di Franco Maestrell
“La bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza”. (Benedetto XVI)
Il Natale, oltre alle luci stile Las Vegas delle città e gli aspetti del peggior consumismo, è anche il pranzo delle famiglie riunite. In tale occasione anche le famiglie di modeste risorse economiche addobbano la tavola con candele colorate, rami e fiori, con le migliori stoviglie di cui dispongono. La scelta e la presentazione delle vivande è accurata e segue le usanze locali. Il colpo d’occhio sulla tavola imbandita ci ispira immediatamente una sensazione di godimento estetico, di bellezza. La gastronomia e l’apparecchiare la tavola seguendo regole antiche fa parte della nostra cultura. E rimanendo nell’esempio delle festività anche l’aspirazione all’abbigliamento particolarmente curato per l’occasione ci insegnano che se l’ambiente in cui viviamo fosse razionale ma freddo, con pareti spoglie e scaffali “svedesi” al posto dei mobili, casacche informi seppur confortevoli al posto dei nostri abiti eleganti, pasti consumati su tavoli da mensa aziendale sovietica saremmo veramente poveri e tristi. All’uomo non basta il mero fabbisogno di calorie e proteine consumate in contenitori di plastica né il caldo di un vello di lana: ha una necessità di qualcosa di bello. Così come non è appagato dal paesaggio di uniformi palazzoni di grigio cemento delle periferie urbane ma la sua anima respira a pieni polmoni davanti ai paesaggi del Creato siano essi vette immacolate o mari tempestosi o campagne in fiore. Abbiamo dunque bisogno di bellezza. La bellezza infatti “comunica come qualsiasi altro linguaggio, ma lo fa in maniera immediata, non per analogia, ma per esperienza diretta.” Il filosofo conservatore Roger Scruton scrive “il corpo bello o il viso bello ispirano in noi una sorta di reverenza, nonché compiacimento per il mondo che contiene tale realtà meravigliosa”.
Un giovane collaboratore di Radio Maria e del mensile La Roccia, Stefano Chiappalone ha voluto raccogliere in un breve volume un itinerario alla bellezza,una via pulchritudinis, attraverso tre sentieri: nella Creazione, nell’opera dell’uomo e infine nell’uomo stesso che partecipa della gloria di Dio. Il primo passa attraverso la contemplazione della natura in una campagna bucolica o nelle vette alpine. Questo sentiero riesce ad elevare l’anima anche a chi non crede nell’esistenza dell’anima o del Creatore. Un pensatore non cristiano come Julius Evola ha scritto infatti “Meditazioni delle vette” e non “Meditazioni dei garages”…
Il secondo sentiero passa attraverso la bellezza dell’arte e in genere di quanto è prodotto dall’uomo. Il pensiero va subito allo stupore che coglie gli uomini davanti alla cattedrali, ai castelli, alle grandi opere d’arte. Quell’istinto di bellezza che ha fatto nascere nel cosiddetto Medioevo sublimi palazzi e chiese e un’intera società anche esteriormente caratterizzata da ordine e decoro. L’uomo di oggi anche quando è immemore della spiritualità cristiana non può rimanere insensibile davanti ai capolavori dell’arte e della musica. Il grande successo di folla di quel fenomeno moderno e artificiale delle mostre di capolavori artistici conferma l’aspirazione umana alla contemplazione della bellezza.
Quando riesce a cogliere nella natura l’impronta del Creatore e nell’opera artistica o artigianale dell’uomo quella sua tensione a ripetere l’Opus Dei, potrà percorrere anche il terzo sentiero che culmina nella bellezza della vita dei santi e della liturgia. Vite fatte da atti buoni che non significano buoni in senso moralistico e filantropico ma “atti belli, rivelazioni luminose e armoniose della personalità spirituale” secondo quanto scrive Pavel Florenskij nel suo Le porte regali. Saggio sull’icona. E la liturgia eucaristica è “la gioia di Dio” (dom Gerard Calvet). Gioia divina che si irradia al di fuori del tempio.
In questi anni difficili in cui le forze oscure della Rivoluzione, intesa come fenomeno metafisico nell’accezione del pensatore brasiliano Plinio Correa de Oliveira, cercano di imporre al mondo una “via turpitudinis”, di cui nei suoi saggi ha dato conto lo storico dell’arte Hans Sedlmayr, la sete di bellezza si fa più intensa “alla ricerca di una via d’uscita da questo gulag mentale in cui siamo rinchiusi, condannati al dominio dell’utile e del funzionale, incapaci di alzare lo sguardo verso un cielo che noi stessi abbiamo chiuso”.
Stefano Chiappalone nel suo libro ci invita a seguire invece la via pulchritudinis ed “educare noi stessi e il prossimo alla buona contemplazione – un paesaggio, un capolavoro, una bella liturgia(…) – è dunque una via privilegiata per la costruzione di una società che sia veramente conforme alla misura intera della verità e della dignità della persona umana”
Le feste natalizie con la serena bellezza delle tavole imbandite a regola d’arte, con le gite in montagna a contatto con la natura e con le sacre liturgie ricche di canti e incensi possono essere l’occasione per leggere questo piccolo grande libro che ci offre mille spunti di riflessione attraverso molteplici citazioni che spaziano da Tolkien a Ende, da Scruton a Pieper, da San Giovanni Paolo II a Francesco per imparare a contemplare attraverso il bello il vero.
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