I Beati di oggi

18 agosto

 

Gian Luigi, Protasio e Sebastiano

 

 

 

Frati Cappuccini martiri

Gian Luigi, anni 74

Protasio, anni 47

Sebastiano, anni 45

 

“Ci stimavamo felici di essere stati scelti a preferenza di tanti altri per poter imitare il nostro divino Maestro”.

Claudio Masson

 

 

1794

Tra gli oltre ottocento preti e religiosi ammassati e morti sui famigerati “Pontons de Rochefort”, ormeggiati presso l’isola d’Aix, durante la Rivoluzione francese, ci sono anche diversi frati cappuccini.

Jean Louis, Protasio e Sebastiano si trovano insieme a più di quattrocento altri deportati, letteralmente ammucchiati sul naviglio “Deux Associés”, Lager ante litteram. Dieci persone possono disporre di una gavetta lurida e un cucchiaio di bosso, i fortunati, per un pasto di carne avariata, merluzzo e fave grosse. Alla fame si aggiungono tormenti di carattere igienico e sanitario, con debiti insulti. Un fischietto ordina l’ora del riposo: tutti sotto coperta come acciughe in un barile. La notte anticipa le camere a gas di qualche secolo più tardi: viene fatto esplodere un barilotto di catrame, che disinfetta l’aria, ma ha qualche piccolo effetto collaterale: molti muoiono soffocati. Al mattino però si può respirare aria buona del mare con un passaggio non esattamente graduale di temperatura: dall’aria surriscaldata e bruciata a quella fredda e umida del ponte della nave.

La sofferenza più grave è non poter avere libri per pregare. Qualcuno ha trovato il modo di portare qualche libro, olio santo, ostie consacrate. In quella cloaca infetta i martiri si scambiano i sacramenti che li fortificano per affrontare la morte con gioia.

Una vecchia goletta raccoglie come un’infermeria malati e infettati terminali, ma senza medici né medicine, in attesa che la morte faccia il suo corso. Un canotto trasporta la dozzina di cadaveri quotidiani, completamente spogliati, sulle rive sabbiose dove alcuni dei prigionieri ancora in discreta salute devono seppellirli nella sabbia.

Gian Luigi

Figlio del direttore e tesoriere della Zecca di Borgogna, aveva una strada aperta davanti a sé, ma a vent’anni si è fatto cappuccino. Si dedica con umiltà alla salvezza delle anime, particolarmente nelle confessioni. Il popolo semplice e i poveri sono i suoi prediletti; ma anche persone di riguardo e importanti sono attratte dalla sua affabilità e dalla sua fede. Sarebbe difficile enumerare le conversioni da lui operate e le anime riportate a Dio in tutte le classi sociali.

È arrestato il 3 febbraio 1793 con altri 66 sacerdoti. Di carattere allegro e  vivace, infonde coraggio ai compagni di sventura. Claudio Masson, sopravvissuto, testimonia:

Il Padre Jean Louis, “pur essendo un vegliardo, era diventato la gioia di tutti. Egli infatti cantava ancora come un giovane di trent’anni, cercando così di alleviare le nostre sofferenze, nascondendo le sue che lo stavano terribilmente consumando. Egli morì serenamente come aveva sempre vissuto. Infatti il mattino del 19 maggio 1794, i deportati, al risveglio sotto coperta, trovarono questo eccellente religioso morto in ginocchio al suo posto, e nessuno avrebbe pensato che soffrisse qualche malattia … vedendolo in questa umile posizione, … sembrava davvero che pregasse, ed era morto nell’atteggiamento di chi supplica”. È il primo dei cappuccini che muore a Rochefort.

Protasio

È superiore nel convento di Sotteville vicino a Rouen e segretario provinciale, quando il 10 aprile 1793, dopo la perquisizione della casa e il sequestro di manoscritti e libri, è  arrestato e sottoposto a interrogatorio, autentica presa in giro, da parte di due “Cytoiens”. Il testo è conservato. Il padre Protasio risponde con molta libertà, ma è esplicito nel dichiarare di aver rifiutato più volte di firmare la costituzione civile del clero e di voler seguire fedelmente la sua vita religiosa. È reticente e attento a non svelare nomi di altre persone. Non dà spiegazioni su documenti, circostanze, luoghi e persone presso cui è andato a celebrare l’Eucarestia. È il suo eroismo. A lui interessa la fede integra, semplice, lucida. Non c’è nessun atteggiamento politico.

L’effetto è però immediato: egli è subito rinchiuso nell’antico seminario di Rouen-Saint Vivien utilizzato come casa di detenzione provvisoria. Il 10 gennaio 1794 la sentenza: il “cittadino”’ Jean Bourdon (Padre Protasio) è condannato ad essere deportato alla Guyane per aver celebrato la Messa illegalmente e aver detenuto documenti sospetti. Finisce con gli altri a Rochefort sul naviglio “Deux Associés”, dove muore di male contagioso nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1794.

Un sopravvissuto testimonia: “Era un religioso di grande merito ed encomiabile sia per le sue iniziative a favore dei confratelli deportati, sia per le sue capacità fisiche e morali di cui era dotato, sia soprattutto per la sua fermezza nella fede, la sua prudenza, equilibrio, regolarità e altre virtù cristiane e religiose”.

 

Sebastiano

“Qualche tempo prima il Signore aveva manifestato la santità di uno dei suoi servi, il padre Sebastiano, cappuccino di una casa di Nancy, che era arrivato per morire poi su una barca”.

 Sebastiano è stato confessore, anche in lingua tedesca, e poi attivo e apprezzato collaboratore di vari sacerdoti e parroci.

Con la sua comunità è obbligato a risiedere nel convento di Chatel-sur-Moselle. Questi frati, espulsi perché rifiutano di partecipare a una processione guidata da un parroco che ha firmato la Costituzione civile del clero, sono accolti e aiutati dalla popolazione. Il 9 nov. 1793 P. Sebastiano è arrestato e con altri 47 preti e religiosi, il 28 aprile 1794, arriva alla goletta dove muore qualche mese dopo, il 10 agosto.

 “Lo si vide una mattina in ginocchio, con le braccia in croce, con gli occhi rivolti verso il cielo, con la bocca aperta. All’inizio ci facemmo poca attenzione, perché si era abituati a vederlo pregare così, anche nel corso della sua malattia. Passa una mezz’ora, e ci si meraviglia di vederlo sempre in una posizione così scomoda e così difficile da mantenere in quel momento, perché il mare era un po’ agitato e la barca ondeggiava forte. Si pensò all’inizio che fosse in estasi e ci avvicinammo per osservarlo più da vicino; ma dopo aver toccato la sua faccia e le mani, ci rendemmo conto che aveva reso l’anima a Dio in quella posizione…Chiamammo allora i marinai della nave, che, a quello spettacolo, non poterono trattenere grida di ammirazione e lacrime. La fede si risvegliò allora nei loro cuori: e molti di loro, mettendo a nudo le braccia mostrarono a tutti la figura della croce, incisa nella carne con una pietra rovente; e fermamente presero la risoluzione di ritornare alla religione che avevano abbandonato”.

 

 

Ci si può chiedere:

“Ma perché rimestare queste cose tristi? Quando finirà l’uomo di farsi tanto male?”.

Quando l’uomo decide di mettere ordine con la violenza, fa pagare la stessa pena, indifferentemente, a chi fa le ingiustizie e a chi le subisce. Dunque fa un’ingiustizia. L’uomo è capace di capire e libero di scegliere. E le scelte hanno le loro conseguenze. I martiri vivono e propongono un’altra logica: il perdono che Dio offre a tutti e che loro hanno dato agli uccisori. Questa logica fa la vera pace.

Queste storie vengono riportate perché i protagonisti ci lasciano un insegnamento. Scrive ancora Claudio Masson:

 “I nostri carcerieri ci consideravano come rifiuti della natura, che avevano perduto qualsiasi diritto di fronte all’umanità, e che potevano essere calpestati come insetti spregevoli, senza per questo andare contro la giustizia.

 Dio permetteva questa quotidiana scena di strazio per aumentare il premio delle nostre sofferenze, facendoci dono in tal modo di una più perfetta somiglianza col suo Figlio divino nella sua passione. Niente ci consolava nella nostre sofferenze, niente ci dava forza nelle nostre prove quanto il pensiero di Gesù che regna nel cielo e che dall’alto del suo trono seguiva i nostri combattimenti; lui che prima di noi e per noi, era stato legato, flagellato, schiaffeggiato, coperto di sputi, coronato di spine, abbeverato di fiele e aceto, inchiodato sulla croce, ai piedi della quale i suoi nemici l’insultavano e lo maledicevano.

Questa visione spirituale del nostro Redentore faceva scendere nei nostri cuori una dolcezza ineffabile: allora non vedevamo quello che era intorno a noi se non come motivo di una solida gioia. Ci stimavamo felici di essere stati scelti a preferenza di tanti altri per poter imitare il nostro divino Maestro. …”.

 

 

 

Citazioni da Sulle orme dei santi, a cura di Costanzo Cargnoni, Roma 2012.

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