunto al cimitero per la sepoltura […] [facevano] sostare [davanti ad essa] la bara» [Ibidem]. I fedeli, perciò, opposero resistenza all’ordine di demolizione e «[…] temendo che la croce potesse essere distrutta, l’hanno rimossa dal suo posto e innalzata di nuovo sul sagrato» [Ibidem].
A giugno, l’attacco toccò anzitutto a due croci all’interno del kolchoz “Terra libera” nella provincia di Biržai: il presidente della circoscrizione «[…] ingaggiò due uomini e le fece abbattere» [ibid., p.455].
A metà dello stesso mese, stessa sorte toccò a una croce in prossimità del villaggio di Briniai, della circoscrizione di Kučiūnai, che «[…] venne rovesciata con un bulldozer e ridotta in pezzi; e i pezzi furono nascosti sotto il serbatoio di carburante» [ibid., p.359]. La storia di questa frantumazione è significativa, perché dimostra come per il regime sovietico, senza sprezzo del ridicolo, qualsiasi scusa fosse buona per eliminare ogni traccia di storia e di religione dal panorama lituano. All’inizio del secolo, nel 1901, un vescovo di passaggio — accolto dai fedeli di tre villaggi, Pazapsiai, Briniai e Kalėdiškiai — «[…] aveva espresso il desiderio che a ricordo di quell’incontro in quel punto venisse innalzata una croce» [Ibidem]. In quel punto furono erette tre croci, una da ciascun villaggio. Venne il kolchoz e realizzò un deposito di carburante al loro fianco; passò il tempo e le rovinò. I fedeli decisero, allora, di rifarne una nuova in sostituzione delle tre usurate. Ma «dopo Pasqua, il presidente della circoscrizione di Kučiūnai […] e l’architetto della provincia di Lazdijai rimproverarono la popolazione per aver innalzato la croce in un posto così poco bello. Sarebbe stato meglio scegliere un luogo migliore, nei pressi dell’abitato…» [Ibidem]. E — loro, gli esteti — contro il “brutto” si videro costretti a mandare ancora una volta il bulldozer…
Il 1° luglio, poi, il Comitato esecutivo del Soviet dei lavoratori della provincia di Lazdijai deliberò per la demolizione, entro il 15 del mese, di un abuso edilizio da parte dell’azienda ittica di Meteliai, nel villaggio di Buckūnai. L’abuso edilizio consisteva, naturalmente, in una croce, eretta peraltro sul terreno di proprietà. In particolare, secondo il verbale dell’architetto della provincia, si trattava di «”Una croce in legno, verniciata di verde, con la fronte rivolta verso la strada Miroslavas-Simnas, […] eretta presso l’entrata principale dell’abitazione, su una base a gradini di cemento» [ibid., p.313]. Se l’azienda non avesse provveduto direttamente, «[…] l’opera di demolizione […] [sarebbe stata] affidata all’associazione volontaria dei vigili del fuoco, che […] [avrebbe poi rimesso ai proprietari] la fattura delle spese sostenute» [Ibidem]. Non avendo l’azienda provveduto, il 25 luglio prima arrivarono, per una ricognizione preliminare, un incaricato della polizia, il segretario della circoscrizione e il dirigente dell’azienda ittica di Meteliai; poi, dopo circa un’ora, — secondo l’esposto del proprietario — «[…] un automezzo dei Vigili del Fuoco […], sul quale […] si trovavano due uomini piuttosto ubriachi: il comandante dei vigili del fuoco di Lazdijai […] [e un] operaio del Comitato esecutivo di Lazdijai […]. Questi individui, dopo aver spaventato […] moglie e i […] figli [del proprietario] rovesciarono la croce in un’aiuola di fiori e se ne andarono in fretta» [Ibid. p.357]. Il proprietario, il signor Ignas Klimavičius, non si lasciò intimidire e rispose, il 30 luglio, con un esposto alla procura, in cui raccontò con coraggio e intelligente ironia — che meritano la lunga citazione — quanto aveva dovuto subire: «Un anno fa ho eretto una croce di legno sul pianerottolo della scala della mia abitazione. In Lituania questa tradizione risale all’antichità: i cattolici che intendono venerare la croce la innalzano nelle campagne, la erigono davanti alle case, la appendono alle pareti delle abitazioni, la portano al collo e così via. Ero quindi convinto che per innalzare una croce sul pianerottolo di casa non occorresse alcun permesso da parte del governo, come non occorre alcun permesso per portare una croce al collo o per appenderla ad una parete della propria casa. Tuttavia i funzionari del Comitato esecutivo della provincia di Lazdijai stabilirono e ordinarono di abbattere questa croce. Logicamente, come cattolico, la croce posso soltanto venerarla e non profanarla, e perciò non ho eseguito l’ordine dal momento che mi sembra un reato il solo fatto di ordinare ad un cattolico la demolizione di una croce. Cosa accadrebbe se qualcuno ordinasse ad un comunista di stracciare un ritratto di Lenin o di abbattere una sua statua?» [ibid. pp.356-357]. Ovviamente, il suo esposto non produsse risultati. Per cogliere il clima della “giustizia” allora imperante, basti questo esempio. Il procuratore si rifiutò di mettere a verbale «[…] le dichiarazioni [rese anche per iscritto] delle tre donne, secondo le quali i distruttori erano completamente ubriachi» [ibid. p.358], salvo poi sentenziare che «non si sono trovati testimoni i quali abbiano confermato che la croce sia stata abbattuta da persone ubriache» [Ibidem].
Poi, forse fu l’inverno lituano a proteggere le croci, spegnendo piano piano i fuochi della guerriglia.
Sulle Cronache tradotte in italiano non ho trovato altro. Ma credo che il racconto fin qui fatto sia sufficiente non solo a descrivere un fondamentale elemento identitario del comunismo ma anche — ed era l’obbiettivo principale — a far “scoprire” ai più giovani una caratteristica che per quelli della mia età è scontata. E cioè che l’odio antireligioso — ma soprattutto anticristiano e anticattolico — che si respira in questi giorni non è un sentimento improvvisamente e casualmente apparso sulla scena della storia, bensì rappresenta l’esito di una pervicace e scientifica seminagione, di cui la “guerra delle croci” è esemplare descrizione e prefigurazione.
Spero, infine, che questo racconto possa rendere più evidente il senso delle parole che il Beato Giovanni Paolo II pronunciò a Roma, nel 1990, nell’omelia durante la Celebrazione eucaristica nel Pontificio Collegio Lituano:
«La croce è diventata il segno particolare dei Lituani: delle persone, delle famiglie, delle comunità e di tutta la società. […]
Il popolo che con tanta costanza e così fervorosamente si reca in pellegrinaggio su quel colle per piantarvi le croci, è lo stesso popolo che crede nella vita! “Beato il popolo che ti sa acclamare e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto” (Sal 89, 16). […]
Il Signore ha già concesso alla Lituania una grande grazia per il fatto che la voce di questa piccola, ma nobile Nazione, è in grado di farsi sentire dappertutto» (Link 6).
Guido Verna
19 dicembre 2012
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[CCCL-1] Cronaca della Chiesa Cattolica in Lituania, fascic. 1-10, La Casa di Matriona, Milano 1976.
[CCCL-2] Cronaca della Chiesa Cattolica in Lituania, fascic.11-20, La Casa di Matriona, Milano 1979.
[Link 6] .. Beato Giovanni Paolo II – Omelia nella Celebrazione eucaristica nel Pontificio Collegio Lituano, 1° luglio 1990
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