Un Natale in pace
di Guido Verna
7-12-2003

Qualche mese fa, in un ritiro fra amici in una abbazia cistercense, fummo colpiti dalla presenza di una cosiddetta bandiera per la pace, posta con tutta evidenza su un muro all’ingresso. Ci chiedemmo come era possibile — anche in un luogo con radici così profonde e a così alta densità spirituale — aver ceduto tanto banalmente allo stereotipo «arcobaleno», sciogliendosi all’interno di quel mondo culturale che continua ad avere della pace una idea del tutto strumentale, che non ha nulla a che vedere con l’idea di pace cattolica. Ci chiedemmo, se non era il caso, semplicemente, di scrivere la parola pace su un foglio bianco, insieme a una freccia che indicasse il Tabernacolo, per lanciare un messaggio siffatto: anche noi siamo per la pace, ma la «nostra» pace è diversa da quella «a colori». Per doverosa differenziazione, anzitutto, ma poi anche per tentare, con questo gesto, di fare opera di catechizzazione, perché, eravamo certi, molti fedeli immemori e/o male educati, si sarebbero posti il problema di questa diversità ed avrebbero fatto domande sulla natura di essa.
Questo episodio mi è tornato in mente, mentre preparavo questa nota per il prossimo Natale, spingendomi ad orientarla verso quel genere di fedeli — spero, comunque, pochissimi, fra i lettori della nostra rivista —, a cui è stata tolta anche la possibilità di fare domande e riscoprire la propria identità e, quindi, la propria «differenza». Che consiste, essenzialmente, nel Re che si è scelto di servire.
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Il «nostro» Re è appena nato e giace nella mangiatoia. Giuseppe e Maria sono soli a scaldare il Figlio col loro amore. Qualche voce che comincia a percepirsi avverte, però, che sta arrivando finalmente qualcuno. Ma chi sono i «primi cortigiani» di questo Re neonato, questo strano Re, che sceglie come trono una mangiatoia? Sono i pastori, uomini rozzi, forse incolti, certamente non la «parte nobile» della società secondo i canoni regali consueti, ma uomini con lo sguardo limpido e il cuore forte: «uomini di nerbo e di fegato, — come li descrive Mons. Ricciotti — [che] come non temevano di spaccare col loro bastone la testa al lupo che infastidiva il gregge, così non avrebbero esitato a spaccarla allo Scriba o al Fariseo che avesse infastidito la loro coscienza». Ma questi sorprendenti «primi cortigiani» non erano andati lì per caso: erano stati particolarmente scelti proprio dal Re, attraverso la mediazione di una rivelazione angelica, a sottolineare fin dall’inizio la divina volontà di rinnegamento dei falsi valori terreni.
L’annuncio dell’Angelo della nascita del Salvatore — si badi: il primo annuncio al mondo sulle caratteristiche «speciali» del nuovo Re — si chiude secondo una modalità, che, nella nostra prospettiva, è straordinariamente ricca di significati: «Poi, subito si unì all’Angelo una moltitudine della milizia celeste che lodava Iddio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! » (Lc, 2,13).
Siamo appena all’esordio e siamo già al centro del problema: gloria e pace. Due fini enunciati non solo dall’Angelo ma, all’unisono, dalla moltitudine della milizia celeste, a indicarci la loro dimensione non solo personale ma anche sociale. Due fini enunciati cronologicamente in successione perché logicamente in successione, come condizione il primo, come effetto il secondo. É qui la chiave della diversità del cattolico rispetto al «mondo». La pace non si persegue in sé ma è la conseguenza del rendimento di gloria a Dio, che è il fine ultimo di tutto il creato e, quindi, di ogni uomo. C’è una gerarchia di doveri da cui deriva una sequenzialità degli effetti: la pace in terra è l’esito ulteriore, il di più, che deriva dalla gloria resa a Dio.
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É forse opportuno chiedersi, a questo punto, che cosa un cattolico dovrebbe intendere per pace. Per avere una risposta inconfutabile, apriamo il testo che è — o, almeno, dovrebbe essere — la base comune della nostra appartenenza, il manuale dei «fondamentali», quel Catechismo della Chiesa Cattolica che Giovanni Paolo II, l’11 ottobre del 1992, ha offerto ai Pastori e ai fedeli «perché serva da riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica» e «ad ogni uomo che ci domandi ragione della speranza che è in noi e che voglia conoscere ciò che la Chiesa Cattolica crede». Da esso, al punto 2304, si può attingere la risposta cercata: «Il rispetto e lo sviluppo della vita umana richiedono la pace. La pace non è la semplice assenza della guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza. È la “tranquillità dell’ordine”. È “frutto della giustizia” (Is 32,17) ed effetto della carità» (CCC, 2304).
Dunque, sulla scia di S.Agostino, la pace consiste sostanzialmente nella «tranquillitas ordinis». S.Tommaso, da parte sua, situa così la pace: «in hoc est quod omnes teneant sua loca». Essa si consegue, in altre parole, quando tutto è al suo posto, cioè in ordine, in funzione del proprio fine. Ma il fine del Creato chi è, se non il Creatore? É Dio, la Sua legge, il vero ordine. É il rispetto della legge di Dio che comporta la tranquillità dell’ordine, cioè la pace.
É per questo che la pace in terra enunciata dalla moltitudine della milizia celeste non è per gli uomini simpliciter, bensì per gli uomini di «buona volontà», cioè di «volontà non cattiva», di «volontà retta», per chi esercita la propria libertà non in nome di sé stesso, sciolto da ogni vincolo, ma all’interno della legge di Dio, nell’obbedienza alla Sua volontà e nelle fedeltà al Suo amore. La libertà esistenziale dell’uomo di «buona volontà» si esplica compiendo gesti conformi al Decalogo e che ha, come premessa fondativa, l’ingresso in quella porta che Eva aveva chiuso nell’Eden e che Maria ha riaperto, quando, con il suo Fiat, ha accettato di dare inizio al Natale, alla nascita di Cristo, che è la ri-nascita del mondo e dell’umanità. É la porta del riproporzionamento, della riassunzione consapevole della propria finitezza di creatura — che tutto deve — rispetto all’infinito del Creatore — a cui tutto è dovuto.
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Ma, allora, potrebbe chiedersi qualcuno, non si deve far nulla contro la guerra? Non è questo il problema: è chiaro che contro di essa si deve fare tutto il possibile. Il problema è come e con chi. Vorremmo tanto che questo Natale portasse un po’ di luce ai tanti marciatori che non trovano sconveniente marciare insieme a quelli che vogliono costruire un mondo totalmente anticattolico e antinaturale; insieme a quelli che, per esempio, vogliono dichiaratamente la droga libera, l’aborto, l’eutanasia, la scuola di stato, il riconoscimento delle coppie di fatto e la benedizione delle famiglie gay; insieme a quelli che, in definitiva, trovano insopportabile il benché minimo limite al potere dell’uomo, muovendosi non verso quella porta ri-aperta da Maria ma in senso diametralmente opposto, verso il dis-ordine assoluto, verso un luogo che è il più lontano possibile dal luogo della «nostra» pace. Vorremmo tanto che questo Natale facesse riflettere i nostri fratelli in buona fede che la bandiera della «nostra» pace non è policroma e accattivante, non ha tante linee colorate e soprattutto non le ha solo orizzontali. La nostra bandiera è essenziale, è senza colori — semmai ha solo il rosso del Sangue versato per la nostra Redenzione — ed ha solo due linee: una è orizzontale come la loro, ma l’altra è verticale, perché una terra senza cielo è una terra senza pace, una terra perennemente in guerra.
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Infine, a Natale, quando torneremo nell’abbazia a vedere il bellissimo presepe, vorremmo tanto che, insieme alla evidente scritta che compare sulla striscia azzurra stesa sulla capanna e sostenuta da due Angeli, «Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis», ce ne fosse un’altra, sullo sfondo, magari leggibile con difficoltà ma pur leggibile: «Ecce ancilla domini. Fiat mihi secundum verbum tuum». Perché proprio da laggiù, da quello sfondo, inizia il cammino umano verso l’unica ed autentica pace. Sarebbe l’augurio più bello: da lì e solo da lì, Buon Natale a tutti.
Guido Verna
7-12-2003
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