Bernardo da Corleone
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Il Santo di oggi
12 gennaio
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Frate Cappuccino 1605-1667
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“Ogni giorno mi pare cent’anni di andare a godere Dio”
Bernardo da Corleone |
Che mastro Filippo si accenda come un fiammifero, se provocato, non è un mistero in Corleone. Così, quando un giorno, mentre lavora nella sua bottega, arriva Vito Canino a provocarlo, accade il prevedibile.
– Siete voi mastro Filippo?
– Perché mi cerchi?
– Ti cerco per il bene: se sei galantuomo va’, pigliati la spada.
– Io con vossignoria non ho avuto questioni: che motivo ho di prendere la spada?
Ma il Canino insiste nella provocazione andando anche sul pesante, fino a mandare in collera mastro Filippo:
– Con te non ho bisogno della spada!
Ed esce fuori col suo pugnale. Il duello si svolge in due tempi. Il Canino ce la mette tutta per eliminare mastro Filippo, perché “ci tirava pri la testa”. Filippo si rende conto che ha a che fare con un sicario. Rientra in bottega e si arma come si deve. Il suo attacco mutila per sempre il Canino che resterà inabile.
Dobbiamo la testimonianza a Fra Bernardino da Corleone che era un ragazzetto quando avvenne il duello e fu testimone oculare.
Filippo Latino
è cresciuto in una “casa di santi”, per la bontà dei suoi fratelli e soprattutto per la carità del padre, calzolaio e bravo artigiano in pelletteria, che è abituato a portarsi a casa gli straccioni e i poveracci incontrati per strada, per ripulirli, rivestirli e sfamarli. Uno dei fratelli, Giuliano, sacerdote diocesano, è morto in concetto di santità. L’unica “testa calda” è lui, Filippo, giovanottone dalla costituzione forte ed imponente, che impara a fare il ciabattino nella bottega di papà, ma che perde anche giorni e testa a osservare le esercitazioni di scherma tra ufficiali e soldati del locale presidio spagnolo. Infine si scopre “una delle migliori lame”, come si dice nell’ambiente. Non è esattamente quello che vorrebbero i suoi; ma le ragioni a favore della spada – in quest’epoca – hanno pure qualche peso. Per dirla in breve, a un abile spadaccino si porta rispetto, anche se è figlio di un calzolaio.
Religiosità sincera e operosa
Sulla sua integrità morale e religiosa non ci sono dubbi. È devotissimo del Crocifisso e della Madonna, alla quale ogni sabato rende l’omaggio della lampada votiva. Frequenta i sacramenti molto spesso e non si vergogna di farsi sorprendere in preghiera nelle chiese del paese e, secondo la precisazione di Giuseppe Lupo nella sua testimonianza processuale, “ogni volta che aveva qualche disgusto o rammarico, subito s’andava a confessare”.
A questa sua religiosità “verticale” corrisponde la prova di una religiosità “orizzontale”, fatta di opere e verità che rendono Filippo Latino un “giovane impegnato” in tutti i sensi. Sono molti coloro che testimoniano di aver visto il giovane che “andava con li bertuli (bisacce) in collo cercando limosina per la città in tempo d’inverno per li poveri carcerati”, e questo senza “virgugnarsi”. Mastro Filippo, nel gestire la bottega di calzolaio, tratta bene i suoi dipendenti.
Quando si tratta di difendere i poveri e gli oppressi, Filippo non esista a servirsi della sua bravura nel maneggiare la spada. Così difende una giovane insidiata da due soldatacci e protegge i mietitori e i vendemmiatori defraudati del frutto del loro lavoro, dopo una giornata di sudori, dalla soldataglia di stanza in Corleone.
Un provocatore?
Chi pensasse che Filippo Latino sia un provocatore o un attaccabrighe da piazza si sbaglierebbe. Vito Canino, venuto da Palermo per strappare il primato della scherma a mastro Filippo, in realtà è un killer, inviato da un altro provocatore che se l’è cavata con due dita tagliate e vuole rifarsi dell’umiliazione subita.
Mastro Filippo, pur avendo agito per legittima difesa, chiede perdono al Canino e, anche quando sarà frate Cappuccino, lo aiuterà economicamente, tramite i benefattori, e moralmente, tanto che diventano amici carissimi.
La vista del sangue
nel duello con il Canino e il timore della vendetta e delle conseguenze di quel gesto lo consigliano di cercare rifugio nel convento dei cappuccini, dove matura la decisione ruminata da tempo. Ha appena 19 anni e i superiori fanno fare anticamera alla “prima spada di Sicilia”, tanto che solo a 27 anni può indossare il saio cappuccino. Prende il nome di Fra Bernardo. I suoi bollenti spiriti si stemperano lentamente con l’esercizio continuo della preghiera, della penitenza e della meditazione, e alla fine viene fuori un uomo nuovo. Svolge in convento i lavori più umili, in cucina e in lavanderia.
Prove fraterne
Superiori e confratelli sembrano esercitarsi a farlo bersaglio di incomprensioni, malignità e umiliazioni attraverso le quali lui, adesso, passa imperturbato. Mai lo si vede “adirato con alcuno, o lamentarsene, o mormorarsi del prossimo” e “non conosceva mai difetto in persona d’altri”, hanno testimoniato i frati al processo. Anche il demonio non lo lascia tranquillo, apparendogli sotto forma di animale e bastonandolo così rumorosamente da impaurire tutto il convento, ed egli lo tiene a bada soltanto con la preghiera, perché, dice, “l’orazione è il flagello del demonio ed egli teme più l’orazione che i flagelli e i digiuni”. Anche se lui non fa economia né di questi né di quelli, sottoponendosi a penitenze che hanno dell’incredibile.
Fra Bernardo è diventato un altro uomo,
ma il cambiamento non è stato gratuito né facile. E nemmeno rapido. È venuto fuori per gradi, con la mitezza e con le penitenze durissime. Ordinari rimedi sono poi la preghiera e il lavoro continuo, il servizio ai confratelli, specialmente se ammalati.
C’è un racconto bellissimo pieno di generosità e tenerezza. Trovandosi con i frati di Bivona durante un’epidemia, si prodiga a curarli in ogni necessità, perché l’unico rimasto sano in comunità è lui. Ma poi viene colto anch’egli dal male. Allora va in chiesa. Dalla serie di piccole nicchie allineate sull’altare prende la statuetta di san Francesco e se l’infila in una manica dicendo: “Adesso tu rimani lì dentro finché non mi fai guarire, perché possa aiutare i confratelli”.
È felice
quando può venire in aiuto a qualcuno. Così rassicura Giuseppe Giacòn che la moglie “darà alla luce un bel figlio maschio”, e tranquillizza Giambattista Massa, preoccupato per la gravidanza difficile della moglie: “la chiamerai Anna”.
Nella sua opera di infermiere si preoccupa anche degli animali, in un tempo in cui la morte di un mulo o di un bovino può significare rovina per una famiglia.
Da stupirsi che, come dice la gente, attorno a questo frate fioriscano cose prodigiose che fanno gridare al miracolo?
Sorella morte
viene a prenderlo nell’infermeria dei Cappuccini di Palermo all’età di 62 anni il 12 gennaio 1667. Prima di seppellirlo i frati devono cambiare per ben 9 volte la sua tonaca, perché tutte sono state fatte a pezzettini dai fedeli che vogliono avere una reliquia.
Fra Bernardo è beatificato nel 1768 e proclamato santo nel 2001.
Notizie da Generosità ed espiazione nella vita del beato Bernardo da Corleone, di G. Spagnolo, Roma 1980.
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A..R..gen. 2018 |
Lettura proposta dai Frati Cappuccini di Monterotondo
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