31 LUGLIO : SANT’IGNAZIO DI LOYOLA
Fondatore dei Gesuiti
Azpeitia (Spagna), 1491 – Roma, 31 Luglio 1556
Secondo la famiglia doveva essere prete, lui voleva fare il soldato. Ma pare che l’esperienza della malattia sia un’occasione di forte riflessione per trovare se stessi e la propria strada, come per Francesco d’Assisi, Camillo de Lellis… per citarne solo alcuni.
Iñigo
E’ l’ultimo dei sette figli di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona, del casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, con fortezza padronale, vasti campi, prati e ferriere.
Iñigo perde la madre subito dopo la nascita. Secondo il modo di pensare dell’epoca, sarebbe destinato alla carriera sacerdotale e nell’infanzia riceve la tonsura.
Ma egli preferisce la vita del cavaliere. Il padre prima di morire, nel 1506 lo manda ad Arévalo in Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re Ferdinando il Cattolico, perché riceva un’educazione adeguata. Il giovane accompagna don Juan come paggio, nei vari trasferimenti della corte, acquisendo le buone maniere.
Il cavaliere
Nel 1515 Iñigo viene accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subisce un processo che non sfocia in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi. È il suo temperamento: focoso, corteggia le dame, si diverte come i cavalieri dell’epoca.
Morto nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferisce presso don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio combatterà varie volte. Nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi, una palla di cannone lo ferisce ad una gamba. È il 20 maggio 1521. Trasportato nella sua casa di Loyola, subisce due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimane più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
Ma il Signore sta lavorando
Nell’anima di questo giovane irrequieto. Durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prende a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due libri ingialliti fornitigli dalla cognata, una Vita di Cristo e la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, un florilegio di santi.
Gradualmente comincia a provare un certo interesse a quei temi, ma la mente, non abituata a certi pensieri, gli va ricercando il mondo immaginoso e avventuroso delle letture precedenti, che gli piacciono… però: quando pensa alle cose del mondo è preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandona, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immagina di condividere le austerità praticate dai santi, allora non solo prova piacere mentre vi pensa, ma la gioia continua anche dopo.
Arriva a chiedersi:
“E se facessi anch’io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l’esempio di san Domenico?” Ed ecco la scoperta: l’unico vero Signore al quale si può dedicare la fedeltà di cavaliere è Gesù stesso. E Iñigo cercherà la gloria, non la sua ma quella di Dio.
Per iniziare questa sua conversione di vita, decide, appena ristabilito, di andare pellegrino a Gerusalemme dove è certo che sarà illuminato sul suo futuro. Parte nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona. Fa sosta all’abbazia benedettina di Monserrat. Qui fa una confessione generale, si spoglia degli abiti cavallereschi, veste quelli di un povero e fa il primo passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua.
A Barcellona il nuovo cavaliere non può entrare: c’è un’epidemia di peste. Si ferma nella cittadina di Manresa. Per più di un anno conduce vita di preghiera e di penitenza. È qui che, vivendo poveramente presso il fiume Cardoner, viene trasformato completamente da “una grande illuminazione”: fondare una Compagnia di consacrati.
Le meditazioni di questo periodo sono quelle che daranno origine ai celebri “Esercizi Spirituali”, la vera fonte di energia dei Gesuiti e dei loro allievi. Dopo quest’esperienza, invece che per Gerusalemme s’imbarca per Gaeta e Roma dove è ricevuto e benedetto dal papa, l’olandese Adriano VI. Forte di questa benedizione, si imbarca per la Terrasanta. Visita tutti i luoghi santificati dalla presenza di Gesù. Non gli viene permesso dal responsabile apostolico dei Luoghi Santi di fermarsi lì. Torna nel 1524 in Spagna. A 33 anni prende a studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà, a Salamanca, a Parigi. Nel 1535 consegue il dottorato in filosofia.
I primi compagni
Già nel 1534 Iñigo con i giovani maestri Pietro Favre, Francesco Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fa voto nella Cappella di Montmartre di vivere in povertà e castità. È il 15 agosto. Se non sarà possibile recarsi a Gerusalemme si metteranno a disposizione del papa, che deciderà il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla. Iñigo latinizza il suo nome in Ignazio, ricordando il santo vescovo martire S. Ignazio d’Antiochia.
La guerra fra Venezia e i Turchi impedisce il viaggio in Terrasanta. I compagni si presentano al papa Paolo III (1534-1549) che risponde: “Perché desiderate tanto andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa di Dio l’Italia è una buona Gerusalemme”.
Qui cominciano. Tre anni dopo Ignazio prende ad inviare i suoi compagni in tutta Europa, in Asia e altri Continenti.
È ordinato sacerdote nel 1537. Avvicinandosi a Roma con due compagni, sulla collina della Storta riceve la famosa visione del Sacro Cuore: “Propitius ero tibi Romae” (“Ti sarò propizio a Roma”): da qui i Gesuiti svilupperanno il culto del Sacro Cuore. E da qui decidono anche di rimanere per sempre nella capitale della Cristianità.
La guida
Da Roma, dove rimane per volere del papa, che ha approvato la “Compagnia di Gesù”, Ignazio coordina l’attività dell’Istituto, nonostante gravi problemi di salute. Limita a quattro ore il sonno. Vive di lavoro fitto, meditazione e celebrazione della Messa.
Per favorire il cammino spirituale dei suoi, lascia un testo prezioso, conosciuto come “Autobiografia”, nel quale racconta la sua vita, la vocazione e la missione. Vi si presenta in terza persona, con il nome di “pellegrino”. Apparentemente è la descrizione di lunghi viaggi o di esperienze curiose e aneddotiche, ma in realtà è la descrizione di un pellegrinaggio spirituale ed interiore.
Il 31 luglio 1556 il soldato di Cristo muore in una modestissima camera della Casa situata vicino alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
La Compagnia
I suoi, canonicamente denominati “Chierici regolari”, non sono frati né monaci. La Compagnia, militante al servizio della Chiesa, tiene conto del necessario dinamismo di un apostolato in un mondo in rapida trasformazione spirituale e sociale ed è caratterizzata da una grande mobilità dei suoi membri. Ignazio considera essenziali la preparazione e il serio aggiornamento culturale dei suoi compagni.
La spiritualità
Abbandono alla volontà di Dio nell’assoluta obbedienza ai superiori; profonda vita interiore alimentata da costanti pratiche spirituali, nella mortificazione dell’egoismo e dell’orgoglio, nello zelo apostolico, nella totale fedeltà alla Santa Sede. Un voto speciale: non aspirare a cariche e dignità ecclesiastiche.
L’alto numero di martiri della Compagnia testimonia e conferma che la vocazione gesuitica è nativamente missionaria, nonostante i pericoli e le persecuzioni, “per la maggior gloria di Dio”.
NOTA: Non per formalità, va detto che questa pagina è sfacciatamente insufficiente. Si accontenta dell’ambizione di stuzzicare la curiosità sul personaggio e la sua Compagnia.
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