La compassione è la madre della carità. E’ la virtù che ci fa compatire, ossia partecipare al dolore degli altri: la compassione altro non è che amore offerto a chi soffre, perchè chi soffre da solo soffre due volte.

Se volessimo incarnare la compassione con un esempio contemporaneo,  proporremmo Santa Teresa di Calcutta, “Madre della Compassione” come viene chiamata. E qui vogliamo trattare appunto della compassione per gli ammalati.

Nei tempi recenti e fino ad oggi, nessuno vuole essere oggetto di compassione, non tanto perchè conseguente ad un proprio stato evidentemente “compassionevole”, ma perchè  vuol dire in sè non corrispondere al modello di vacua perfezione che ci viene proposto, che comprende naturalmente anche la salute perfetta.

Considerata la presenza massiccia dei media nella nostra vita, semprechè al di fuori  dell’azione dei medesimi se ne possegga ancora una, va tristemente rilevato quanto questi abbiano contribuito alla svalutazione del dolore altrui e quindi della compassione.

Su molte reti, a livello mondiale, riscuotono un grande successo alcune serie di programmi che hanno per protagonisti persone afflitte dalle più rare malattie  (specie di conformazione, che sono le più evidenti), oppure malati psichiatrici gravissimi (persone che mangiano quanto di più repellente esista o che si relazionano solo con oggetti inanimati, etc.) o affette comunque da patologie di rarissime specie e gravità.

Nel corso di questi programmi, si indaga nella vita degli ammalati con una minuziosità degna di migliori cause, scandagliando i loro problemi più riposti, di cui si parlerebbe con poche ed intime persone. Dettagli penosi sull’inizio della loro malattia, sui primi allarmanti sintomi, sulle difficoltà da affrontare quotidianamente, sulle controindicazioni a volte drammatiche dei medicinali che devono assumere, e molto altro viene divulgato presso il popolo del telecomando: questa mini indagine, a monte di questo articolo, ha comportato momenti di sincero patimento a chi l’ha svolta  e c’è da crederlo.

La proposta continuata di tante e particolari sofferenze comporta, come primo effetto deleterio, l’assuefazione alla sofferenza altrui, che entra nel quotidiano e proprio per questo perde il suo carattere di particolarità, si banalizza e smarrisce la dignità che merita. Proposta da un mezzo così familiare, purtroppo la sofferenza altrui diventa tanto quanto un altro qualsiasi spettacolo da seguire.

E questo, per quanto sorprendente possa apparire, non è l’effetto peggiore.

I tedeschi usano questa parola: schadenfreude. Il termine deriva da Schaden (“danno”) e Freude (“gioia”) ed è entrato, nella sua formulazione originale, nel lessico degli addetti ai lavori di tutto il mondo. Vuol dire godere delle disgrazie altrui. “Compiacimento malevolo verso il prossimo”. Insomma, una sorta di arresto cardiaco spirituale..anzi, un’inversione del battito cardiaco spirituale.

Per omettere ulteriori e dettagliate spiegazioni, Albert Speer descrive l’umorismo di Hitler come basato esclusivamente sulla schadenfreude, e lo fa nel suo “Memorie del Terzo Reich”.

L’enorme gradimento dei programmi televisivi improntati sulla sofferenza altrui pare sia dovuto, a dire delle emittenti, al compiacimento di essere sani sperimentato dagli spettatori (quasi fosse un loro merito), dalla curiosità morbosa sollecitata da certi particolari della vita degli ammalati e, in primis, dalla schadenfreude.

Schiere di persone che alimentano i loro malesseri scrutando il dolore altrui (chi gode della sofferenza degli altri  ha perlomeno una bassissima autostima di sè, dicono gli esperti), analizzando il disagio profondo di una vita vissuta in un corpo deforme si appagano, vagliando le patologie mentali di altri fratelli e sorelle si compiacciono di sè stessi.

Qualcosa di prossimo alla compassione? Evidentemente no, anzi il suo contrario. San Paolo in Romani 12, 15 ci esorta a piangere con quelli che sono nel pianto: la televisione, devastatore delle genti, ci favorisce nel  godere dello strazio altrui.

Sembrerebbe una situazione senza speranza ma, per la grazia di Dio infusa in tantissimi uomini e donne,  ci sono luoghi in cui il dolore viene alleviato, rispettato e riconosciuto come valore inestimabile. Sono gli Ospedali di Madre Teresa, dei  Fatebenefratelli, il Cottolengo di Don Orione, le Cappellanie ospedaliere dei Francescani, gli ospedali dei Camilliani e molti altri, che brillano di opere che risplendono nel mondo. In quei luoghi vivono persone  giovani e non, di ogni nazionalità e lingua che, accomunati nell’amore per Gesù Cristo che è Origine, Compendio e Maestro insuperabile di tutto il bene dell’Universo, spendono la loro vita al servizio dei sofferenti.  Il buon Samaritano esiste ancora, numerosissimo, e continua a versare olio e vino sulle ferite del sofferente. Prevale e sempre prevarrà sulle antenne biforcute che vorrebbero crivellare il nostro cielo, sollecitando le nostre turpitudini, alimentando le nostre deformità spirituali. Ma la locanda resterà sempre aperta per accogliere il sofferente: in terra presso gli uomini e le donne di buona volontà, in Cielo nel Cuore di Cristo e della Salus Infirmorum, nostri veri Medici e soavissimi medicamenti.

Carla Vanni

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