di Guido Verna

 

 

L’operazione di tenere per un po’ di tempo i giornali fermi su un tavolo e poi, un certo giorno, farli scorrere in successione, può risultare foriera di informazioni ulteriori rispetto alla lettura quotidiana delle notizie, in genere frammentata e convulsa, e non solo per limiti soggettivi; in altre parole, la pratica di questo artificio permette — qualche volta — di cogliere elementi di “quadro” altrimenti difficilmente percettibili per la loro maliziosa impalpabilità. Proviamo ad applicarla con i giornali di quest’ultimo mese.

La Gruber [Il Giornale, 19-02-2000, p.10] per andare in video e trasmettere i risultati elettorali dall’Iran deve mettere il chador, ma l’8 marzo si getta veleno sulla condizione della donna nella cultura cattolica.

In Cina [CDS, 15-02-2000] viene arrestato un arcivescovo della Chiesa cattolica di 81 anni, che aveva già passato 26 anni in un campo di lavoro, e va a fare compagnia agli altri sette già carcerati; in Italia si riceve con tutti gli onori il premier cinese.

Veltroni gira per l’Africa e scopre la condizione terribile in cui versano tanti popoli distrutti dall’AIDS, ma la colpa è dei missionari cattolici che vanno a dividere le sofferenze e a morire con loro, senza aiutarli nell’uso del profilattico.

I condannati a morte giustiziati in Cina sono più di un migliaio l’anno (da Amnesty International: «nel 1996 [...] emesse 6100 condanne, eseguite 4367; nel 1997 .. eseguite almeno 1644 condanne») contro il centinaio degli Stati Uniti («98 condannati a morte giustiziati nel 1999»); ma Oliviero Toscani va a fotografare solo nei bracci della morte americani e fa i manifesti con volti neri e non gialli.

Il Pontefice alza la sua voce contro le leggi che permettono l’aborto; ma se in Italia qualcuno ne enuncia soltanto l’ipotesi di revisione, si alza la voce sprezzante del Presidente del Consiglio, on. D’Alema: «sarebbe un’idea folle e barbara». Per inciso: solo di “qualcuno” o anche del Papa Giovanni Paolo II?.

In Afganistan [CDS, 14-02-2000], allo stadio di Kandahar, ad un bambino di 10 anni fanno giustiziare direttamente — con quattro colpi di fucile — l’assassino del padre, davanti alla madre, alla sorella, al fratellino minore di sei anni e a mille spettatori; ma in Italia si critica aspramente l’educazione cattolica.

Al telegiornale [TG, 11-03-2000] si parla delle elezioni della comunità ebraica di Roma e si sottolinea un problema: la giusta sopravvivenza della loro scuola, per conservare la loro identità; ma se i cattolici rivendicano lo stesso problema, si raccolgono firme contro la scuola dei preti.

D’Alema chiede il processo contro il pensionato Pinochet [CDS, 14-03-2000 e gg. preced.] ma tace a mandibole serrate su Castro ancora in servizio.

Potrei continuare, ma mi fermo qui: credo sia sufficiente per cogliere qualche elemento chiarificatore su ciò che si intende per comportamento “politicamente corretto” e sul conseguente clima di asfissia del senso della giustizia (e del buon senso) che si sta instaurando. Dunque: non esiste più un criterio di giudizio che poggi su principi non transeunti e valga erga omnes e si cali a “misurare” moralmente l’azione compiuta. La medesima azione può essere buona o cattiva: dipende da chi e perché la compie. Il nuovo — antichissimo — criterio di giudizio è soltanto questo: ciò che conta è il fine, non i mezzi. E il fine è quello funzionale al mondo omogeneizzato, al nuovo Partito Unico, a questo enorme frullato dell’umanità, senza più coaguli di resistenza, di carattere geografico o storico o culturale o religioso. Le ideologie sono finite, ma non perché consumate dal “Ritorno al reale” bensì perché sintetizzate dall’Ideologia Unica — lustrata e rilanciata nei retrobottega dei santuari finanziari, ma che viene da lontano… —, il pendant morale della globalizzazione, che ha trovato nei post–comunisti gli “applicatori” zelanti — chi meglio di loro, ideologicamente educati a quella morale tanto elementare quanto spietata: «è “buono” tutto ciò che serve al Partito»? — e che ha, in fondo, come obbiettivo finale non solo l’ateizzazione di fatto del corpo sociale ma anche la distruzione di qualsiasi residuo di diritto naturale. Chi si oppone è scorretto, fosse anche il Papa.

Non si tratta purtroppo — come qualcuno crede — della pratica collaudata e volgare del “doppiopesismo” bensì dell’applicazione raffinata e sistematica della dottrina del Pensiero Unico, che deve essere debolissimo nel momento definitorio e durissimo nella fase giudicante: in testa un alito di vento, in mano il pugno d’acciaio. É vero solo ciò che non pretende di essere Vero. Ha dignità riconosciuta a “vivere” il suo tempo solo chi non pretende di aprire su di esso qualche finestra — purchessia: anche una finestrella! — verso l’Eterno. Il nuovo totalitarismo relativista non usa più il lager o il gulag solo perché ritiene di aver eliminato la possibilità della fuga, giacché dentro il filo spinato cerca di metterci tutti.

16 marzo 2000

 

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