di Carla Vanni
Ieri, 2 agosto 2018, il Santo Padre ha approvato la nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica circa la pena di morte. Questa estrema applicazione della legge, inflitta solo per il tentato omicidio del Papa, è stata legale nella Città del Vaticano dal 1929 e cancellata dalla Legge fondamentale il 12 febbraio 2001, su iniziativa di San Giovanni Paolo II.
Questa extrema ratio ha trovato il supporto, seppure mai soddisfatto, in autorevoli teologi del primo periodo della Cristianità ma anche successivamente.
Sant’Ambrogio, magistrato e Console di Milano eletto dal popolo Vescovo di quella città, era favorevole e si attivò perché la legge capitale fosse mantenuta. Il suo più illustre discepolo, Sant’Agostino, parla della pena capitale nella sua opera “La Città di Dio” : “Dal momento che l’autorità agente è una spada nelle mani [di Dio], non vi è contrarietà nei confronti del comandamento “Non uccidere” per quanti rappresentano l’autorità dello stato e mettono a morte i criminali”. Ma per il Vescovo d’Ippona applicare questa legge non era operazione indolore: verso gli eretici Donatisti, che contrastò con grande energia, si mostrò invece misericordioso e chiese a Marcellino di risparmiarli dalla estrema sentenza: “Riguardo poi al castigo da infliggere loro, benché abbiano confessato si orribili delitti, ti prego che non sia la pena di morte, non solo per la pace della nostra coscienza, ma anche per mettere in risalto la mansuetudine cattolica.”
Tommaso d’Aquino e Duns Scoto affermarono che la legittimità della pena di morte era già testimoniata dalle Sacre Scritture.
Il Catechismo romano del 1566 codificava l’insegnamento che Dio ha concesso alle autorità civili potere sulla vita e sulla morte. Anche i Dottori della chiesa Roberto Bellarmino e Alfonso Maria de’ Liguori ed i teologi Francisco de Vitoria, Tommaso Moro e Francisco Suárez condivisero questo orientamento.
Nel 1870, la pena di morte fu abolita a seguito del disfacimento dello Regno Pontificio: Agabito Bellomo, condannato per omicidio, fu l’ultimo giustiziato il 9 luglio 1870.
Nel 1929, ritornando alla Santa Sede il possesso di un territorio proprio, fu necessario ripristinare anche le leggi temporali. Nel 1926, il regno di Italia emanò una legge che prevedeva la pena di morte per il tentato assassinio del re o per l’incitamento a commettere atti violenti sulla sua persona: lo Stato della Città del Vaticano emanò una legge analoga per gli stessi atti compiuti sulla persona del Papa e quindi puniti anch’essi con la pena capitale.
Dopo la firma dei Patti Lateranensi, Papa Pio XI emanò la “Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano”, definendo la pena di morte applicabile al solo caso di tentativo di omicidio del Papa: non ci furono mai tentativi di omicidio del Papa e la Città del Vaticano, e con essa il Regno Pontificio, restano l’unica forma di monarchia assoluta al mondo a non registrare in alcun tempo l’assassinio del Regnante per mano di un suddito.
Nell’agosto del 1969, Papa Paolo VI abrogò la pena di morte dagli statuti vaticani relativamente a qualsiasi reato e San Giovanni Paolo II cancellò definitivamente la pena di morte dalla Legge fondamentale con motu proprio il 12 febbraio 2001.
Parlando di quella legge l’11 ottobre 2017 Papa Francesco, in occasione del discorso ai Partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, dichiarò che spesso nel passato la legge aveva prevalso sulla misericordia: “ Nei secoli passati, quando si era dinnanzi a una povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto un suo positivo sviluppo, il ricorso alla pena di morte appariva come la conseguenza logica dell’applicazione della giustizia a cui doversi attenere. Purtroppo, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia.”
La pena di morte e la sua applicazione vanno necessariamente contestualizzate: in realtà, paradossalmente la pena di morte si pensava servisse a preservare la vita. In assenza di efficaci mezzi di detenzione e di una visione sociale adeguata, purtroppo appariva quella l’unica via per tutelare la vita altrui. Oggi le strutture sono molto diverse ed è diversa anche la sensibilità sociale e sono stati colti appieno gli insegnamenti del Vangelo che Papa Francesco ha così ottimamente recepito.
“Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi.” Questa parte del testo del nuovo n.2267, che sottolinea ancora una volta un tratto vivissimo del pontificato di Papa Francesco. La misericordia, che tanto egli ha posto risalto anche con l’indizione dell’Anno Straordinario nel 2015/2016, può raggiungere il reo in qualsiasi momento della sua vita: è quindi doveroso non sottrarre alla persona, per quanto macchiata dal crimine più grave, la possibilità di ricevere la grazia del pentimento e della misericordia, privandola della vita che è solo nella mani del Padre Creatore.
Il Rescritto ribadisce anche l’impegno incessante della Santa Sede affinchè la pena capitale sia abolita in tutto il mondo.
Commenti recenti