di Guido Verna

«Gaude, Mater Hungaria »
Beato Giovanni Paolo II,
Udienza Generale, 28-08-1991

1. Il Santuario di Mariazell tra Pöcking e Vienna
2. Giovanni Paolo II a Mariazell: per Maria e per l’ “ospite”
3. Le lezioni di Dottrina Sociale dalle Memorie del Cardinale
4. Noi, pellegrini a Mariazell: le lampade a olio e la promessa
5. Il cero pasquale di Budapest, nella cattedrale di Santo Stefano
6. Esztergom: il premio per la promessa adempiuta
7. La via Pal, la via che non c’è più, e la Corona sacra che è tornata a “vivere”
8. Buda e la collina dell’Incoronazione
9. Le patrie del beato Carlo
10. Infine, nella Cripta dei Cappuccini… ma il cuore a Pannonhalma
11. Tout se tient 

La sepoltura del Cardinal Mindszenty

4. Noi,  pellegrini a Mariazell: le lampade a olio e la promessa

Nell’85 andammo. Fu una grande emozione, culminata con un Rosario sulla tomba del Cardinale. Lo dedicammo anzitutto alla libertà dell’Europa, ma anche a quella della nostra Italia, nella quale — utilizzando espressioni eufemistiche “lievi” e non grevi come forse i personaggi avrebbero meritato — cattolici totalmente diversi da Mindszenty operavano in politica senza mostrare nemmeno un briciolo della sua sensibilità percettiva rispetto alla ideologia comunista.

 

Di quella visita, conserviamo nitidamente nella memoria due ricordi. Il primo fu qualcosa che  ci lasciò interdetti: nella Messa, per la prima volta in vita nostra, vedemmo i fedeli comunicarsi prendendo la Particola in mano; ne ricavammo una sorta di fastidioso “disagio da incomprensione” ancora permanente, apparendoci questo “rifiuto” di mediatori come un gesto di presuntuosa autosufficienza dell’uomo nel suo rapporto con Dio, il massimo grado dell’individualismo. Tutt’al contrario, il secondo ricordo — a noi che venivamo dall’Italia gramscianamente “egemonizzata” — ci stupì felicemente e ci commosse: nella Ladislauskapelle, i lumi perennemente accessi erano alimentati dall’olio che ciascun land austriaco si era impegnato a fornire, ognuno per una o più nazioni ancora sotto il giogo comunista, fino al ritorno in esse della libertà. La Carinzia — per esempio e ovviamente con accoppiamenti a caso — si era fatta carico di alimentare il lume per la Jugoslavia, il Burgenland per l’Ungheria, il Tirolo per la Cecoslovacchia e così via. La fornitura di quell’olio che teneva in vita la fiammella della speranza per la libertà delle nazioni sorelle, ci sembrò un gesto partecipativo e solidale di imperiale nobiltà, un luminoso rovescio di medaglia rispetto alla Particola in mano. (Nulla cambierebbe in questo “senso”, se invece dei lumi fossero stati ceri. Nella memoria ho i lumi, ma la certezza da “diapositiva” non posso garantirla: il tempo può aver vinto parzialmente sui dettagli dei miei ricordi, ma di certo ha vinto definitivamente sulla pellicola ormai deteriorata e invisibile).

Partimmo da Mariazell, facendo una promessa — a suo modo interessata, molto interessata — al Cardinale: “verremo a ritrovarti nella tua casa definitiva, quando riposerai ad Estzergom”.

Quattro anni dopo accadde l’impensato e l’inatteso, ma non l’impensabile e l’inattendibile per chi aveva avuto fede e l’aveva custodita e alimentata con la ragione, per cogliere le crepe del sistema e dell’ideologia: nell’89, a novembre, il Muro venne giù e nel ’91 il comunismo finì anche nominalmente e simbolicamente. E non solo nella casa madre e nelle sue filiali dirette, ma anche in quella più strutturata e più ricca in campo avverso, quella italiana: a Mosca cadde il busto di Lenin, alla Bolognina Occhetto rottamò il nome, le falci e i martelli.

Nel ’91 anche il Cardinale, finalmente, fu libero di tornare a casa, ad Estzergom.

la statua del Cardinal Mindszenty ad Estzergom (Ungheria)

A Mariazell, dov’era la sua tomba, rimase a eterna memoria solo una lapide: «Josephus Cardinalis Minsdzenty […] Pannonia liberata – die tertio – mens. mai. – anno MCMXCI – In patriam suam revertit – Vixit et vivat».

I

la Cattedrale di S. Stefano a Budapest (Ungheria)

5. Il cero pasquale di Budapest, nella cattedrale di santo Stefano

Passò qualche anno prima che potessimo adempiere alla promessa: solo nel ’99, quattordici anni dopo, ci riuscì di andare in Ungheria, insieme ad un’altra coppia di amici.

Era la settimana di Pasqua e la messa In coena Domini del giovedì nella cattedrale di santo Stefano a Budapest rimane uno dei ricordi più vividi: la chiesa stracolma di fedeli, i canti perfetti e partecipati, le candele nelle mani di ognuno che via via si accendevano, poi il buio rischiarato solo da esse, la preparazione al Venerdì di Passione ma anche l’attesa della Risurrezione. Immaginammo anche l’emozione della Messa del sabato santo: altre candele che via via avrebbero preso luce dal Cero, la grande processione che sarebbe rientrata nella chiesa, riportando quella luce, fioca e tremolante ma pur sempre luce, dove s’era fatto buio; infine, la luce accecante dell’Exultet.

Quelle luci e quel buio erano metafore che — vissute insieme a “quel” popolo —  scioglievano il cuore e gli occhi.

Ci tornarono alla mente le fiammelle delle lampade ad olio di Mariazell alimentate dalla pazienza e dalla speranza degli uomini, ma anche e  soprattutto la grande lezione del Cardinale: «Quando poi il Kulturkampf ebbe inizio, ero perfettamente cosciente che cristianesimo e comunismo stavano per misurare le loro forze in uno scontro decisivo. Noi non dovevamo stare tanto a domandarci se saremmo riusciti vincitori; io avevo piuttosto l’impressione che il nostro compito più importante fosse questo: perseverare sul posto, suonare l’allarme alla cristianità, richiamare l’attenzione dell’umanità sulla minaccia del comunismo. Ero convinto di una cosa: il nostro dovere è quello di rendere testimonianza, di mantenere viva nella Chiesa la speranza in giorni migliori, che avrebbero portato quel che a noi era negato, e non essere mai opportunisti passando sopra agli interessi della religione» [JMI, p.112].

Quella notte, il Cardinale — che, per i lunghi anni della dittatura socialcomunista, col suo comportamento aveva rappresentato per “quel” popolo, ma anche per molti di noi, il cero pasquale sempre acceso malgrado i venti gelidi e impetuosi —  sarebbe stato certamente presente nel cuore di tutti, non solo in Santo Stefano ma in tutte le altre chiese ungheresi, compresa la cappellina dell’istituto religioso in cui noi nella stessa notte facemmo la veglia pasquale.

6 agosto 2011, Trasfigurazione del Signore

 

(continua il 4 agosto 2018)

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[JMI] József Mindszenty, Memorie, Rusconi editore, Milano 1975.

 

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