di Franco Maestrelli
“Lo scrittore reazionario deve rassegnarsi a una celebrità discreta, dal momento che non si può ingraziare gli imbecilli”.
Quando uno scrittore sceglie di esprimersi in questo modo non è destinato a un facile successo. Infatti lo scrittore colombiano Nicolas Gomez Davila deve la pubblicazione dei suoi scritti solo all’interessamento di pochi fedelissimi amici e malgrado la sua ritrosia.
I suoi scritti sono sostanzialmente un’unica opera che venne pubblicata a partire dal 1977 intitolata “Escolios a un texto implicito” (due volumi), seguiti nel 1986 da altri due volumi “Nuevos escolios a un texto implicito” e nel 1992 dall’unico volume Sucesivos escolios a un texto implicito” laddove “escolios” sta per “scolio”, annotazione, glossa a margine della pagina dei codici medievali. E infatti la sua opera è una raccolta di oltre diecimila pensieri brevi, definiti per comodità “aforismi”, anche se l’autore scrive in una delle prime glosse:”Il lettore non troverà aforismi in queste pagine, le mie brevi pagine sono i tocchi cromatici di una composizione “pointilliste”, con un riferimento alla tecnica pittorica pur riconoscendo la nobiltà di questa forma letteraria:” Fra poche parole è difficile nascondersi come fra pochi alberi”. Ma glosse a quale testo implicito? Tra le diverse interpretazioni proposte dai critici, quella più accettabile è che il testo implicito sia l’intero corpus culturale dell’Occidente, da Omero ai contemporanei. Un continuo confronto dell’autore con i classici della cultura occidentale sviluppata a cerchi concentrici (“Pretendo soltanto di non aver scritto un libro lineare, ma un libro concentrico”), classici incontrati nella sua enorme biblioteca di oltre trentamila volumi.
Nato il 18 maggio 1913 da una famiglia altolocata colombiana compie gli studi elementari e medi a Parigi presso i Benedettini per poi ritornare in patria e rinchiudersi per quasi tutta la vita nella dimora di famiglia dedicandosi allo studio delle lingue europee e alla lettura dei classici in lingua originale. Arriverà a padroneggiare oltre alla lingua madre, francese, inglese, tedesco, portoghese, italiano, russo, greco e latino e la morte lo coglierà il 17 maggio 1994 mentre si accinge allo studio del danese per affrontare la lettura di Kierkegaard.
Anni di studio e riflessione nella sua bella casa stile Tudor nel centro trafficato della capitale colombiana dalla quale si allontana solo in rare sortite per gestire gli affari di famiglia o per le funzioni religiose nella vicina chiesa francescana della Porciuncula.
Non lo si creda però un misantropo: si sposa, mette al mondo tre figli e si vede con pochi selezionati amici all’interessamento dei quali si deve la pubblicazione della sua opera. Dapprima un abbozzo raccolto sotto il modesto titolo di Notas in un’edizione fuori commercio (nel 1954), seguita dalla pubblicazione nel 1959 degli unici scritti non riconducibili alla forma letteraria degli aforismi presentato col titolo di Textos I cui seguirà la pubblicazione della opera maggiore di cui abbiamo detto sopra. Appartengono in qualche modo alla sua opera in progress anche due scritti con carattere d’eccezione De iure (1988) e El reaccionario autentico (1995).
E’ difficile riassumere il contenuto di questa vastissima opera scritta sempre con espressione ricercata. L’autore raccolse su carta i pensieri di una vita ispiratigli dalle sue letture e conversazioni amicali. Pensiero libero e concentrato che tocca gli argomenti più disparati: dall’arte alla poesia, dalla filosofia alla teologia, dalla storia alla politica. Sebbene ritirato dal mondo e refrattario ad accettare incarichi diplomatici e politici che gli furono offerti, sbaglierebbe chi lo considerasse un intellettuale isolato nella sua turris eburnea. I suoi pensieri brevi sono una critica della modernità e dei suoi miti in un’ottica fieramente cattolica e conservatrice. Ernst Junger lo definì in una lettera inedita “una miniera per gli amanti del conservatorismo” anche se l’autore iberoamericano si definiva “reazionario” sulle tracce dell’amato conte de Maistre, reazionario ma in questa ottica “Il reazionario non auspica che si torni indietro, ma che si cambi direzione”.
Le sue fortune parevano confinate a pochi seppur qualificati echi di critica in Iberoamerica se la sua opera non fosse stata scoperta negli anni ottanta dal mondo culturale tedesco attraverso un’ editrice viennese conservatrice che lo rende noto al già citato Junger, a Robert Spaemann e a Erik Kuehnelt-Leddihn e da lì in Italia attraverso il filosofo germanista Franco Volpi che ne proporrà due raccolte di aforismi per Adelphi (In margine a un testo implicito, 2001 e Tra poche parole, 2007). In Italia comunque Volpi era stato anticipato da Giovanni Cantoni nel 1999 con la pubblicazione del breve testo Il vero reazionario sulla rivista Cristianità. Nel 2008 le Edizioni di Ar, pur senza acquisirne i diritti in una discutibile operazione di esproprio aristocratico, pubblica una raccolta dal titolo Pensieri antimoderni. Se si pensa che l’edizione originale colombiana curata da Villegas Editores è composta da ben cinque volumi risulta evidente che ancora molto della produzione daviliana manca al lettore italiano. A colmare parzialmente la lacuna ha provveduto nel 2016 l’editore Circolo Proudhon con la traduzione dei due volumi delle Notas.
Come sintesi finale a questa proposta di riscoperta di un maestro dimenticato, che si autoqualificò “cattolico, reazionario e retrogrado” in aggressivo contrasto con ogni filosofia e con ogni teologia razionalistiche utilizzo le sue parole “razionalismo è lo pseudonimo ufficiale dello Gnosticismo”, “la democrazia è la politica della teologia gnostica”, la Gnosi è la teologia satanica dell’esperienza mistica”.
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