I Beati di oggi
26 settembre
Aurelio da Vinalesa e 16 Compagni
Frati cappuccini e Monache cappuccine Martiri
1936 Spagna
“le cose di questo mondo passano, l’amore non passa”
Aurelio da Vinalesa
“Viva Cristo re!”
È il grido con il quale molti cristiani hanno preferito perdere la vita anziché rinnegare Gesù durante la persecuzione in Spagna negli anni 1931-37. Molti sono stati beatificati e canonizzati in date diverse.
“L’esperienza dei martiri e dei testimoni della fede non è caratteristica solo della Chiesa degli inizi, ma connota ogni epoca della sua storia. Nel secolo XX, poi, forse ancor più che nel primo periodo del cristianesimo, moltissimi sono stati coloro che hanno testimoniato la fede con sofferenze spesso eroiche.
Quanti cristiani, in ogni continente, nel corso del Novecento, hanno pagato il loro amore a Cristo anche versando il sangue! Essi hanno subito forme di persecuzione vecchie e recenti, hanno sperimentato l’odio e l’esclusione, la violenza e l’assassinio. Molti Paesi di antica tradizione cristiana sono tornati ad essere terre in cui la fedeltà al Vangelo è costata un prezzo molto alto” (Giovanni Paolo II Omelia alla Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del secolo XX, 7 maggio 2000).
I martiri di oggi
È ricordato oggi Aurelio da Vinalesa con altri undici frati cappuccini e cinque monache cappuccine, facenti parte del gruppo dei 233 martiri beatificati l’11 marzo 2001 da Giovanni Paolo II.
Aurelio
nacque il 3 febbraio 1896 a Vinalesa (Valencia). Vestì l’abito cappuccino nel 1912 ed emise la professione perpetua il 18 dicembre 1917. Ordinato sacerdote il 26 marzo 1921, ebbe l’incarico di direttore dello Studentato di filosofia e teologia dei Cappuccini a Orihuela (Alicante), ufficio che svolse con prudenza e soddisfazione generale fino alla morte. Fu anche docente nel seminario diocesano della stessa città e definitore provinciale. Lavorò molto all’animazione del Terz’Ordine Francescano.
Il martirio
Aurelio non riteneva il martirio un’ipotesi lontana. Era pronto a vivere come a morire. In una lettera a un seminarista manifesta i pensieri e i sentimenti che lo animano:
“Tutto passa fuorché amare Dio. Non so cosa il Signore voglia disporre per me, ma nel caso che Egli volesse scegliermi come vittima, voglio indirizzarti qualche parola di affetto e di ammonizione, scaturita dal più profondo dell’anima. Nel momento in cui ti scrivo si stanno perseguitando come nemici irriconciliabili coloro che sono fratelli, perché sono nati sul medesimo suolo ispano e sono stati allattati con il latte di una stessa fede. E il furore della lotta fratricida è giunto ad un tale estremo che dappertutto non si vedono che rovine e morte, specialmente nella Chiesa di Dio, che adesso è crudelmente crocifissa nella patria, come lo fu Lui sul Calvario.
Cosa dobbiamo fare, o cosa dovranno fare quelli che rimarranno dopo questa terribile ecatombe? Per quanto riguarda i ministri di Dio, essere santi come Dio è santo. E tu, come tradurrai nella pratica questa espressione? Sarai sacerdote, e ora seminarista, che viva dello spirito di fede, che faccia quel che faccia, di grande o di piccolo (secondo le grazie prescelte che Dio ti concederà), lo riferisca tutto e sempre a Dio con la più pura intenzione di piacere a Lui, cercando in tutte le tue opere l’amore di Dio.
D’altra parte, l’amore di Dio ci renderà tutto dolce, superabile e facile, perché è più forte della morte, e sopraggiungendo questa, ti seguirà fino nell’eternità beata. Perché se le cose di questo mondo passano, l’amore non passa.”
Fama di santo
“Tra i fedeli godeva fama di santo – disse di lui il sacerdote Operaio Diocesano D. Pascual Ortells – e a tale fama univa anche quella di saggio. Era fedele osservante di tutte le regole di san Francesco, e s’impegnava in modo totale nell’aiutare i suoi giovani in maniera che fossero perfetti religiosi”.
Durante la persecuzione del 1936
Tutti i religiosi del convento di Orihuela vennero dispersi ed anche Aurelio dopo il 18 luglio 1936 fu costretto ad abbandonarlo. Egli cercò rifugio nella casa paterna a Vinalesa, nella quale, il 28 agosto, fu catturato dai miliziani e portato con altri tredici cattolici del paese, in un burrone presso Foyos, che fu il luogo della sua morte.
L’esecuzione
Prima di essere ucciso esortò tutti compagni a ben morire. Si confessarono ed ebbero da lui l’assoluzione. Li esortò: “gridate forte: Viva Cristo Re!” e cadde crivellato insieme con loro con questo grido di amore a Cristo, il 28 agosto 1936. Il suo corpo fu sepolto nel vicino cimitero di Foyos (Valencia). Passata la guerra civile, i suoi resti furono esumati e trasportati nel cimitero di Vinalesa il 17 settembre 1937. Attualmente riposano nella cappella dei martiri cappuccini del convento della Maddalena di Massamagrell.
Il gruppo
Condividono il martirio con Aurelio altri undici confratelli, più cinque monache cappuccine, sacrificati in diversi luoghi dell’Arcidiocesi di Valencia. Infatti i religiosi, cacciati dai loro conventi, nella maggior parte dei casi cercarono rifugio presso i loro parenti, con la speranza di una maggior sicurezza e anche di difesa da parte dei concittadini, ma molti di essi incontrarono ugualmente il martirio, perché religiosi, ad opera dei locali comitati rivoluzionari o con la loro connivenza.
Fedeli fino alla morte
Dal momento della cattura fino alla morte, P. Aurelio visse nella disponibilità interiore mantenendosi in tutto fedele a Cristo. Il giorno della strage “Conservò la serenità fino all’ultimo momento – dice di lui Rafael Rodrigo, sopravvissuto e testimone del suo martirio – incoraggiando tutti noi che stavamo per morire. Quando tutto era ormai pronto per l’esecuzione, ci esortò a recitare la formula dell’atto di contrizione. Così facemmo; e quando il Servo di Dio stava recitando la formula dell’assoluzione un miliziano gli diede due schiaffi. Uno del gruppo dei miliziani disse al compagno di non schiaffeggiarlo più, perché non ne valeva la pena, dato il tempo di vita che ci restava. Il Servo di Dio rimase inalterato di fronte all’ingiuria e continuò l’assoluzione sino alla fine. Appena il Servo di Dio ebbe terminato il suo sacro dovere, risuonò una scarica e cademmo tutti ripetendo con lui il grido: <<Viva Cristo Re!>>”.
“Perdonali, Signore”
Nel 1931 dopo il colpo di Stato che depone il re Alfonso XIII viene proclamata la Repubblica e approvata la Costituzione “laica”. Subito comincia la persecuzione contro la Chiesa e la tradizione cattolica del popolo spagnolo. La persecuzione non ha motivazioni politiche, ma viene da ideologie incompatibili con la fede cristiana e quindi con la Chiesa e i suoi seguaci. Questi sono presentati e odiati come nemici della società e delle istituzioni.
Nella sola estate del 1936 i cristiani assassinati sono numerosissimi: laici cattolici che è impossibile contare, 4.184 sacerdoti diocesani, di cui 13 vescovi, 2.365 religiosi e 283 religiose. Molti affrontano la morte con espressioni esplicite di fede e con parole di perdono per i loro uccisori, molti sacerdoti chiedono di benedirli prima di essere assassinati; molti, feriti a morte, riescono a pronunciare le parole di Cristo in croce: “Perdonali, Signore, perché non sanno quello che fanno”.
A.,R.,settembre 2018 |
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