di Guido Verna

28 agosto 2010

(continuazione)

4. Come potevamo, allora, una volta sollecitati da “quelle” foto, non approfittare delle nostre consuete vacanze sulle montagne austriache per partecipare al Picnic di quest’anno? Certo, l’anno scorso ricorrevano i vent’anni e c’era tanta gente importante, anche la Signora Merkel. Ma pure un anno dopo l’emozione è forte e ci contentiamo.

Raggiungiamo la nostra meta passando da Sopron — la città dove il cardinale Mindzenty fu tenuto prigioniero dai nazionalsocialisti e nella quale vide entrare e “operare” le truppe “liberatrici” socialcomuniste [cfr. JM, p.39] —, con qualche difficoltà per la totale assenza di indicazioni (solo una freccia a sinistra che indica il Picnic, sulla strada per Fertöràkos). All’ufficio turistico sanno del posto, ma non hanno altro da darci che una generica cartina, che nemmeno lo comprende e da cui si ricava solo la direzione da prendere.

Sono le dieci di mattina e c’è solo qualche visitatore. Il monumento di pietra bianca, che si alza laggiù sul prato verde, ci appare molto bello. Ma non è un giudizio “tecnico”, bensì il tentativo di tradurre in termini estetici la sensazione di calore umano che ci avvolge nel vedere descritta con la pietra un’umanità composita, vecchi e giovani, che riemergono dai sotterranei bui del palazzo crollato del comunismo, e che ancora forti, sorridenti e commossi, salgono abbracciati le scale della libertà e tornano fuori a guardare l’orizzonte. Il pezzo di muro di Berlino incastrato sulla cornice del timpano frontale è l’unico elemento grigio, e mostra — spiega un pannello — come quello che è accaduto qui”.abbia accelerato la riunificazione dell’Europa, e, infine, portato alla caduta del muro di Berlino nella capitale divisa della Germania.

La Fountaine of honour, il monumento regalo dal Giappone — l’unica nazione non direttamente interessata che, peraltro, sembra aver contribuito al Picnic — è una sorta di gazebo in legno, con cinque cuspidi, ed è decisamente meno “comprensibile”; ma anche la colonna lignea “Memorial” degli organizzatori non è entusiasmante, per la sua somiglianza ad un totem.

I monumenti più emozionanti, però, sono i due massimamente “realistici”. Ci incamminiamo sulla stradina di ghiaia lungo la quale sono i dodici pannelli illustrati che ricordano i vari momenti del Picnic, l’originale e il ventennale. A metà circa di questo percorso della memoria, incontriamo il primo di essi: un pezzo di filo spinato di “allora”, lasciato così com’era.

Alla fine, troviamo il secondo: il traliccio sul quale era ricavata la torretta di controllo su cui operavano i soldati comunisti col mitra e il binocolo. La panchina di legno sotto di esso — incombente ma se Dio vuole non più terrorizzante — è l’occasione per riflettere un po’ e indirizzare una preghiera riconoscente alla Madonna di Fatima. Non abbiamo viveri, ma non rinunciamo al nostro picnic, accontentandoci delle poche more mature che ci offrono i rovi lì intorno.

Solo un tendone bianco di plastica lascia presumere che avverrà qualcosa. Un signore che sta lì intorno ci informa che il Picnic avrà inizio alle 17. Torniamo, allora, nella vicina Sankt Margarethen, percorrendo una strada quasi tutta dritta, tra campi coltivati così orizzontali da lasciar già presumere la puszta, fino alla rotonda nell’intersezione con la strada principale. Anche qui, purtroppo, verifichiamo la totale assenza di indicazioni.

La Odenburgerstrasse, cioè la strada da cui veniamo, secondo le frecce variamente colorate porta a caffè, vinerie, Freizeitzentrum, privatzimmer, ma non al Picnic. Come spesso accade in Italia, anche in questo piccolo paese austriaco sembra vigere la rimozione della memoria, almeno quando non è congrua con la Vulgata politicamente corretta.

Attraversando il centro di Rust — il paese delle cicogne — per la visita alla Chiesa dei pescatori e il pranzo nello stesso Heurigen di un quarto di secolo fa, verifichiamo che la crescente denatalità europea qui appare simbolicamente evidente: le disoccupate cicogne sembrano molto più numerose di allora, svolazzanti e rumorose o in piedi, quasi presuntuose, nei loro nidi sugli alti trespoli in corrispondenza dei camini.

Quando, all’ora giusta, torniamo alla “nostra” frontiera, sui prati c’è già qualcuno. Il tendone è aperto e dentro ci sono sedie e tavoli disposti a mo’ di sala conferenze. E’ pronto un palchetto con le bandiere dell’Austria, della Germania e dell’Ungheria. C’è anche una Trabant giallina, esposta pro memoria, nel cui interno una sorta di bandiera stesa sui sedili ne identifica la proprietà: Lions Club Sopron.

 

Man mano arrivano le televisioni locali e gli altri partecipanti. Alla fine saranno poco più di un centinaio, con non molti giovani. Si comincia con gli inni nazionali e poi con i discorsi ufficiali, nelle due lingue, da parte di due signori in abito scuro e una signora vestita di bianco. Non è disponibile un programma scritto e non riusciamo a sapere, per i nostri imperdonabili deficit linguistici, né i nomi né le funzioni degli oratori.

Poi, ciascun delegato porta i fiori alla base della colonna simile a un totem.

Infine, con una sorta di processione laica, si va fino al grande monumento bianco, a depositare un mazzo di fiori.C’è un bel sole e la gente è compostamente felice. Una giovane e altissima signora ha gli occhi pieni di lacrime, mentre il vecchio soldato in divisa si fa accompagnare dalla moglie intorno al monumento.

Si torna sotto il tendone dove uno storico (o un politico, che somiglia molto a Imre Pozsgay) presenta un libro. Ci offrono garbatamente una bottiglietta di acqua. Il tempo di berla e il nostro Picnic finisce, perché l’oratore non è brevissimo e le altre persone dietro il tavolo lasciano presumere un pomeriggio troppo lungo per quel che resta della nostra disponibilità di tempo.

Fuori non ci sono né bande di ottoni né odore di salsicce né cavalli e cavalieri austriaci. E temiamo che non arriveranno.

Quando andiamo via, qualcuno ci guarda incuriosito: forse ha capito che siamo gli unici del “resto del mondo” che hanno partecipato al loro Picnic. Non ci sentiamo orgogliosi. Anzi, ci vergogniamo un po’…

Andiamo via, però, con una grande ombra: non abbiamo trovato — speriamo che sia solo una nostra disattenzione — nessun simbolo sacro, almeno della sacralità cristiana e “europea”. Eppure a Fatima, la Madonna forse ci ha messo qualcosa di Suo …

(fine)

——–

[JM] [József Mindszenty, Memorie, trad. it., Rusconi, Milano 1975]

[Benedetto XVI] Discorso del Santo Padre Benedetto XVI, Sulmona, 4 luglio 2010, per l’incontro con i giovani nella Cattedrale di Sulmona, in occasione della Visita pastorale.

http://www.totustuus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=3480

[TF] [Thomas Flemming, Il muro di Berlino. Una città divisa in due, trad. it., Be.bra verlag, Berlino 1999]

[JM] [József Mindszenty, Memorie, trad. it., Rusconi, Milano 1975]

[WKP] http://it.wikipedia.org/wiki/ Picnic_paneuropeo, visitato il 28-08-2010.

[WAL] Clemente Vanenti, Il Picnic e il Muro, intervista a Walburga von Absburg, Una città n. 37/1994 Dicembre, in

http://www.unacitta.it/newsite/intervista_stampa.asp?rifpag=homepaginestoria&id=721&anno=1994, visitato il 28-08-2010.

Cfr. anche

http://www.youtube.com/watch?v=tRzOdjfRnQo

http://www.youtube.com/watch?v=n2ArthQUxe4&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=9NXLJb8DPy4&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=Zugooeej6lg&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=oywBofXgJSU&feature=related

eccetera

Intervista di Nicholas Brautlecht a Bella Arpad, ufficiale delle truppe di confine ungheresi il 19 agosto 1989 – Picnic per la libertà – Goethe Institut, Febbraio 2009 in

http://www.goethe.de/ges/pok/dos/dos/mau/auf/it4236972.htm, visitato il 28-08-2010

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